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Estratto del documento

Antigone si pone come un tiranno, senza potere, ponendosi sopra la legge

statuita da chi ha legittimamente il kratos sulla città.

Poi c'è un problema, quando parliamo di una produzione del diritto ateniese o

di altre poleis, ci riferiamo solo alle norme vigenti in quella poleis o in qualche

modo ad un comune patrimonio nomico?cioè ci sono fonti giuridici valevoli

non solo per una città, ma per un complesso di città greche? E qui bisogna

introdurre la contrapposizione enunciata da Aristotele fra due coppie.

Aristotele nella Retorica sta sempre parlando del nomos e non contrappone

lo stesso a qualcosa di diverso del nomos, ma all'interno del nomos e quindi

copre l'intero scenario, introduce due diverse polarità:

-koinos e idios, cioè nomos comune a più città e nomos particolare alla

singola città, in particolare ad Atene.

-(in un altro punto della Retorica) contrappone sempre il nomos tra agraphos

nomos e gegrammenos nomos, cioè nomos scritto e nomos non scritto.

Qualche volta si tende a considerare queste due distinzioni di Aristotele

sovrapponibili, dicendo che il nomos comune è il nomos non scritto e il

nomos particolare è il nomos scritto, non è assolutamente vero.

(pag.2, Aristotele-Retorica I. 1373 b – 1) “Intendo per legge sia la legge

particolare sia quella comune, per particolare intendo quella che per ciascun

popolo è stata definita in rapporto ad esso ed essa può essere sia non scritta

che scritta, per legge comune quella che è secondo natura. -e qui c'è la prima

di due citazioni che Aristotele fa dall'Antigone, dichiarando- Vi è infatti un

giusto e ingiusto per natura di cui tutti hanno come un'intuizione -il discorso

dalla legge si sposta al dikaion, c'è un giusto 'fusei' e 'koinon'- un giusto

comune secondo natura anche se non vi è nessuna comunanza degli uni con

gli altri e neppure un accordo" -e poi riporta i testi si Sofocle e questa è la

prima libera rilettura dei testi dell'Antigone. Aristotele attrae il discorso

dell’Antigone nella contrapposizione tra giusto per natura e giusto secondo la

legge, ma introduce un elemento che non c’era nell’Antigone: l’appello alla

Natura.

Qui si dimostri come queste due distinzioni non sono affatto sovrapponibili,

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koinos nomos è la legge comune a più di una comunità poi può essere scritta

o non scritta, e così anche l'idios nomos, il nomos scritto di una comunità è

tendenzialmente scritto, ma non è detto. Qui semplicemente si dice è diverso

il nomos che si trova in una sola città e il nomos che si trova in più città

perché corrispondente a un senso del giusto che è comune a tutti i greci, per

natura la natura è la ragione umana propria dei greci, tutti gli appelli alla

natura sono sempre molto da contestualizzare. La natura gioca in Aristotele

un ruolo fondamentale, in molti passaggi, la contrapposizione tra nomos e

physeis, quando Aristotele scrive nella prima metà del IV secolo a.c., ha alle

spalle una storia abbastanza lunga, è stato un grande tema del dibattito del V

secolo.La prima apparizione è stata particolare nel corpo ippocratico dove si

contrappongono nel senso del nomos come convenzione e della natura come

dinamiche imposte dalla struttura fisica. Poi diventa un grande tema del

dibattito sofistico dove i sofisti si incuneano in quella scissione tra sfera

umana e quella divina e quindi criticano anche la trascendenza del nomos

perché ne vedono un puro frutto di convenzione non rispondente a dei

dettami necessari di natura. Il motivo del carattere puramente formale del

nomos è anche un motivo importante, ovviamente contrastante con

l'immagine del nomos con il fondo di trascendenza che ha alle spalle la

trascendenza divina. E' molto diversa l'immagine del convenzionalismo nei

sofisti rispetto all'immagine del convenzionalismo in Socrate: nel Critone il

convenzionalismo non è una risposta speculare ai sofisti, Socrate dice che le

leggi gli rimproverano di non stare ai patti, "non ti sembra che noi e te

abbiamo concluso un accordo" -le leggi con Socrate si immaginano di essere

parte attiva della convenzione, anzi di essere il soggetto forte della

convenzione le leggi dicono prima di essere inventate dagli uomini e

stipulano col singolo cittadino un accordo, vivere secondo le leggi. Il

convenzionalismo socratico è profondamente diverso dal convenzionalismo

aristotelico, non è semplicemente una risposta, a volte è stato detto che i

sofisti screditano la legge perché prodotto di un accordo, non è basato sulla

physeis. E Socrate replicherebbe a questo dicendo "proprio perché le leggi

sono il prodotto di un accordo bisogna rispettare l'accordo" -ma non è vero,

Socrate non raffigura le leggi come il frutto dell'accordo, ma queste

preesistono all’accordo, padrone degli uomini. Socrate è stato nutrito dalle

leggi e quindi il prodotto dell’accordo non sono le leggi, ma l’obbedienza a

queste. Vi è una simmetria tra la syntheke, atto scritto vincolante tra le parti, e

il nomos, vincolante verso tutti coloro che abitano in quella città, perché è

l'accordo di tutta la città.

Quando Aristotele passa a trattare di questa seconda polarità (tra nomos

scritto e non scritto) lo fa in una prospettiva che è ancora più spiccatamente

retorica. C'è una immagine nella Retorica di Aristotele che va sempre tenuta

presente, Aristotele all'inizio dell'opera spiega sempre quello che ha voluto

fare, affermando di essere il primo a scrivere un trattato di retorica, non dà

nella Retorica uno strumento di elementi utilizzabili, spiega come costruirsi gli

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elementi. Stiamo parlando dunque delle prove, delle pisteis e dice "cosa

devo fare se contro il mio assistito viene prodotta una certa prova" Se ci

fosse una legge scritta a favore del mio assistito, devo dire che conta solo la

legge scritta, perché le leggi furono scritte per togliere ai giudici la possibilità

di appellarsi ad altre soluzioni quindi conta solo la legge scritta. Nel modo

inverso in cui la legge scritta è contro gli interessi della parte allora Aristotele

dice che bisogna andare a screditare la legge scritta, dimostrando che la

legge scritta è contraria ad una altra legge, la legge non scritta rispondente al

giusto secondo natura. La legge ingiusta non merita neanche di essere

chiamata legge, è tutto un artificio retorico. Aristotele dimostra con questo

passaggio nella Retorica che all'interno del nomos stesso ci può essere

qualcosa

di altro distinto e contrapposto, ma siamo sempre all'interno del nomos.

Un sentimento del giusto, del dikaion. Dunque esistono ordini nomici diversi,

dunque per nomos possono intendersi non solo le nostre leggi, ma qualcosa

di più: un miscuglio di morale, etica e legalismo.

Un grande tema aristotelico è l'equo =To epieikés. Aristotele non dice mai

che l'equo è la giustizia del caso singolo, per Aristotele l’equo è una forma del

giusto. Non è il giusto in riferimento al caso singolo, è la disciplina giuridica

del caso singolo.

Il tema dell'equità è un tema importante perché la tradizione greca qui è più

importante di quella romana: aequum romano vuol dire uguale, non equo;

mentre l’equo greco crea la norma per il caso, l’aequum romano non crea la

norma al caso, ma adatta la norma al caso, cioè nell’aequum romano non si

crea un nomos nuovo per una nuova situazione, ma si prende una disciplina

generale preesistente e la si modifica, la si modella sull’esigenza del caso.

Per noi il mondo dell'equità è contrapposto al mondo delle leggi. Per noi la

valutazione di equità, si pone fuori della produzione del diritto, riguarda solo il

momento applicativo, riguarda organi che non sono politici, sta fuori dalla

produzione politica del diritto. Nell’esperienza greca invece il momento della

creazione equitativa del diritto non è tanto l’emanazione della sentenza, cioè

il momento del giudizio, ma è un momento integralmente politico quale

l’emanazione dello psephismata, il decreto dell’assemblea. Infatti il decreto,

mancando del necessario carattere generale e perpetuo, esprime l’equo,

esprime la valutazione puntuale del caso. L’equo è come il regolo di Lesbo,

materiale flessibile dell’isola che usato dai muratori si adattava alla superficie

degli oggetti, alla configurazione della pietra. Dunque l’equità è questo:

adattare la norma giuridica alle caratteristiche delle situazioni. Aristotele lo

dice non per i giudici, ma per i cittadini che emanano lo psephismata. Questa

tradizione che è diversa da quella romana, ha due anime e non è una

elaborazione che guarda all'equo come qualcosa di riferibile ad arbitri e

giudici, come qualcosa che si colloca in uno spazio extrapolitico, come è per

noi. 4 di 10

(pag 1, Aristotele-Etica Nicomachea)

“Dunque queste pressappoco sono le considerazioni da cui nasce l'aporia

che concerne la nozione di equo, e in un certo senso sono tutte corrette e per

nulla in contraddizione tra di loro". Aristotele afferma che epieikes è un’altra

cosa rispetto al giusto ed è migliore del giusto, però non sono di genere

diverso .”In effetti l’equo, pur essendo superiore ad un certo tipo di giusto, è

esso stesso giusto, ed è superiore al giusto pur non costituendo un altro

genere”. Dunque non è che l’equo è superiore a ogni forma del giusto è che

l’equo è una forma del giusto. Il giusto secondo l’equo è una specie del

genere giusto ed è superiore a ciò che sta fuori, al giusto non secondo l’equo.

Giusto ed equo sono la stessa cosa, e, pur essendo entrambi buoni, l’equo

ha più valore. L’equo è sì giusto, ma non è il giusto secondo la legge, non è il

dika kata nomon. Il giusto secondo l’equo è più buono, più giusto del giusto

secondo la legge. Equo è un correttivo del giusto secondo il nomos.

Epanortoma vuol dire il correttivo, qui si dice che l'equo è correttivo della

legge, la valutazione di equità corregge la legge.

Nella sua applicazione si è tenuti a cambiare la legge in linea con l’epieikes.

Sembra una affermazione che travolge questa presunta sovranità del nomos,

in realtà quella correzione è molt

Dettagli
Publisher
A.A. 2024-2025
10 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher emminaa05 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritti greci e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Siena o del prof Stolfi Emanuele.