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Il diritto vuole anch’esso predire i comportamenti con il fine di orientare scelte e
comportamenti (se capita A ne consegue B). Le norme stabiliscono quali
comportamenti possono o meno essere tenuti e consentono ai consociati di
prevedere le conseguenze derivanti dai comportamenti che violano le norme. Il
sistema di previsioni dell’IA è suscettibile di entrare in concorrenza con il sistema di
previsioni del diritto, sia da un punto di vista
- Intrinseco: deleghiamo sempre più decisioni e compiti propri dei funzionari del
diritto a sistemi d’IA, o ci avvaliamo di questi sistemi per prevedere come tali
compiti verranno svolti;
- che estrinseco: il sistema di previsione dell’IA indica possibili corsi d’azione,
ambiti di scelta o comportamenti più vantaggiosi da tenere; ovvero favorendo
pratiche in contrasto con quelle previste dal diritto (come la price discrimination
che è suscettibile di produrre differenziazioni ingiuste tra gli acquirenti); ovvero
riconoscendo o negando benefici, opportunità di lavoro o diritti attraverso la
previsione dei profili dei consociati (come un lavoro offerto o negato tramite
l’elaborazione automatica di un profilo basata su dati sintetici che riproducono
le caratteristiche dei dati personali di una classe di aspiranti candidati).
C’è competizione tra diritto e IA perché la previsione delle macchine rischia di
orientare i nostri comportamenti, e dal punto di vista del diritto può orientare
anche le nostre scelte (se so che se faccio quella cosa mi arrestano non la faccio).
Ciò genera tensione con il diritto, ad esempio in termini di responsabilità;
3. Normatività dell’IA. I sistemi di machine learning sono sistemi con i quali si
insegna alle macchine ad analizzare dati e ad estrarre da questi schemi ricorrenti
che permettono loro di apprendere a compiere delle prestazioni. Oggi ci stiamo
spostando da un’IA statistica ad una IA più normativa (nel senso che il sistema IA
machine learning è orientato verso un fine preciso). Con normatività dell’IA si fa
riferimento al fatto che i sistemi d’IA sono orientati a un fine, ossia sono
programmati per svolgere un compito e ottenere un obiettivo.
L’obiettivo della macchina deve essere misurabile da uno standard, ossia quanto
efficacemente la macchina raggiunge l’obiettivo posto. Lo standard diventa la
norma attraverso la quale valutiamo l’efficienza del sistema stesso in relazione al
suo scopo.
Esempio: incrementare la sicurezza del traffico stradale. Ci sono tanti fattori che
incidono sul traffico stradale su cui agire (velocità delle auto, norme giuridiche,
dimensione della carreggiata, limiti di velocità). Il sistema del traffico può essere
modellato nel perseguimento dell’obiettivo ricercato: la sicurezza. Ottimizzare un
sistema vuol dire perseguire una finalità, operando su diversi paramenti in chiave
probabilistica e in modo più efficace ed efficiente. Ciò può richiedere di modificare
e adattare il sistema in relazione alla finalità per cui è ottimizzato. Ciò richiede
anche di avere un sistema di valutazione delle prestazioni necessarie al
conseguimento di tale obiettivo.
La normatività di un sistema è intesa come la capacità di disporre di uno standard
che consente di valutare il grado di ottimizzazione di un sistema in rapporto
all’obiettivo assegnato e perseguito. Tale capacità è inerente alla definizione stessa
di un procedimento di apprendimento automatico, per cui è possibile dire che un
programma apprende dall’esperienza E con riferimento ad alcune classi di compiti
T e con misurazione della performance P, se le sue performance nel compito T,
come misurato da P, migliorano con l’esperienza E. L’orientamento verso un fine
unitamente alla capacità di misurare il grado di conseguimento di tale obiettivo può
diventare il criterio principale per valutare il funzionamento di un sistema.
Il successo dell’operazione, fondato sul criterio probabilistico, mette in secondo
piano considerazioni fondate su criteri diversi, come quello causale. Il
perseguimento di un obiettivo, in rapporto al quale un sistema è ottimizzato, può
prevalere sul rispetto di norme attinenti al tentativo di operare un bilanciamento
tra interessi diversi e potenzialmente confliggenti (esempio software impiegato per
valutare il rischio di recidiva di un detenuto che fa richiesta di permesso premio. La
decisione dovrebbe tenere conto e bilanciare due interessi: la tutela dei diritti del
detenuto e la sicurezza sociale derivante dalla prevenzione del crimine. Se il
software è orientato e ottimizzato in relazione al fine di ridurre il numero di crimini
reiterati vi è il rischio che l’interesse contrapposto sia in tutto o in parte trascurato
(ad esempio non è sufficientemente considerata la possibilità di includere dati
viziati da pregiudizi di carattere sociale o etnico nel dataset dell’algoritmo).
I rischi considerati ruotano intorno alla delegazione di decisioni e compiti a sistemi
computazionali che operano in base alla loro rappresentazione della realtà fondata
sulla capacità di processare enormi quantità di dati in chiave sintattica e probabilistica.
È responsabilità degli esseri umani di dare significato e senso alla nostra realtà e alle
decisioni che sono in grado di incidere su valori che permeano le nostre vite.
C’è l’esigenza di proteggere e alimentare il capitale semantico, ossia l’insieme dei
contenuti e delle risorse in grado di alimentare il potere di ciascuno di noi di attribuire
significato e senso alla nostra esistenza e al mondo. Le persone hanno un capitale
semantico, gli animali e i robot non ce l’hanno e non possono averlo in quanto
maneggiano soltanto la sintassi e non il significato.
C’è una triplice progressione che mette in gioco la capacità di conferire significato alla
realtà; di iscrivere tale significato all’interno di un quadro che attribuisca un senso più
complessivo all’esperienza umana; di sottoporre alla revisione l’esperienza tramite la
capacità riflessiva di riconsiderare in chiave critica il passato e di rielaborarlo. Si tratta
però di un processo collettivo, che si svolge spesso in contesti istituzionalizzati e
pubblici.
L’esercizio del potere computazionale è suscettibile di produrre una peculiare
rappresentazione della realtà in grado di influenzare e talora prevalere sulla nostra
rappresentazione della realtà. La nostra realtà è sempre più decodificata in termini di
dati da processare (datificazione), fattori da calcolare (quantificazione), elementi da
generare (generatività), risultati da prevedere (predittività), obiettivi da perseguire
(normatività).
Il processo di semanticizzazione e di formazione del capitale semantico non è solo una
capacità o un potere, ma una responsabilità e un compito umano.
L’economia dei dati (Bertacchini, Nuccio)
Il diritto non è una materia a sé stante ma vive di influenze osmotiche verso altre
branche della scienza, è uno strumento di controllo della società e non potrebbe
svolgere la sua funzione fondamentale senza capire la società stessa, le dinamiche e i
suoi impatti. Ogni misura legislativa è calibrata in termini di impatto non solo sociale
ma anche economico.
Per il legislatore è fondamentale capire come funziona l’economia dei dati, quali sono i
suoi presupposti e le sue caratteristiche, con l’obiettivo di comprendere se essa
necessiti di misure legislative o meno, se c’è necessità di un intervento da parte dello
stato, o se l’economia dei dati si può reggere autonomamente (atteggiamento di tipo
liberale), gestendosi da sola a partire dalle regole della domanda e dell’offerta.
L’economia dei dati è una novità in assoluto? No, quasi ogni stagione della civiltà
umana si caratterizza per essere stata una società della conoscenza. I dati hanno
sempre avuto un valore per l’attività umana ed economica. Oggi le aziende
processano e trattano una vasta quantità di dati di natura eterogenea.
Originariamente l’attività economica processava solo i dati transazionali, dati che
definiscono lo scambio di beni e servizi dall’azienda al consumatore.
La civiltà umana è cominciata contemporaneamente e contestualmente allo sviluppo e
all’uso della scrittura, tecnica che ha permesso di immagazzinare le informazioni, di
trattare e processare i dati.
I dati sono definiti in relazione al concetto di informazione e conoscenza. Essi
rappresentano un insieme grezzo di simboli e caratteri frutto dell’osservazione di
fenomeni che si trasforma in informazione nel momento in cui viene dato loro un
significato, sistematizzandoli, contestualizzandoli e analizzandoli. La conoscenza è il
risultato dell’aggregazione e ricombinazione di diverse informazioni.
Le società della conoscenza si sviluppano tutte attorno alla scrittura e si caratterizzano
inizialmente per un accesso elitario a dati, informazioni e conoscenza. Spesso la classe
che possedeva queste conoscenze era quella sacerdotale (monaci amanuensi che
copiavano i libri a mano prima del 1400, anno in cui Gutenberg inventò la stampa a
caratteri mobili). Successivamente la conoscenza (ossia i dati) entra a far parte
dell’industria, industria che tuttavia non ha nei dati, nell’informazione e nella
conoscenza il suo fulcro: l’industria che nasce nel 1800 faceva del fattore produttivo
fondamentale l’introduzione delle macchine, perché fino ad allora l’asset produttivo
principale era stata la forza umana, che risultava però svuotata della conoscenza
perché specializzata (alienazione del lavoratore di Marx). La società di oggi ha invece
messo la conoscenza e i dati al centro dell’attività d’impresa, per cui la conoscenza
diventa l’asset produttivo principale.
Che ruolo ha avuto la tecnologia? La scrittura è già tecnologia di per sé, e ad oggi
viene qualificata come invenzione, e le invenzioni sono oggetto di protezione
attraverso i brevetti (diritto che protegge ciò che è creato dall’ingegno umano, e ha un
impatto sulla società in termini di risoluzione di problemi della tecnica mai risolti
prima). Prima della scrittura la trasmissione della conoscenza era affidata
esclusivamente alla parola (trasmissione orale).
Ci sono diverse prospettive e approcci di analisi che possono contribuire ad inquadrare
il dibattito sull’economia dei dati:
1. Economia dell’information technology. Alla fine degli anni Novanta emerge la
natura economica di internet attraverso la fornitura di prodotti e servizi digitali per
imprese e consumatori. Internet e la digitalizzazione hanno amplificato le
caratteristiche di non rivalità nel consumo e difficile escludibilità dei beni di
informazione, offrendo nuove opportunità per l’appropriazione del valore dei beni
informativi digitalizzati;
2. Economia della conoscenza. Si pone enfasi sul ruolo di ricerca e sviluppo e dei
processi di innovazione come motori della crescita economica. La conoscenza e
l'innovazione giocano un ruolo fondamentale influenzando il benessere delle
società, ma anche il potere del mercato e le rendite di monopolio delle imprese
derivanti dalla proprietà intellettuale. I dati sono utilizzabili come fattore di
produzione o risorse strategiche delle imprese. Essi hanno però caratteristiche
intrinseche che rendono il loro utilizzo un caso speciale: essi sono una risorsa
informativa differente dalle idee e dalle conseguenti invenzioni. Un'idea è
un'informazione che può avere valore originale di per sé, oppure fornisce un
insieme di istruzioni per completare un compito (come una ricetta); i dati invece
non hanno quasi mai valore autonomo ma sono un ingrediente che può essere
usato nel completamento di un compito;
3. Economia della privacy. Studia i costi e i benefici associati alla protezione e
condivisione delle informazioni personali. Negli anni 70 Stigler sosteneva che
un'eccessiva protezione della privacy può finire per essere economicamente
inefficiente in quanto può limitare o ridurre nel mercato i segnali necessari per
allocare e valutare in modo efficiente i fattori produttivi. L'estrazione di dati