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Nobili. Questo Corpo dei Nobili deve poter fare le proprie
assemblee e prendere le proprie deliberazioni, ma deve anche
avere il diritto di veto sulle iniziative del popolo, esattamente come
il popolo ha diritto di veto sulle iniziative dei nobili. Ma allora perché
il potere legislativo deve essere in mano ai nobili? Perché se i nobili
avessero un voto come gli altri, la libertà comune sarebbe la loro
schiavitù e non avrebbero interesse a difenderla, perché la maggior
parte delle deliberazioni sarebbero contro di loro: è giusto che i
nobili abbiano il potere legislativo perché altrimenti sarebbero
sempre in minoranza e non avrebbero nessun interesse a difendere
lo Stato. Espone questa sua teoria del capitolo 11 paragrafo 6
Esprit de Lois
dell’ ed in questa sua opera esamina anche il potere
esecutivo, che è in mano del monarca, perché ci deve essere una
persona sola con il potere esecutivo: le decisioni rapide vanno prese
da uno solo. La volontà del monarca deve poter impedire le
iniziative del legislativo, che rischia di diventare un potere dispotico.
E come fa il monarca a bloccare questo potere? Bloccando le
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convocazioni del Parlamento, bloccando la durata delle assemblee
legislative e così via. Da parte sua, il potere legislativo non deve
poter bloccare l’esecutivo, ma deve poter controllare che le leggi
siano ben eseguite e deve giudicare i ministri del monarca. Deve
giudicare i ministri e non il monarca, i ministri servono come
garanzia al monarca, sono loro i responsabili di fronte al monarca, il
quale può sceglierli o deporli, ma i ministri servono poi da filtro di
responsabilità per il monarca. Il monarca non è elettivo. Per il potere
giudiziario Montesquieu elabora la teoria della giurisprudenza
meccanica e della totale sottomissione del giudice alla legge. Il
potere giudiziario deve essere formato da persone tratte dal popolo
– e non professionisti – e deve formare tribunali temporanei che
restano in azione e in vigore fino a quando vi è necessità. Non ci
sono giudici fissi. Il giudiziario è temporaneo e non da professionisti
perché la funzione giudiziaria deve essere apolitica e indipendente.
Solo se si esclude la professionalità e se si considera che il
magistrato deve essere staccato dalla politica, si assicura la sua
passività nei confronti della legge: il magistrato applica
meccanicamente la legge e non deve interpretarla. Se i magistrati
fossero dei professionisti, con la loro interpretazione potrebbero
influire sul legislativo. Se il magistrato può interpretare la legge,
crea le regole giuridiche. Questa lotta contro i magistrati è tipica del
XVIII secolo, tanto è più vaga la legge e tanto più viene applicata
l’interpretazione – che diventa un precedente – perché ormai il
giudice è obbligato a giudicare e crea la norma giuridica. Nel ‘700
c’è una grossa ribellione verso i magistrati, soprattutto da parte dei
doctores che prima della creazione dei Supremi Tribunali
detenevano il potere. Montesquieu condivide questo giudizio e il
potere dei magistrati viene enormemente circoscritto. Il potere
giudiziario deve assicurare la certezza del diritto, ma anche la
libertà e per cui deve essere nullo, sospeso: il giudice deve essere
una sorta di automa, è una bocca che pronuncia le parole della
legge. Compito della magistratura è anche quello di difendere la
libertà dei consociati. Per poter sottoporre la magistratura alla
legge, bisogna che ci sia un diritto semplice e chiaro: semplicità e
chiarezza sono le caratteristiche e le linee guida della compilazione
dei codici, ma trovano le loro radici già qui. Le leggi devono essere
formulate con precetti chiari. Le leggi devono prospettare la
divisione del giudiziario dall’esecutivo, dovevano prevedere la non
professionalità del giudice e dovevano prevedere una natura
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meccanica dell’applicazione della legge. Nella sua qualità da
penalista, Montesquieu esamina un secondo requisito da abbinare
alla libertà: il primo era la separazione dei poteri, ma il secondo è la
bontà delle leggi penali ed espone questa teoria nel capitolo 12
paragrafo 2. C’è qualche critico che si è domandato se
nell’interpretazione del sistema penalistico la bontà delle leggi sia
da intendersi in senso assoluto o relativo: devono essere buone in
qualsiasi tipo di governo? Se non si isolano le pagine che riguardano
Esprit
il diritto penale dal sistema dell’ , è chiaro che le leggi devono
essere relative: ogni tipologia di governo ha determinate leggi. Ci
sono però dei principi di fondo che guidano la teoria penalistica di
Montesquieu, il primo è che il diritto deve essere ispirato a mitezza
ossia non deve essere troppo severo e, secondo Montesquieu, la
tortura non era necessaria, tranne che nel governo dispotico.
L’autore condivide quel postulato della certezza del diritto, cioè
quelle garanzie che già erano state trovate in filosofi e giuristi
dell’epoca passata come il principio di legalità. Le leggi penali non
devono essere solo certe, ma anche buone ossia non devono essere
tiranniche. Cosa intende per leggi tiranniche? Sono tiranniche le
leggi inutili, quelle che reprimono comportamenti penalmente
irrilevanti, riducendo l’area della libertà individuale: l’individuo deve
essere il più libero possibile, va punito ciò che è rilevante per la
sicurezza del Paese. Sono tiranniche quelle leggi che contengono
pene crudeli per intimidire il popolo. Anche queste leggi si possono
applicare solo nello Stato dispotico, proprio perché la sua base è il
Lettere Persiane
terrore. Nelle , Montesquieu elabora l’equazione
crudeltà delle pene=dispotismo. Un’altra caratteristica della buona
legge è che essa deve essere proporzionata al reato commesso:
sono buone quelle leggi che istituiscono un rapporto tra severità
della pena e gravità del delitto principio di proporzionalità. È
in nome di questo ossequio al principio proporzionalistico che porta
Montesquieu a pensare che i reati contro la religione debbano
essere repressi solo con sanzioni religiose, ribadendo l’dea liberale
della laicità del diritto penale. Che rapporto c’è tra libertà e
processo penale? Montesquieu indica alcune garanzie processuali,
tra queste una delle garanzie è quella per cui non è sufficiente un
solo testimone per il giudizio di colpevolezza: secondo la casistica
tradizionale c’era un elenco di prove dettagliato, se il testimone era
un nobile bastava la sua testimonianza per la condanna, ma se il
testimone era un contadino dovevano essere più testimoni. Per
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Montesquieu un solo testimone, nobile o contadino, non basta più e
vediamo che un’altra garanzia processuale è rappresentata dalle
formalità processuali: il processo deve svolgersi in determinate
modalità in modo da proteggere e garantire i diritti individuali. Il
diritto penale sostanziale che allora dominava nell’Europa del XVIII
secolo era un diritto penale che si basava su un criterio oggettivo e
la distinzione dei reati era ancora quella romana e medievale. I reati
erano suddivisi in reati pubblici e reati privati. I reati pubblici erano
quelli perseguiti automaticamente dal giudice o da organi pubblici,
cioè era prevista l’obbligatorietà dell’azione penale e quali reati vi
rientravano? Li attentati al sovrano in tutte le sue forme, minacce
alla sicurezza dello Stato, ecc.. I reati privati erano perseguiti a
seguito di un’accusa da parte della vittima o di un altro privato; i
crimini privati erano in genere consolidati in lunghe liste, ma il
sistema delle pene prevedeva che la stessa sanzione servisse per
diverse figure di reato: il rogo era, per esempio, previsto sia per la
lesa maestà divina che la lesa maestà umana. Le pene erano divise
per tipologie e non per quantità, quindi era difficile stabilirne la
proporzionalità perché le pene erano abbinate a determinati reali.
Tutto questo sistema penale che ancora allora era in vigore era
stato oggetto di trattati minuziosi, ma non aveva mai affrontato il
vero problema penale: il problema penale si apre in Francia per la
prima volta con l’opera di Montesquieu. La sua teoria penalistica
non enuncia una teoria universale, ma relativa a ciascuna forma di
governo, tutte le sue osservazioni hanno lo scopo di individuare la
legislazione adatta esclusivamente alla conservazione dello Stato e
che si pone come fine la libertà dei cittadini. Montesquieu sviluppa
la sua teoria penalistica solo per quegli Stati che vogliono garantire
la libertà cittadina e quindi non tratta il governo dispotico, salvo vari
richiami, caratterizzato dalla mancanza di leggi penali fisse.
Lettere Persiane
Qualche considerazione le abbiamo già nelle del
1721 in cui vengono messi in risalto alcuni specifici punti: è ingiusto
punire il suicidio, perché và contro la libertà individuale; la misura
dell’obbedienza alle leggi non è proporzionale alla gravità delle
pene, sono utili leggi più miti che ottengono la stessa obbedienza
rispetto a leggi più severe che comminano pene maggiori; altro
punto che mette in risalto è la proibizione del duello, che ritiene
inopportuno perché è un metodo aristocratico per difendere l’onore,
virtù alla base di determinate forme di governo. Critica anche l’uso
che era diffuso verso i sultani di condannare a morte le persone a
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loro sgradite: questo non si deve fare perché contrasta con il
principio di proporzione tra pene e delitti. Accetta, però, la
concezione della vendetta: la concepisce nella legge naturale,
perché razionale e proporzionale al delitto.
Cosa pensa dei governi dispotici? Nel governo dispotico conviene
adottare l’unicità del magistrato e non devono essere quelli
nominati dal popolo quando vi è necessità, come negli Stati
democratici; anche qui deve essere presa in considerazione la
proporzionalità della pena, ma severità e certezza delle pene
esclude talune eccezioni alla regola proporzionalistica. Deve essere
ammessa la regola del taglione e la punibilità dell’innocente se
questo è utile a conservare e lo Stato.
differenza del regime dispotico, la monarchia deve avere una
legge penale fissa, predeterminata prima del giudizio e nella
monarchia, questa legge, deve essere chiara e precisa. Altra
caratteristica che si