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ACCESSO DEI PLEBEI AL CONSOLATO

1. La legge Genucia, 342 a.C.: ulteriori interventi in favore dei debitori e

dell’accesso dei plebei al consolato

2. La legge Ogulnia, 300 a.C.: apertura ai plebei dei collegi sacerdotali dei

pontefici e degli auguri

3. La legge Ortensia, 287 a.C.: definitiva equiparazione dei plebisciti alle

leggi

Definizioni di una legge (valide almeno a partire dalla lex Hortensia

del 287, che equiparava definitivamente i plebisciti alle leggi).

->Cicero, Flacc. 15-16 (definizione della legge secondo la tradizione degli

antenati, in contrapposizione ai decreti approvati dalle assemblee

democratiche delle città greche, sui quali si basavano le testimonianze

dell’accusa contro il cliente di Cicerone, che aveva amministrato la provincia

d’Asia): Nullam enim illi nostri sapientissimi et sanctissimi viri vim contionis

esse voluerunt; quae scisceret plebes aut quae populus iuberet, submota

contione, distributis partibus, tributim et centuriatim discriptis ordinibus,

classibus, aetatibus, auditis auctoribus, re multos dies promulgata et cognita

iuberi vetarique voluerunt. [16] Graecorum autem totae res publicae sedentis

contionis temeritate administrantur.

->(traduzione) Quei nostri concittadini pieni di saggezza e di virtù rifiutarono

qualunque potere deliberativo all’assemblea popolare: si trattasse di plebiscito

o di legge del popolo, facevano allontanare l’assemblea, assegnavano diversi

posti dove riunirsi, distribuivano in tribù e centurie gli ordini sociali, le classi e i

cittadini a seconda dell’età, ascoltavano gli autori della proposta di legge, che

rimaneva pubblicata all’albo per molti giorni perché fosse ben conosciuta: solo

dopo tutto ciò si votava per approvarla o per respingerla. Gli stati greci sono

invece governati esclusivamente dalla capricciosa volontà di un’assemblea che

siede per deliberare.

->Gellio, Noctes Atticae X 20, 2: Quid sit "rogatio", quid "lex", quid

"plebisscitum", quid "privilegium"; et quantum ista omnia differant.

I. Quaeri audio, quid "lex" sit, quid "plebisscitum", quid "rogatio", quid

"privilegium". II. Ateius Capito, publici privatique iuris peritissimus, quid "lex"

esset, hisce verbis definivit: "Lex" inquit "est generale iussum populi aut plebis

rogante magistratu." III. Ea definitio si probe facta est, neque de imperio Cn.

Pompei neque de reditu M. Ciceronis neque de caede P. Clodi quaestio neque

alia id genus populi plebisve iussa "leges" vocari possunt. IV. Non sunt enim

generalia iussa neque de universis civibus, sed de singulis concepta; quocirca

"privilegia" potius vocari debent, quia veteres "priva" dixerunt, quae nos

"singula" dicimus. Quo verbo Lucilius in primo satirarum libro usus est:

abdomina thynni advenientibus priva dabo cephalaeaque acarnae.

V. "Plebem" autem Capito in eadem definitione seorsum a populo divisit,

quoniam in populo omnis pars civitatis omnesque eius ordines contineantur,

"plebes" vero ea dicatur, in qua gentes civium patriciae non insunt. VI.

"Plebisscitum igitur est secundum eum Capitonem lex, quam plebes, non

populus, accipit. VII. Sed totius huius rei iurisque, sive cum populus sive cum

plebs rogatur, sive quod ad singulos sive quod ad universos pertinet, caput

ipsum et origo et quasi fons "rogatio" est. VIII. Ista enim omnia vocabula

censentur continenturque "rogationis" principali genere et nomine; nam nisi

populus aut plebs rogetur, nullum plebis aut populi iussum fieri potest. IX. Sed

quamquam haec ita sunt, in veteribus tamen scriptis non magnam

vocabulorum, istorum differentiam esse animadvertimus. Nam et plebisscita et

privilegia translaticio nomine "leges" appellaverunt eademque omnia confuso

et indistincto vocabulo "rogationes" dixerunt. X. Sallustius quoque proprietatum

in verbis retinentissimus consuetudini concessit et privilegium, quod de Cn.

Pompei reditu ferebatur, "legem" appellavit. Verba ex secunda eius historia

haec sunt:

"Nam Sullam consulem de reditu eius legem ferentem ex conposito tr. pl. C.

Herennius prohibuerat."

Significato dei termini «rogazione», «legge», «plebiscito», «privilegio»; e loro

differenza.

Mi capita di sentir chiedere la spiegazione dei termini «legge», «plebiscito»,

«rogazione», «privilegio». Ateio Capitone, grande specialista in materia di

diritto pubblico e privato, così definiva la legge: «Legge è un’ordinanza

generale del popolo o della plebe su richiesta del magistrato». Se questa

definizione è esatta, non si possono chiamare leggi né le decisioni prese sul

comando militare di Gneo Pompeo, sul rimpatrio di Marco Cicerone,

sull’uccisione di Publio Clodio, né altre simili ordinanze del popolo o della plebe.

Non si tratta infatti di ordinanze generali, e non riguardano l’insieme dei

cittadini ma persone singole: perciò vanno piuttosto chiamate «privilegi»: una

volta si usava dire privus nel senso in cui oggi diciamo «singolo». La parola è

stata usata da Lucilio nel primo libro delle Satire:

Ventresche di tonno e teste di pesce-lupo darò a ciascuno degli intervenuti.

Nella medesima definizione Capitone ha tenuto distinta la «plebe» dal

«popolo»: nel popolo sono compresi i cittadini d’ogni categoria e di tutti gli

ordini, mentre dalla plebe s’intendono esclusi i cittadini di famiglia patrizia.

Perciò, sempre secondo Capitone, il «plebiscito» è una legge accolta dalla

plebe ma non dal popolo. Ma l’intero complesso di questa materia giuridica, ne

venga investito il popolo o la plebe, riguardi i singoli o tutti quanti, ha la sua

base, l’origine e per così dire la fonte nella «rogazione». Tutti questi termini

trovano sistemazione e sono contenuti nel genere e titolo principale della

«rogazione»: se il popolo o la plebe non viene «rogato», cioè richiesto, non può

sussistere nessuna ordinanza di plebe o di popolo. Così stanno le cose; e

tuttavia nelle opere antiche si avverte che tra questi termini non c’è gran

differenza. Sia i plebisciti sia i privilegi, gli antichi li hanno accomunati

nell’ordinario appellativo di «legge», e li hanno tutti battezzato col titolo

miscellaneo e indiscriminato di «rogazione». Anche Sallustio, sorvegliato com’è

nell’uso appropriato delle parole, ha fatto una concessione alla consuetudine

chiamando «legge» il privilegio che veniva proposto per il ritorno di Gneo

Pompeo. Ecco il passo dalla seconda delle sue Storie:

«Il tribuno della plebe Gaio Erennio aveva, di proposito, posto il veto al console

Silla che proponeva una legge per il ritorno di lui».

->M. Crawford, General Introduction, in Roman Statutes, I, London 1996, p. 1:

«Given that certainly after the Lex Hortensia of c. 287 BC a lex and a

plebiscitum had equal force, we naturally include both; indeed our texts

randomly refer to themselves and to other statutes as lex or lex plebiue scitum.

We are fortunately not called upon to decide whether plebiscita earlier than

287 BC came to have the force of law».

->Roman Statutes I, nr. 2 (lex agraria), l. 1: [?Sp. Thorius? ???.f. tr(ibunus)

pl(ebis) plebem ioure rogauit plebesque ioure sciuit in foro — a(nte) d(iem) —,

tribus ??? princi]pium fuit, pro tribu Q. Fabius Q.f. primus sciuit. quei ager

poplicus populi Romanei in terram Italiam P. Muucio L. Calpur[nio co(n)s(ulibus)

fuit, extra eum agrum, quei ager ex lege plebeiue scito, quod C. Sempronius Ti.

f. tr(ibunus) pl(ebis) rogauit, exceptum cauitumue est, nei diuideretur—]

->[?Sp. Thorius? son of ??? as tribune of the plebs lawfully proposed to the

plebs and the plebs lawfully voted, in the forum — on — the tribe ???] was the

first to vote, Q. Fabius, son of Quintus, voted first for the tribe. Whatever public

land of the Roman people [there was] in the land of Italy (in the consulship of]

P. Mucius and L. Calpur[nius, apart from that land, whose division was excluded

or forbidden according to the statute or plebiscite which C. Sempronius, son of

Tiberius, tribune of the plebs, proposed —

Motivazioni di Tiberio Gracco

->Plutaco, vita di Tiberio Gracco 8, 4-7: ὁ Τιβέριος δὲ δήμαρχος ἀποδειχθεὶς

εὐθὺς ἐπ ̓ αὐτὴν ὥρμησε τὴν πρᾶξιν, ὡς μὲν οἱ πλεῖστοι λέγουσι, Διοφάνους

τοῦ ῥήτορος καὶ Βλοσσίου τοῦ φιλοσόφου παρορμησάντων αὐτόν, [5] ὧν ὁ μὲν

Διοφάνης φυγὰς ἦν Μιτυληναῖος, ὁ δὲ αὐτόθεν [p. 162] ἐξ Ἰταλίας Κυμαῖος,

Ἀντιπάτρου τοῦ Ταρσέως γεγονὼς ἐν ἄστει συνήθης καὶ τετιμημένος ὑπ ̓

αὐτοῦ προσφωνήσεσι γραμμάτων φιλοσόφων· ἔνιοι δὲ καὶ Κορνηλίαν

συνεπαιτιῶνται τὴν μητέρα πολλάκις τοὺς υἱοὺς ὀνειδίζουσαν ὅτι Ῥωμαῖοι

Σκηπίωνος αὐτὴν ἔτι πενθεράν, οὔπω δὲ μητέρα Γράγχων προσαγορεύουσιν.

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Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ANT/03 Storia romana

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