(OGGETTODIRETTO/INDIRETTO)
1ª singolare SOGG io FORMA TONICA me FORMA ATONA mi
2ª singolare tu te ti
3ª singolare M. egli, esso, lui lui, sé (stesso), esso lo, gli, ne,
F. essa lei, sé (stessa), essa la, le, ne, si
1ª plurale noi noi ci
2ª plurale voi voi vi
3ª plurale M. essi, loro loro, sé (stessi), essi li, ne, si
F. esse , loro loro, sé (stesse), esse le, ne, si
In italiano l’uso del pronome, data la trasparenza dei morfemi verbali, non è obbligatorio:
“a
proprio per questa caratteristica, i linguisti lo definiscono soggetto nullo” in
contrapposizione alle lingue a soggetto obbligatorio (in inglese il fenomeno è detto pro-drop,
abbreviazione di pronoun dropping). 60
LINGUISTICA ITALIANA
–
Unità didattica 3 Morfologia e sintassi
Lezione 2 - Morfologia flessionale: pronomi e sistema verbale
Il pronome si “o
Con l’eccezione di la in espressioni come la va o la spacca”, il pronome impersonale atono
dell’italiano è si. Esso è normalmente seguito dalla terza persona e necessita dell’ausiliare
essere nelle forme composte. Sebbene il si impersonale possa essere sostituito nel quadro
dell’oralità da costruzioni con seconda persona singolare (per fare la torta, tu usi il burro, non
l’olio) o con prima plurale (per fare la torta, dobbiamo usare il burro) o con terza singolare
introdotta da uno (uno deve anche capire che nella via non c’è solo divertimento).
Tornando all’impersonale si, il suo uso è particolarmente vario: la sua coincidenza formale
con il si riflessivo è facilmente disambiguata dal contesto, tanto più se il pronome si trova
accanto a un clitico. In questo caso il riflessivo muta in se, mentre l’impersonale rimane
“passivante”,
invariato. Un altro si, definito complica il quadro. Questo pronome necessita
dell’accordo del verbo transitivo non con il soggetto logico (cioè, la gente), bensì con
l’oggetto: la cosa è evidente quando l’oggetto è plurale (si cominciavano a intravedere le cime
–
degli alberi). Proprio come suggerisce l’esempio per il quale è logico che a vedere non siano
–
gli alberi ma gli uomini in realtà possiamo affermare che, nonostante una differenza di
comportamento degli elementi della frase, anche in questo caso il pronome suggerisce
un’azione generalizzata e, pertanto, esattamente come nel caso del si impersonale, priva di
una persona specifica.
Il comportamento dei pronomi clitici
Una nota importante concerne la tendenza oramai da lungo consolidata di far risalire le forme
atone da posizione post verbale a posizione preverbale (ci è venuto a prendere invece che è
venuto a prenderci).
Le forme clitiche, inoltre, sono sempre più frequenti nel parlato, sia perché sono più
economiche delle forme toniche (mi ha ignorato), le quali sono usate nella frase marcata (ha
ignorato me). 61
Il pronome ci, oltre a sostituire quasi sempre l’ormai inusitato vi locativo, è spesso usato con
valore attualizzante, un uso il cui scopo è quello di far notare la vicinanza tra l’azione espressa
dal verbo e la situazione di riferimento (ci sei? C’ho due euro. Ce ne vogliono cinque. Non
c’entra niente).
I numerali italiani presentano la tendenza, forse per influenza dell’uso inglese, a usare i
cardinali anche laddove un tempo si sarebbero preferiti gli ordinali (Rai1 ha oramai
decisamente sostituito il vetusto la prima rete).
I pronomi dimostrativi dell’italiano hanno pressoché sempre funzione non deittica, bensì
anaforica. Servono pertanto a riprendere elementi già presenti nel contesto precedente. Nel
–
parlato notiamo oramai l’uso generalizzato dei pronomi questo/a/i/e e quello/a/i/e spesso
–
rafforzati da avverbi di luogo qui e lì al posto di costui/costei/costoro e colui/colei/coloro.
Morfologia del verbo
Il verbo è la categoria lessicale che veicola il maggior numero di informazioni grammaticali
che siano contenibili in un morfema desinenziale (ovviamente in questo caso ci riferiamo
esclusivamente alle forme sintetiche). Persona, numero, tempo, modo, diatesi. La
suffissazione è il processo di formazione dei tempi principali, che sono pertanto sintetici. Nei
tempi composti, invece, le informazioni sono espresse per lo più dall’ausiliare, mentre dal
participio nei tempi composti con ausiliare essere e soprattutto in diatesi passiva è possibile
evincere l’informazione concernente il genere.
L’ausiliare del verbo transitivo è avere all’attivo e essere al passivo (ho visto Lucia/Lucia è
stata vista), mentre il verbo intransitivo ha o solo il primo o solo il secondo (Ho sorriso/Sono
caduto) e in alcuni casi di intransitività gli ausiliari sono interscambiabili (L’albero è
fiorito/L’albero ha fiorito). Gli intransitivi con ausiliare avere sono detti inergativi, mentre
–
quelli con ausiliare essere sono definiti inaccusativi tali definizioni muovono anche
dall’osservazione di diversi comportamenti del soggetto all’interno della frase. Molto spesso
essere passivo è sostituito da venire, che viene preferito per rendere una certa progressività. I
riflessivi come i pronominali necessitano dell’ausiliare essere.
Le coniugazioni. Nella maggior parte delle voci flessive del verbo il radicale è congiunto alla
desinenza mediante una vocale tematica, che in italiano dipende direttamente dalla
coniugazione di appartenenza: a per i verbi di I coniugazione, ei per quelli di II e i per quelli
di III. 62
Ma non mancano voci del verbo che prevedono una unione immediata tra desinenza e radicale
(come in pu-ò). Questa allomorfia tematica è da ricondurre a fattori etimologici e, pertanto al
rapporto con le coniugazioni latine. Del resto, l’irregolarità morfologica stessa è una categoria
comoda, ma considerevole soltanto nell’ambito di una analisi sincronica; mentre lo studio
diacronico svela l’antica regolarità di molte forme che oggi ci appaiono irregolari (per es. pu-
ò < puote < POT-EST).
La I coniugazione è certamente la più produttiva, essendo anche quella il cui paradigma è
maggiormente regolare. Di tale produttività testimoniano i neologismi d’origine alloglotta
come chattare < chat. La II, ricca di verbi dai paradigmi irregolari, non è più produttiva,
–isc-,
mentre la III comprende verbi con e senza l’affisso derivato dei verbi latini incoativi.
Nel parlato, ma qualche volta anche nello scritto, è oggi possibile trovare forme irregolari
regolarizzate per analogia: (soddisfarono invece di soddisfecero).
Modo. Questa grande categoria del verbo veicola l’informazione riguardo alla certezza o
all’incertezza del verificarsi di un determinato evento o di una specifica azione. Ma a volte
l’opposizione tra i modi può avere soltanto un valore sintattico.
L’indicativo esprime la realtà, mentre il congiuntivo esprime incertezza riguardo a un evento,
–
anche per questo le sue voci sono estese alla funzione ottativa espressa da un modo
morfologicamente indipendente in altre lingue. L’opposizione indicativo vs congiuntivo
assume un ruolo prettamente sintattico disambiguante, voltò a distinguere le principali
(solitamente con indicativo) dalle subordinate circostanziali (solitamente con congiuntivo).
Nell’italiano contemporaneo parlato il congiuntivo, specialmente quello marcatore di ipotassi,
regredisce sempre di più a favore dell’indicativo, probabilmente per vari punti di debolezza,
fra i quali l’irregolarità di certe forme e l’identità di altre con quelle del presente. A supplire
all’informazione riguardo all’incertezza, in questo caso, sono gli avverbi.
Il condizionale esprime invece la contro fattualità di un evento, motivo per il quale lo troviamo
quasi sempre nell’apodosi del periodo ipotetico (se potessi, ci andrei), oppure può avere
valore dubitativo (non saprei) e, sempre da un punto di vista meramente sintattico, sostituisce
il futuro, quando la nozione di tale tempo è messa in relazione con un fatto del passato (mi
disse che sarebbe venuto).
L’imperativo esprime ordini, esortazioni o preghiere. Oggi la sua funzione è spesso assunta
dal presente, che risulta per certi versi ancora più iussivo (Fai silenzio e ti siedi!).
“finiti”,
Tutti i modi finora elencati sono cioè modi le cui voci esplicitano le informazioni
della persona e del numero. Non è questo il caso dei modi indefiniti o impliciti, come infinito
e gerundio, largamente usate nelle dipendenti il cui soggetto è implicito perché chiaramente
63
espresso nelle principali dalle quali dipendono. Il participio presente ha perso completamente
il ruolo di verbo delle implicite (cosa che si è invece mantenuta nel francese) ed è oggi soltanto
un aggettivo o un nome deverbale, mentre il participio passato ha mantenuto la possibilità di
costituire il nucleo delle implicite. Nell’italiano contemporaneo è molto diffuso l’infinito
iussivo (aggiungere due uova), calco dell’inglese, e il gerundio indipendente (Ballando con
le stelle).
Il tempo esprime il rapporto che sussiste tra il momento dell’enunciazione e quello
dell’accadimento dell’azione descritta dal verbo in questione. Il presente esprime
contemporaneità tra questi due momenti, ma può anche eventualmente fare riferimento a
un’azione abituale (In Italia si beve molto caffè) o senza tempo preciso (il caffè rende nervosi).
Non raro è l’impiego del presente storico (la seconda guerra mondiale finisce nel 1945). Oggi
esso è impiegato largamente anche al posto del futuro, purché accompagnato da un
complemento nei casi in cui sia necessaria disambiguazione (prendo lo stipendio lunedì
prossimo).
Il futuro esprime un momento del fatto posteriore a quello dell’enunciazione, mentre
l’imperfetto indica eventi passati durativi (imperfetti, per l’appunto, perché non osservati nel
loro essere portati a termine ma nel loro svolgersi). Nell’italiano contemporaneo il futuro è
spesso usato con valore epistemico (Sarà come dici tu!), sconfinando dalla categoria del tempo
in quella del modo, così come ha fatto l’imperfetto, sostituendo nel parlato il congiuntivo e il
condizionale (Se lo sapevo, te lo dicevo).
Il passato remoto, invece, indica proprio l’opposto: un evento passato e concluso da tempo,
mentre il passato prossimo è resultativo: indica un’azione anteriore al momento
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