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La marcia su Roma e l'ascesa di Mussolini

Questo perché quando, con la Marcia su Roma il 28 ottobre 1922, il re nominò Mussolini primo ministro, si sarebbe trattato di una probabile violazione dello Statuto. Il re si era rifiutato di firmare il decreto di stato d’assedio che il Governo legittimo gli aveva sottoposto e, in secondo luogo, aveva nominato primo ministro il rappresentante di un partito allora minoritario del Parlamento con 37 seggi alle elezioni del 1921, a seguito di un atto di forza e di una vera e propria autodesignazione.

Cambiamenti legislativi durante il regime fascista

Da questo momento è iniziata una progressiva crescita di uno Stato differente rispetto allo Statuto che non verrà abrogato, ed esisterà sempre fino alla Costituzione Repubblicana, erogato con una serie di leggi ordinarie, ma più importante, verrà cambiata l’essenza della forma di Stato.

Le leggi del regime fascista

  • 1924 Legge Acerbo: legge elettorale che consentiva al partito che avesse ottenuto il 25% dei voti di ottenere i 2/3 dei seggi della Camera. In realtà il partito fascista non ebbe bisogno dell’applicazione della legge in quanto ottenne quasi il 65% dei voti.
  • L.2263/1925 legge sulle attribuzioni del capo del Governo: fu stabilito che:
    • Il Governo diveniva superiore gerarchico rispetto agli altri ministri.
    • Le Camere non potevano più porre la mozione di sfiducia per censurare l’operato del Governo.
    • Nessun oggetto poteva essere messo all’ordine del giorno delle Camere senza il consenso del Capo di Governo.
  • L.100/1926 potere legislativo al Governo: fu ampliato a dismisura il potere del Governo di emanare atti con forza di legge e regolamenti senza passare dal Parlamento, esautorandone l’attività anche dal punto di vista dell’esercizio della funzione legislativa.
  • Nel 1926 furono inoltre cancellate le prerogative parlamentari, disponendosi la decadenza dei parlamentari che, a seguito del delitto Matteotti, si erano astenuti dai lavori delle Camere. In quello stesso anno fu creato il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, con il compito di giudicare i delitti politici.
  • L.2693/1928 Costituzionalizzazione Gran Consiglio del Fascismo: tramite questa legge il massimo organo del partito diventava un organo dello Stato, direttamente dipendente dal capo del Governo, che ne sceglieva i componenti, lo convocava e ne determinava l’ordine del giorno.
  • 1939 legge di abolizione delle camere: sancisce la soppressione della Camera dei Deputati e l’istituzione in sua vece della Camera dei fasci e delle corporazioni.
  • 1943 ordine del giorno Grandi: inizio della caduta del fascismo. Il Gran Consiglio del fascismo votò questo ordine che sostanzialmente esautorava Mussolini. Con tale ordine del giorno si dichiarò che era necessario il ripristino delle funzioni statali, e si invitò il Re a riassumere i poteri che aveva in base allo Statuto. Il giorno dopo il Re revocò Mussolini da primo ministro, ne ordinò l’arresto e nominò il Maresciallo Badoglio primo ministro.

Il periodo transitorio (8 settembre 1943 - 1 gennaio 1948)

La guerra non è finita ma ci si comincia a chiedere quale sarà l’assetto dell’Italia dopoguerra. Il regime fascista non vi era più, né era possibile tornare allo Statuto in quanto avrebbe significato legittimare nuovamente e pienamente istituzioni monarchiche, mentre i partiti antifascisti erano caratterizzati da ideologie repubblicane.

Il ruolo dei Comitati di Liberazione Nazionale (CNL)

I sei partiti (partito liberale, partito democratico del lavoro, partito della democrazia cristiana, partito d'azione, partito socialista di unità proletaria, partito comunista del lavoro) riuniti nei Comitati di Liberazione Nazionale (CNL) tentavano di tenere rapporti con gli alleati in funzione del dopoguerra, e posero fin da subito linee guida per la questione istituzionale, ovvero il passaggio da una monarchia fortemente compromessa con il regime fascista, alla forma repubblicana.

Il Patto di Salerno e le nuove disposizioni

Nel 1944, per queste linee guida, fu istituito il Patto di Salerno. Il re si sarebbe ritirato a vita privata, nominando il figlio Umberto luogotenente, fatto che accadde il 5 giugno dopo la liberazione di Roma. Una volta finita la guerra, un'Assemblea Costituente avrebbe deciso sia sulla forma di Governo (se Monarchia o Repubblica) sia sul nuovo assetto costituzionale.

Con un successivo decreto luogotenenziale del 16 marzo 1946 furono modificate queste scelte:

  • Si sottrasse la scelta sulla forma di Stato all’Assemblea Costituente per attribuirla alla volontà popolare tramite un referendum.
  • Fu stabilito che la funzione legislativa non sarebbe stata esercitata dall’Assemblea Costituzionale ma dal Governo.

L’art. 3 del d.lgs.lgt. 16 marzo 1946 n.98 stabiliva in verità che il potere legislativo restava delegato al Governo:

“Durante il periodo della costituente e fino alla convocazione del Parlamento a norma della nuova Costituzione, il potere legislativo resta delegato, salva la materia costituzionale, al Governo, ad eccezione delle leggi elettorali e delle leggi di approvazione dei trattati internazionali le quali saranno deliberate dall’assemblea. Il Governo potrà sottoporre all’esame dell’assemblea qualunque altro argomento per il quale ritenga opportuna la deliberazione di essa. Il Governo è responsabile verso l’assemblea costituente.”

L'abdicazione di Vittorio Emanuele III

Il 9 maggio 1946 Vittorio Emanuele III abdicò in favore del figlio Umberto. Pose così in essere un atto illecito - se si era ritirato non aveva più poteri e quindi non poteva abdicare - violando altresì la tregua istituzionale sancita dal decreto del 1944.

La Monarchia sperava di avere una maggiore forza presentandosi al referendum istituzionale con un Re meno compromesso con il regime e soprattutto pienamente in carica. Nonostante questo atto il Governo e i partiti dei CLN non si opposero; troppo era il rischio di un conflitto aperto con la Corona e il rinvio del referendum istituzionale.

Tale referendum si svolse regolarmente il 2 giugno 1946 e vinse la Repubblica sia pure con uno scarto non enorme di 1.998.639 voti.

L'Assemblea Costituente e la nuova Costituzione

Con il decreto luogotenente l’Assemblea Costituente ebbe un distacco con le questioni politiche del Paese. Staccata dalla politica e dalla questione istituzionale che divideva l’Italia, l’Assemblea Costituente poteva concentrarsi su una Costituzione in grado di guardare lontano nel tempo. Con l’elezione dell’Assemblea Costituente finiva il periodo dell’esarchia dei CLN e si apriva una fase politicamente bipolare.

Su 556 deputati, 104 erano del partito comunista, 114 del partito socialista, 207 della democrazia cristiana, 10 del partito d’azione, 25 del partito repubblicano, 9 della democrazia del lavoro, 78 delle destre e altri di colore indecifrabile. Il blocco composto da comunisti e socialisti pesava intorno al 39%, la democrazia cristiana si collocava intorno al 35%, mentre gli altri partiti avevano rappresentanze percentualmente molto inferiori.

La divisione del paese e l'obiettivo della Costituzione

Il paese era fortemente diviso. Il partito fascista non esisteva più ma ciò non significava che non esistessero più i fascisti. Il fronte popolare aveva una componente ideologica marxista molto forte. La guerra prima e l’occupazione dopo, avevano distrutto l’economia ed il senso dell’identità nazionale.

In questo contesto, l’obiettivo pregiudiziale della Costituzione era prima sociale che giuridico, occorreva prioritariamente contenere le disomogeneità allo scopo di evitare conflitti sociali e derive autoritarie. La Costituzione doveva quindi prevedere un sistema articolato di diritti e uno Stato che fosse in grado di intervenire per equilibrare le forti disuguaglianze sociali ed economiche. “Libertà del bisogno”, come diceva Calamandrei, costituiva il presupposto per il godimento degli altri diritti.

Occorreva poi un sistema articolato di protezione dei diritti delle minoranze ed un sistema di garanzie per evitare che una maggioranza contingente potesse prendere il sopravvento. Su questi obiettivi si fondò il famoso “compromesso”, o “patto”, dal quale scaturisce la Costituzione.

Di questo patto l’Onorevole Togliatti, leader del partito comunista, dette la seguente rappresentazione ad una seduta dell’Assemblea:

Che cosa è un compromesso? Gli onorevoli colleghi che si sono serviti di questa espressione, probabilmente l’hanno fatto dando ad essa un senso deteriore. Questa parola non ha però in sé un senso deteriore, ma se voi attribuite ad essa questo senso, ebbene scartiamola pure. In realtà, noi non abbiamo cercato un compromesso con mezzi deteriori… meglio sarebbe dire che abbiamo cercato di arrivare ad una unità, cioè di individuare quale poteva essere il terreno comune sul quale potevano confluire correnti ideologiche e politiche diverse, ma un terreno comune che fosse abbastanza solido perché si potesse costruire sopra di esso una Costituzione, cioè un regime nuovo, uno Stato nuovo e abbastanza ampio per andare al di là anche di quelli che possono essere gli accordi politici contingenti dei singoli partiti che costituiscono o possono costituire una maggioranza parlamentare.

Inoltre, dopo aver accennato alla confluenza tra solidarismo marxista e solidarismo cristiano aggiungeva:

Se questa confluenza di due diverse concezioni su un terreno ad esse comune volete qualificarla come compromesso fatelo pure. Per me si tratta, invece, di qualcosa di molto più nobile, ed elevato, della ricerca di quella unità che è necessaria per poter fare la costituzione non dell’uno o dell’altro partito, non dell’una o dell’altra ideologia, ma la costituzione di tutti i lavoratori italiani, di tutta la Nazione.

La Commissione dei 75

Per redigere un progetto iniziale di discussione fu istituita una commissione, detta Commissione dei 75, divisa in tre sottocommissioni:

  1. La prima per i diritti e i doveri dei cittadini.
  2. La seconda per l’organizzazione costituzionale dello Stato.
  3. La terza per i lin...

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Scienze giuridiche IUS/08 Diritto costituzionale

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