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NEWTONIAN FLUID: NAVIER-STOKES EQUATIONS

Con diversi passaggi, non semplici da un punto di vista analitico, si può arrivare a

esplicitare, per un fluido newtoniano, una forma più complessa, nel caso

tridimensionale, le tre componenti legate alla deformazione angolare:

• per τ si ricorre alle derivate incrociate;

• per σ ci sarà un pezzetto legato alla pressione, + uno legato alle variazioni con

le derivate corrispondenti alla propria direzione, che è uno stretch (un

allungamento del nostro mattoncino), + una parte che è legata alla divergenza

di V, che corrisponde alla deformazione lineare (sappiamo attraverso

l'equazione di continuità che, nel caso in cui il fluido sia incomprimibile, la

divergenza deve essere nulla).

Assembliamo le equazioni e troviamo le Equazioni di Navier-Stokes nella forma

completa, nella forma semplificata nel caso di fluido incomprimibile, in cui la

divergenza di V = 0 con viscosità costante. (formule)

Scritta in questa forma noi le possiamo applicare a flussi laminari, nel caso in cui il

flusso turbolento dobbiamo ricorrere a dei modelli di turbolenza, attraverso i quali si

altera il valore della viscosità, per tener conto degli effetti legati alla turbolenza.

5.5 INTRODUCTION TO COMPUTATIONAL FLUID DYNAMICS

Nei flussi turbolenti la velocità è uguale ad un valore medio della velocità e una

fluttuazione; infatti, localmente ho delle oscillazioni della velocità attorno a un certo

valore. Nella stragrande maggioranza delle applicazioni per lo studio delle macchine

ci interessa il valore medio, non ci interessa risolvere quanto vale la fluttuazione

delle velocità nello spazio, perché queste mediamente sono nulle e avvengono con

delle frequenze così alte che sono fuori dal campo di interesse delle macchine.

Le fluttuazioni di velocità si portano dietro delle deformazioni, e quindi un pezzetto

di sforzo di taglio.

Si può risolvere il problema facendo utilizzo di un modello di turbolenza: si aumenta

la viscosità, a quella molecolare, cioè quella del fluido, se ne aggiunge un altro

pezzetto per tener conto degli sforzi di taglio prodotti dalla turbolenza per effetto

delle fluttuazioni di velocità, poi si moltiplicano per μ.

• Di questi modelli di turbolenza ci sono alcuni molto semplici che si chiamano

modelli algebrici: non si inseriscono nuove equazioni, ma ci si limita ad andare

a guardare il campo di moto facendo degli integrali o delle derivate o delle

somme, operazioni semplici attraverso le quali si trovano i valori da

aggiungere della viscosità.

Prima si risolve il campo di moto, poi si applica il modello algebrico, aggiorno

la viscosità e poi si riparte finché non è arrivata la convergenza.

• Ci sono modelli più complessi che in genere sono modelli a una o due

equazioni e che trasportano grandezze. Trasportare una certa grandezza

significa prendere in considerazione almeno le derivate di questa grandezza, la

derivata rispetto a x, rispetto a y, rispetto a z. Quindi trasportano in una

direzione o nelle due direzioni, grandezze correlate alla turbolenza, per

migliorare l'accuratezza delle equazioni.

Il flusso ha un comportamento più incerto quando cerchiamo di rallentarlo e

aumentare la pressione rispetto a quando lo facciamo accelerare quindi aumentiamo

la velocità e diminuiamo la pressione, tanto che poi, il flusso, nel caso di una forte

diffusione, tenderà a separare. La diffusione e la separazione sono gli aspetti

complessi da modellizzare e per i quali oggettivamente funzionano meglio i modelli a

più equazioni.

Quando si aggiungono equazioni però si aggiungono complicazioni, più pesante il

calcolo, maggiore allocazione di memoria, ci vuole più tempo per avere una

soluzione, si rischia di avere soluzioni che non convergono a seconda dei settaggi, dei

parametri.

Se il campo di moto è semplice e quindi senza separazione, è solo una questione di

modellizzare lo sforzo di taglio all'interno dello strato limite; se invece il flusso

diventa complesso, per esempio, c'è tanta diffusione o addirittura separa allora lì è

probabile che un modello algebrico non sia sufficiente.

Progettando le macchine e volendolo progettare bene ci servirebbe sapere due cose:

1. Il calcolo o la sperimentazione del file corrisponde alla macchina che io voglio

progettare?

2. Gli scarti che ci sono tra quello che succederà nella macchina e quello che io sto

calcolando quanto sono grandi?

Ci si potrebbe chiedere: mi conviene mettere la macchina in galleria del vento o nel

calcolatore? Dipende da quello che vuoi fare: può essere conveniente ricorrere alla

parte di calcolo, di simulazione numerica, oppure alla parte sperimentale; quindi, va

da sé che il buon progettista deve capire qual è il giusto bilanciamento fra quando

fare una misura magari reale sulla macchina e quando invece andare a utilizzare un

calcolatore.

Dobbiamo discretizzare il nostro dominio, ossia dobbiamo creare quella si chiama

una griglia di calcolo.

Scriviamo la derivata e le diciamo il valore della nostra grandezza, lo approssimiamo

con uno sviluppo in serie di Taylor (in genere ci fermiamo al primo ordine).

Riscriveremo le derivate sotto forma di differenze, quindi quella era una derivata

rispetto a x, la facciamo diventare un Delta Δu/Δx, dove Δu è la differenza fra la u a

destra e a sinistra.

Avremmo poi bisogno di risolvere i gradienti del campo di moto.

Se si prende una sinusoide, che è una deformazione abbastanza continua e regolare

nello spazio della nostra deformazione, ci si potrebbe chiedere quante divisioni

temporali dovrei mettere in un ciclo per avere un qualche cosa di realistico.

Più abbiamo distorsione e più dobbiamo mettere punti griglia per riuscire a risolvere

queste distorsioni.

Nel caso del flusso attorno a un profilo alare dobbiamo mettere una griglia molto

densa vicino alla parete dove abbiamo lo strato limite; quindi, dovremmo utilizzare

delle griglie che hanno una densità variabile e che è maggiore dove maggiori sono i

gradienti o le variazioni del campo di moto.

Se prendiamo un nodo della nostra griglia di calcolo, abbiamo il valore a destra il

valore a sinistra in i+1 e in i-1, e il valore sopra e il valore sotto il valore sopra in j +1,

il valore sotto in j-1. Si può approssimare questa derivata in x prima calcolando la

derivata a destra e quindi Ψ (i +1)/Δx, poi va a sinistra e si fa la media, oppure

facendo direttamente Ψ(i +1)-Ψ(i-1) /2 Δx in modo da avere un'approssimazione.

Alla stessa maniera se io faccio la differenza di queste due, posso approssimare la

derivata seconda e così via.

Ottengo una matrice che segue la molecola che stiamo guardando; quindi, in base al

numero di derivate, dal tipo di equazioni che noi abbiamo, si attivano più nodi.

Si utilizzano metodi iterativi nei quali si parte da una soluzione iniziale, si sostituisce i

valori e si prosegue affinché non si arriva a convergenza. La convergenza può essere

più o meno rapida nel tempo, questo dipende dallo schema di calcolo:

il numero di iterazioni che ci vogliono per arrivare alla convergenza in genere è

legato a quanto è prevalente da un punto di vista di diagonale la nostra matrice.

Più grandi sono i numeri di quella diagonale come entità rispetto agli altri che gli

stanno accanto, e più velocemente il nostro sistema, una volta che lo risolvo, tenderà

a convergere velocemente. Più sparsi sono invece come entità questi termini e

quindi si perde una forte predominanza diagonale, più tempo ci vorrà da un punto di

vista iterativo ammesso che ci riesca (ci possono essere tanti casi nei quali non si

riesce con quella struttura di iterazione: allora si deve riscrivere le equazioni

andando a guardare dove sono i termini più pesi da un punto di vista di prevalenza,

vanno riscritti in modo che le incognite vadano nella diagonale

Ci sono vari metodi per arrivare a scrivere le equazioni: metodo dei volumi finiti e

metodo delle differenze. Però in realtà lo stesso risultato lo si potrebbe ottenere

partendo dalle equazioni integrali, cioè, prendere il cubettino e andare a scrivere

quanto vale la differenza dello sforzo di taglio e così via, oppure partendo dal volume

di controllo e tirare fuori le derivate.

A questo punto riusciamo a risolvere il problema e vediamo quanto è accurata la

nostra soluzione, cioè quanto la soluzione, che è basata su una certa griglia, è

distante dalla soluzione di riferimento, cioè quella dell'integrazione delle equazioni

che corrisponde a far tendere a zero Δx, Δy, Δz della nostra griglia. (cosa che non

possiamo fare ovviamente perché corrisponderebbe ad avere infiniti nodi di calcolo)

Potrei fare quella che si chiama un'analisi di sensibilità della griglia facendo un

calcolo con più griglie con densità diverse e guardare qual è l'esponente che mi fa

diventare questa grandezza una retta. Quell'esponente sarebbe l'accuratezza con la

quale io vado, auspicabilmente dovrebbe essere intorno a Δ quadro. Se è molto

differente il quadro vuol dire sto scrivendo male le mie differenze da qualche parte.

Questo non vieta di andare avanti, cosa che si fa nei metodi più accurati. Se ho

solamente la derivata in x mi vengono tre punti, siamo in y vengono 5 punti, se

metto derivate seconde e terze si allarga la quantità di termini che io ho sulla mia

riga attorno al mio punto di j, quindi si complicano parecchio le equazioni, però è

anche vero che, siccome sono più accurate, posso usare un numero inferiore di

punti.

In genere per applicazioni tradizionali si usano le differenze al secondo ordine, si

prendono schemi più accurati solo quando si vuole andare a fare calcoli molto

complessi.

I limiti sono in parte legati alle risorse di calcolo; quindi, quante risorse di calcolo ha

a disposizione e che costo hanno queste risorse di calcolo.

Il costo di queste risorse dovute dall'assorbimento di energia elettrica per effettuare

un calcolo è un qualche cosa che sta calando e continuerà a calare, andando verso

valori asintotici.

Sono necessari dei canoni di ritmi per analizzare le soluzioni. Il clock ci dice il tempo

su come vengono fatte queste operazioni, le aziende che producevano i processori

lavoravano soprattutto sul clock, cioè, aumentavano la frequenza riuscivano a

costruire con frequenze che consentivano di fare i calcoli più velocemente.

Un limite è quello legato alla frequenza al blocco della macchina che va poi anche

con il riscaldamento e quindi con la capacità di raffreddare il processore

Dettagli
Publisher
A.A. 2024-2025
83 pagine
SSD Ingegneria industriale e dell'informazione ING-IND/06 Fluidodinamica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher isastale di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Fluidodinamica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Arnone Andrea.