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CGUE,
in via pregiudiziale, alcune questioni interpretative tendenti ad accertare se i singoli
possano
far valere direttamente nei confronti dello Stato i benefici previsti dalla direttiva
risultanti da
disposizioni sufficientemente precise e incondizionate e comunque richiedere allo
Stato il
risarcimento del danno subito in relazione alle disposizioni della direttiva che non
abbiano
tali caratteristiche.
Appurato che la direttiva in questione non era sufficientemente precisa e
incondizionata e
dunque non consentiva agli interessati di far valere i diritti da essa attribuiti ai
lavoratori
direttamente nei confronti dello Stato membro, la Corte di giustizia ha esaminato la
questione
della responsabilità dello Stato per danni derivanti dalla violazione degli obblighi sorti
in
forza del diritto comunitario.
Sul fondamento della responsabilità dello Stato, la sentenza afferma che:
«il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del
diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato» (punto 35).
Un
fondamento specifico può essere ritrovato, secondo la Corte, già nell’obbligo degli
Stati
membri di adottare tutte le misure atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi
comunitari
(art. 4, c. 3, TUE), compreso quello di eliminare le conseguenze illecite di una
violazione del
diritto europeo.
I presupposti della responsabilità degli Stati membri
Sono tre le condizioni enunciate dalla sentenza, in presenza delle quali sorge
responsabilità:
a) che la direttiva implichi l’attribuzione di diritti a favore dei singoli;
b) che il contenuto di tali diritti possa essere individuato sulla base della direttiva
stessa;
c) che esista un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo a carico dello Stato e il
danno subito dai soggetti lesi.
La sentenza Francovich costruisce il sistema europeo come ordinamento autonomo:
capace di edificare i propri principi e di imporli agli Stati membri. La responsabilità
degli
Stati membri non è più retta solo dai principi del diritto nazionale, ma anche dai
principi
autonomamente formatisi (anche in via giurisprudenziale) nel diritto europeo.
Violazione del diritto comunitario da parte del legislatore
La seconda sentenza fondamentale è la sentenza Brasserie du pécheur-Factortame
(1996)
ha stabilito che gli Stati membri possono essere tenuti a risarcire i danni cagionati da
violazioni del diritto comunitario da parte del legislatore nazionale.
I casi sottoposti alla Corte riguardavano:
a) da un lato, un divieto di importazione in Germania di birra francese prodotta in
modo
non conforme ai requisiti di genuinità prescritti dalla legge fiscale tedesca sulla birra,
in violazione dell’art. 34 TFUE;
b) dall’altro, la previsione contenuta nella legge inglese sulla navigazione mercantile di
taluni requisiti restrittivi di nazionalità, residenza e domicilio per i proprietari e gli
esercenti di pescherecci prescritti ai fini dell’iscrizione in un apposito registro (in
violazione dell’art. 49 TFUE).
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Le disposizioni europee violate dal legislatore nazionale in entrambi i casi erano tali da
conferire direttamente ai singoli diritti in senso proprio.
La responsabilità da atto amministrativo in violazione del diritto Europeo
La sentenza Lomas del 23 maggio 1996, in causa C-5/94, ha sancito il principio
secondo
cui la responsabilità dello Stato può sorgere non solo in relazione a un atto normativo,
bensì
anche a un atto amministrativo adottato in violazione del diritto europeo.
Il caso riguardava un diniego di una licenza di esportazione di animali da macello
destinati
alla Spagna da parte del ministero dell’Agricoltura, della Pesca e dell’Alimentazione
britannico, giustificato dal fatto che i mattatoi spagnoli utilizzavano tecniche di
macellazione
contrastanti con la direttiva comunitaria 74/577/CE relativa allo stordimento degli
animali
prima della macellazione. La Corte ha sottolineato che nel caso di diniego della licenza
di
esportazione, diversamente da quanto accade normalmente nel caso di attività
normativa, il
ministero inglese non dispone di margini di discrezionalità significativi e pertanto «la
semplice trasgressione del diritto comunitario può essere sufficiente per accertare
l’esistenza
di una violazione sufficientemente grave e manifesta» (punto 28).
La Corte ha poi precisato che la responsabilità dello Stato membro per violazione del
diritto europeo sorge qualunque sia l’organo di quest’ultimo la cui azione od omissione
ha
dato origine alla trasgressione. I casi più rilevanti hanno riguardato il Land del Tirolo
(sentenza 1o giugno 1999, in causa C-302-97, Konle), nel quale è stato chiarito che
uno Stato
membro non può sottrarsi alla responsabilità invocando la ripartizione interna delle
competenze derivante dalla sua struttura federale, e un ente previdenziale pubblico
(la cassa
di malattia dei dentisti tedesca) (sentenza 7 aprile 2000, in causa C-424-97, Haim).
La responsabilità da pronuncia giurisdizionale in violazione del diritto Europeo
La quarta ed ultima sentenza è la Koebler (sentenza 30 settembre 2003, in causa C-
224-
01), in cui si è affermato che la responsabilità dello Stato può sorgere in conseguenza
di
pronunce di organi giurisdizionali.
Non possono costituire un impedimento a riconoscere questo tipo di responsabilità,
come
rileva la sentenza stessa, né il principio dell’autorità del giudicato, poiché il giudizio
“inteso
a far dichiarare la responsabilità dello Stato non ha lo stesso oggetto e non implica
necessariamente le stesse parti del procedimento che ha dato luogo alla decisione che
ha
acquisito l’autorità della cosa definitivamente giudicata” (punto 39); né il principio
dell’indipendenza del giudice, poiché assume rilievo “non la responsabilità personale
del
giudice, ma quella dello Stato” (punto 42).
La responsabilità amministrativa
Lezione 4, 16.09.2024, Filippo Lombardo
Riguarda il rapporto interno tra il funzionario e la PA di appartenenza e in questo senso
costituisce, concettualmente, una sottospecie della responsabilità del lavoratore
subordinato
nei confronti del proprio datore di lavoro che nasce in conseguenza della violazione dei
doveri
di diligenza (art. 2104 C.c.).
Il regime giuridico della responsabilità amministrativa è però molto diverso da quello
del
diritto comune e si caratterizza per avere un carattere ibrido, a metà strada tra la
responsabilità
contrattuale ed extracontrattuale. La finalità è essenzialmente risarcitoria, ma in
alcune
fattispecie particolari emerge anche una finalità sanzionatoria.
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Le fonti normative della responsabilità amministrativa sono costituite dal Testo unico
delle leggi sulla Corte dei conti approvato con R.d. 12 luglio 1934, n. 1214, e
soprattutto dalla
l. 14 gennaio 1994, n. 20.
Danno erariale diretto e indiretto
Il danno erariale causato dal funzionario può essere di due tipi:
- Danno erariale indiretto: quando l’agente emana un provvedimento che produce un
danno a soggetti privati, che intentano un’azione risarcitoria dinanzi al giudice e lo
Stato viene condannato, quest’ultimo con azione di regresso tenterà di rifarsi sul
funzionario in questione della somma risarcita al danneggiato);
- Danno erariale diretto: ogni genere di danno causato alla PA dal proprio dipendente
che determini un decremento patrimoniale o un mancato introito nelle casse dello
Stato
(es.: consulenze non necessarie affidate a professionisti esterni, spese superflue degli
amministratori di enti o non legate strettamente all’attività di servizio, ecc.).
Le condotte che possono dar origine a danno erariale sono atipiche, anche se il
legislatore,
sempre più di frequente, tipizza per legge alcuni comportamenti suscettibili di far
sorgere la
responsabilità amministrativa (es., la legge anticorruzione prevede che in caso di
commissione di un reato di corruzione all’interno dell’amministrazione, il dirigente
responsabile della prevenzione di questo tipo di reato possa rispondere per danno
erariale e
all’immagine della PA se non ha vigilato sull’osservanza del piano anticorruzione
approvato
dall’amministrazione (art. 1, c. 12, l. n. 190/2012)).
Ambito di applicazione
È un ambito che riguarda principalmente i funzionari, impiegati, agenti pubblici e
amministratori delle PA statali e non statali e di enti pubblici (aziende sanitarie locali,
enti
parastatali, ecc.).
Nel corso del tempo il novero delle figure incluse nella nozione di agente pubblico si è
ampliato fino ad abbracciare anche gli amministratori di enti pubblici economici.
Possono essere chiamati a rispondere anche soggetti esterni all’amministrazione, ma
comunque legati ad essa da un «rapporto di servizio» di natura economica. (es., in
materia di
lavori pubblici finanziati con fondi erariali, il progettista, il direttore dei lavori e il
collaudatore, anche se sono liberi professionisti non dipendenti di una PA Queste figure
svolgono compiti che includono l’esercizio di poteri autoritativi nei confronti
dell’impresa
appaltatrice e sono inseriti, sia pure solo temporaneamente e funzionalmente,
nell’apparato
organizzativo della PA).
Le società pubbliche e la responsabilità amministrativa
Un caso particolare di responsabilità amministrativa è quello delle società pubbliche.
La giurisprudenza della Corte dei conti ha esteso l’ambito della responsabilità
amministrativa anche agli amministratori e dirigenti delle s.PA in mano pubblica,
sottoponendo così questi ultimi a un doppio regime di responsabilità, quella di diritto
societario (artt. 2393 ss. C.c.) e quella per danno erariale. La preoccupazione della
Corte era
che attraverso il ricorso (e talora all’abuso) dello strumento della s.PA in mano
pubblica si
volessero eludere i vincoli pubblicistici.
Successivamente, la Cassazione (Sez. Un., 19 dicembre 2009, n. 26806) ha posto un
limite
a questo tipo di estensione: in linea di principio le società pubbliche non rientrano nel
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perimetro della responsabilità amministrativa, proprio perché esiste quella civilistica.
Semmai, sarebbero le PA che hanno istituito tali società a dover rispondere a titolo di
responsabilità amministrativa per non aver controllato e vigilato s