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P
suolo/concentrazione molecola nell’acqua) e la frazione di carbonio organico all’interno del
suolo (f ); quest’ultima si può calcolare come differenza tra il peso del campione di suolo
oc
prima di qualsiasi trattamento e il peso del campione dopo averlo bruciato (la materia
organica viene persa). Un valore elevato di Koc indica che la sostanza si lega fortemente alla
materia organica, risultando meno mobile e meno biodisponibile nell'acqua (PCB, pesticidi
lipofili), invece un valore basso indica una maggiore mobilità e potenziale contaminazione
delle acque sotterranee (solventi polari, nitrati): mobilità molto alta (0-50), alta (50-150),
media (150-500), bassa (500-2000), molto bassa (2000-5000), immobile
(>5000). Per evitare di usare metodi analitici simili al metodo shake-flask con
acqua e suolo è possibile calcolare indirettamente Koc attraverso l’equazione
di Karichoff, basata sulla relazione positiva lineare tra il log(Koc) e log(Kow): log(Koc) =
log(Kow) – 0,21; maggiore è l'affinità di una sostanza per i lipidi (=ottanolo), maggiore sarà
l'affinità della sostanza per la materia organica presente nel suolo! In realtà, a seconda della
tipologia e quantità di sostanza organica presente nel suolo l'affinità del contaminante per il
suolo può variare parecchio, cosa da tenere in considerazione quando si fanno piani di
monitoraggio in ambienti diversi; in particolare le molecole lipofile si accumulano
maggiormente nel suolo organico in cui il rapporto H/O è elevato (acido umico, acido tannico,
torba), mentre le molecole polari tendono a legarsi al suolo organico con rapporto H/O basso
(maggiore contenuto di gruppi ossigenati).
- Coefficiente di ripartizione aria/acqua (Kaw): è calcolabile come rapporto tra la
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concentrazione (mol/m ) del contaminante in aria (Sa) e la concentrazione del contaminante
in acqua (Sw). La concentrazione in aria può essere calcolata come P/RT, dove P è la tensione
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di vapore, T è la temperatura assoluta e R è la costante dei gas, pari a 8,314 Pa∙m /(mol∙K).
Esistono metodi analitici per calcolare Kaw, ma il metodo più sbrigativo (non serve calcolare
Sw) consiste nell’utilizzare la costante di Henry (H), ovvero il rapporto tra la pressione parziale
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del contaminante in aria (P) e la sua concentrazione in acqua all’equilibrio (Pa∙m /mol): Kaw =
H/RT.
Trasporto dei contaminanti in ambiente: molte molecole sono definite contaminanti
globali, ovvero presenti in zone molto distanti dalla sorgente di emissione a causa del
trasporto mediato dall’atmosfera e del trasporto oceanico a lunga distanza; i POPs sono un
esempio di contaminanti globali, infatti sono semivolatili e possono subire le conseguenze
delle variabili climatiche. La teoria della trappola fredda (cold trapping) afferma che alle basse
latitudini (tropici) i contaminanti vengono trasportati in atmosfera attraverso l'evaporazione
dell’acqua e ricadono al suolo quando avviene condensazione, invece presso le alte latitudini
l’evaporazione non avviene quindi i contaminanti volatili si depositano al suolo e non vengono
più reimmessi in atmosfera; alle latitudini intermedie (fasce temperate) si alternano cicli di
deposizione e cicli di immissione dei contaminanti in atmosfera. Con il termine “effetto
cavalletta” ci si riferisce allo spostamento “a salti” che i contaminanti subiscono dalle basse
latitudini fino alle alte latitudini, a causa del trasporto atmosferico e oceanico (cicli di
evaporazione e deposizione umida): i contaminanti immessi in atmosfera tendono a risalire
verso i poli e depositarsi lì! Altri fattori di rischio tipici degli ambienti freddi sono:
rallentamento dei processi di degradazione a causa delle basse temperature; semplificazione
delle reti trofiche (i predatori hanno a disposizione poche tipologie di prede, quindi di sicuro
bioaccumulano contaminanti se le prede sono contaminate); elevato contenuto lipidico degli
organismi necessario a ripararsi dal freddo (maggior capacità di bioaccumulo di sostanze
lipofile). Il fenomeno di cold trapping avviene anche su scala locale a livello altitudinale: i
POPs tendono ad accumularsi maggiormente nel terreno all'aumentare della quota a causa
dell'aumento del tasso di condensazione; ciò è controintuitivo visto che le alte quote sono in
genere meno antropizzate.
La fusione dei ghiacci causata del riscaldamento globale tende quindi a riversare a valle tutti i
contaminanti volatili che si sono depositati nei secoli scorsi attraverso le acque di fusione!
Uno studio sulla variazione delle concentrazioni di esa-cloro-ciclo-esano (pesticida) e PCB nel
suolo all’aumentare della quota ha confermato la teoria: le concentrazioni al suolo aumentano
con la quota; nello studio è stato anche osservato che le differenze di temperatura tra
versanti a nord e versanti a sud (circa 4 °C) possono influire sulla concentrazione di
contaminanti: le temperature più alte dei versanti esposti a sud possono far volatilizzare i
POPs e quindi diminuirne la concentrazione nel suolo e nelle piante rispetto ai versanti esposti
a nord; tale differenza è stata confermata sperimentalmente: sono state rilevate maggiori
concentrazioni di POPs nell’aria presso i versanti a sud rispetto ai versanti a nord!
La persistenza di un composto rappresenta il suo tempo di residenza in un certo comparto
ambientale (aria, acqua, suolo, sedimenti, biota), qualsiasi sia la sua forma chimica (anche
metaboliti); la resistenza di un composto è invece il tempo che il composto parentale impiega
a subire una qualsiasi forma di degradazione e può essere calcolata attraverso il tempo di
dimezzamento, ovvero il tempo che la molecola impiega a dimezzare la sua concentrazione
nella matrice di riferimento. La degradazione è quindi il fenomeno che porta alla scomparsa di
una certa molecola e può avvenire sia attraverso reazioni biotiche (biodegradazione) che
abiotiche (fotodegradazione). Studiare la persistenza e la degradazione di una molecola
risulta fondamentale per conoscere il suo destino in ambiente e per formulare ipotesi sugli
effetti dannosi sugli organismi, ma anche per conoscere le vie degradative della sostanza (es:
degradazione di polietilene attraverso enzimi delle camole o batteri), la velocità delle reazioni
(tempi di esposizione degli organismi), i metaboliti che si formano e le condizioni ambientali
che possono influenzare la degradazione stessa: a basse temperature e bassa umidità
l'attività degradativa da parte di batteri è in genere molto bassa; la tipologia di comparto
ambientale è un altro parametro importante (es: quantità materia organica). Si noti che una
sostanza molto tossica non sarà necessariamente altamente persistente e viceversa (tossicità
≠ persistenza).
- Fotodegradazione: numerose molecole organiche possono subire trasformazioni a seguito
di reazioni indotte dalla luce, che può essere paragonata ad un vero e proprio reagente
(reazioni fotochimiche); la luce determina infatti una variazione nell’organizzazione degli
elettroni delle molecole; l’energia solare del campo dell’UV-visibile è sufficiente per dare luogo
al processo di fotodegradazione, che può avvenire in atmosfera o negli strati più superficiali
del suolo e dell’acqua.
- Biodegradazione: trasformazione strutturale di un composto organico realizzata da
reazioni chimiche messe in atto da microrganismi nell’ambiente (batteri, protozoi, funghi);
include anche il metabolismo che avviene all’interno degli organismi pluricellulari ad opera di
diverse categorie di enzimi in fegato e reni e talvolta dal microbiota intestinale. In condizioni
di aerobiosi (presenza di O ) alcuni batteri mettono in atto reazioni ossidative che possono
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determinare la formazione di CO e H O; in condizioni di anaerobiosi avvengono invece
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reazioni riduttive che rilasciano metano come sottoprodotto. I processi biodegradativi possono
essere suddivisi in diverse tipologie:
1) Mineralizzazione: biodegradazione completa a formare H O + CO ; è difficile che in natura
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avvenga la completa mineralizzazione di prodotti sintetici, infatti vengono in genere prodotte
molecole fatte apposta per persistere!
2) Biodegradazione primaria: modifica della struttura molecolare e perdita di funzione; se il
DDT perde atomi di cloro e diventa DDD o DDE perde la sua funzione insetticida, ma diventa
più tossico e persistente!
3) Bio-eliminazione: sottrazione di un contaminante da una matrice grazie all’accumulo da
parte di microorganismi presenti nella matrice stessa (bioremedation con piante e
cianobatteri per metalli pesanti).
4) Cometabolismo: attuato da alcuni ceppi microbici in grado di degradare molecole
persistenti solo se sono in presenza di una seconda molecola che funge da fonte di carbonio
(es: parathion degradato a paraoxon). Spesso la biodegradazione viene effettuata da consorzi
di diversi microrganismi che operano in successione.
Oltre a temperatura, pH, sali minerali, acqua (umidità) e ossigeno (aerobiosi/anaerobiosi) la
biodegradazione è influenzata anche dalla biodisponibilità del prodotto: i microrganismi
devono riuscire ad entrare in contatto con la molecola! I fattori limitanti alla biodegradazione
possono essere: permeabilità delle membrane cellulari; crescita della popolazione di microbi
in risposta alla presenza della sostanza da degradare; presenza di enzimi in grado di
trasformare il composto: gli enzimi costitutivi sono quelli già presenti negli organismi e
rapidamente attivabili per la degradazione, invece gli enzimi inducibili sono quelli attivabili
solo in presenza di una determinata sostanza (necessario periodo di acclimatamento dei
batteri => ritardo temporale nella degradazione a parità di output).
Le sostanze resistenti alla biodegradazione sono dette recalcitranti; la resistenza di uno
xenobiotico alla biodegradazione può essere dovuta a: elevata differenza della molecola
rispetto ai composti organici attaccabili dai sistemi enzimatici o presenza di strutture chimiche
difficilmente intaccabili (es: anelli aromatici in PCB e diossine); concentrazioni insufficienti
all’induzione degli enzimi; effetti tossici sui microrganismi; mancata biodisponibilità a causa
del sequestro delle molecole da parte di altri comparti biologicamente non attivi.
Esistono 4 diversi saggi ecotossicologici per valutare la biodegradabilità di una sostanza:
1) Metodo AFNOR (Association Française de Normalisation): valido per sostanze volatili e poco
tossiche; per prima cosa si inserisce una dose nota della sostanza d’interesse in una beuta
insieme ad acqua distillata e sali nutritivi, poi si misura il TOC (total organic carbon) della
soluzione attraverso combustione ad alte temperature