Anche per quanto riguarda il “negozio giuridico”, la Cina ha avuto i suoi svolgimenti terminologici
e concettuali, che si sono però orientati ben presto verso la resa in cinese del concetto tedesco in
termini di minshi falü xingwei (民事法律行为). È stato sottolineato, con particolare sensibilità al
dato terminologico, come proprio l’art. 133, che apre la I sezione del capitolo dedicato alle norme di
portata generale, definisce il negozio giuridico come «il negozio (letteralmente comportamento,
azione, xingwei) tramite cui i soggetti di diritto civile, con la propria manifestazione di volontà,
istituiscono, modificano o estinguono rapporti giuridici di diritto civile».
La centralità delle due categorie del soggetto di diritto e del negozio giuridico nella parte generale ne
condizionano, nella prospettiva del giurista europeo, la parzialità di contenuti ed anche il tipo di
ricaduta che esse possono avere nei restanti libri del Codice, ad esempio rispetto alle disposizioni
generali in materia di contratto per quelle relative a quanto disposto già in materia di negozio giuridico
nella parte generale.
La parte generale è divisa in 10 libri di cui il capitolo I detta norme fondamentali, il capitolo II è
dedicato alla persona fisica (capacità giuridica, capacità di agire, tutela, dichiarazione di assenza e di
morte, nuclei familiari che svolgono attività commerciale ed industriale) e ai nuclei familiari titolari
di diritto di concessione di fondi nelle zone rurali ai fini di sfruttamento agricolo.
Il capitolo III detta norme sulla persona giuridica (con e senza scopo di lucro e persone giuridiche
speciali).
Diritti reali
Il II Libro desta particolare interesse poiché vengono qui a fondersi elementi riconducibili al diritto
romano così come riletture socialiste dello stesso combinate con la tradizione cinese (ad esempio la
famiglia vista come unità di produzione ed il rifiuto per l’istituto dell’usucapione).
In generale la proprietà è divisa in pubblica e privata.
La categoria dei diritti reali non comprende l’usufrutto ma tipologie di diritti reali su cosa altrui come
il diritto di gestione dei fondi in concessione, il diritto d’uso su fondo destinato a costruzione, il diritto
d’uso su fondo a destinazione abitativa.
Questi tipi di contratti sono sconosciuti negli ordinamenti della tradizione romanistica in
considerazione del fatto che la rilettura borghese ha svolto una selezione limitatrice degli schemi di
appartenenza che erano presenti nel diritto romano antico.
Il secondo libro, come detto, è quello dedicato ai diritti reali. È una scelta sistematica significativa e
segnala che per la Rpc sia questo un ambito di fondamentale importanza, ponendolo in primo piano
subito dopo la parte generale, sebbene il modello di Codice maggiormente seguito sia quello tedesco,
ed in questo seguiva alla parte generale il libro sui rapporti obbligatori, mentre al Sachenrecht era
dedicato il terzo libro. Dal punto di vista terminologico va segnalato come si confermi la tendenza ad
utilizzare il termine (wuquan) “diritto reale” per il titolo del libro, prevedendo poi i modi di
物权
costituzione, acquisto, modifica ed estinzione dei diritti reali. Sarebbe fuorviante leggere gli istituti
codificati in Cina (ed anche quelli non codificati) con l’occhiale ideologico col quale siamo abituati
a leggere i codici liberali europei. Il discorso giuridico cinese sulle forme di appartenenza non subisce
la forza centripeta della proprietà privata propria dei nostri Codici civili. La proprietà privata si
inserisce, invece, accanto alla proprietà statale e a quella collettiva, quale schema rappresentativo di
un possibile diritto reale, senza alcuna valorizzazione eccessiva del suo ruolo. Anzi a ben vedere, la
proprietà privata (a differenza della pubblica e della collettiva) è una forma di manifestazione
dell’appartenenza diversa, ma non superiore ai diritti reali di godimento su cosa altrui (da intendersi
l’alienità qui per lo più dello Stato o eventualmente delle collettività organizzate) ai quali è stato dato
il compito di formalizzare alcuni bisogni fondamentali di vita della comunità umana, quali ad es.
quello della casa dove vivere (diritto di uso dei fondi a destinazione abitativa artt. 362-365 Coc. civ.
cin. 2020).
È interessante notare come rispetto alla categoria del ius in re aliena, la individuazione di un termine
che potesse svolgere lo stesso ruolo sistematico in Cina non è stato assunto da wuquan, ma dal
significativo yongyi wuquan quale “diritto reale di uso e godimento”, il che se da un lato
用益物权
conferma l’assenza di previsione dell’usufrutto quale tipico diritto reale su cosa altrui, come già nella
Legge sui diritti reali del 2007, dall’altro esso sembra assumere il ruolo di paradigma dei diversi diritti
reali di godimento su cosa altrui codificati, coerentemente alle specifiche esigenze cinesi. Ciò è un
indizio significativo di come la scienza giuridica cinese percepisce i diritti reali di godimento, non
quali monadi tipizzate all’interno di uno svolgimento storico specifico, ma quali diritti che si
declinano in termini di sommatoria di facoltà di usi e godimenti, più o meno estesi, in diverse figure
tipiche, prospettiva propria della cd. teoria degli elenchi della definizione francese della propriété.
Il diritto che la Cina ha ora codificato si situa in un dialogo che arricchisce la tradizione romanistica,
non ne sta al di fuori, pur ponendosi con scelte diverse, coerenti alle esigenze della Cina, al di dentro
come nuovo sviluppo di questa tradizione. Gli studiosi di diritto romano e di storia del diritto hanno
da tempo, infatti, svelato la carica ideologica del paradigma liberista e borghese della ‘proprietà’
fissatosi nei codici civili di tradizione romanistica. In particolare, la ripulitura concettuale ha investito
la presunta natura ‘individualistica’ ed ‘unitaria’ dello schema giuridico della proprietà romana, a
favore di un quadro concettuale che ne imponga una contestualizzazione nei modelli sociali
dell’antichità, del medio evo e dell’età moderna, facendone risaltare la complessità di schemi tra loro
interagenti nei quali le forme giuridiche dell’appartenenza non sarebbero riducibili ad unum, ma
dimostrerebbero, oltre che sul piano dei nomina iuris anche sul piano dei regimi giuridici, differenze
e particolarità. D’altronde, non è casuale che il nazionalsocialismo tedesco, nel suo attacco al diritto
romano come diritto straniero, imputasse alla proprietà romana un eccesso di individualismo che in
realtà non era romano, ma caratteristica propria del paradigma proprietario della pandettistica tedesca
dell’ottocento che si era contrapposta ai dominia medievali. La critica condizionò delle reazioni
importanti, come quella di Francesco De Martino, in un celebre lavoro del 1941, orientato a
contrastare con argomenti seri il presunto ‘individualismo’ del diritto romano.
Al contrario, la critica mossa da Karl Marx alla proprietà individuale come paradigma dei codici civili
borghesi, non sembra condizionata da una proiezione del modello borgese sulle forme di
appartenenza romane su cui quello era stato costruito per astrazione.
Il paradigma proprietario del modello codificato nell’art. 544 del Codice francese del 1804 (“
La propriété est le droit de jouir et disposer des choses de la manière la plus absolue…”) sembra
ancora non liberarsi della duale interpretazione dell’istituto, da un lato quella ereditata dall’età
medievale, tutta costruita sulle utilitates della res frugifera e, dall’altro lato, quella indotta dalla
rottura dell’antico regime e tutta rivolta verso l’assolutezza del dominio, rispondendo in pieno alle
esigenze di circolazione e di libera destinazione dell’uso economico dei beni produttivi della
società borghese. Maggiore astrazione e assolutizzazione è espressa nello schema pandettistico della
proprietà, che trova espressione nel par. 903 del Bgb tedesco del 1900 (“Der Eigentümer einer Sache
kann, soweit nicht das Gesetz oder Rechte Dritter entgegenstehen, mit der Sache nach belieben
verfahren und Andere von jeder Einwirkung ausschließen”).
Il diritto romano, al contrario, esprime una differenziazione terminologica e di regime nell’ambito
degli schemi giuridici dell’appartenenza: la possessio dell’ager publicus, il meum esse ex iure
Quiritium, l’in bonis esse, le servitù prediali, l’usufrutto, l’uso, l’abitazione, la possessio vel
ususfructus sui fondi provinciali, l’enfiteusi, la superficie. I giuristi romani parlano altresì di duplex
dominium, di proprietas e di possessiones. La tradizione romanistica dell’età medievale vi aggiunge
nuove forme di appartenenza, come ad es. il feudum, non rompendo però la gabbia concettuale di
tradizione romanistica, che resta sostanzialmente acconcia a dominare la nuova realtà
dell’appartenenza della terra, arricchendone i contenuti concettuali, distinguendo tra dominium
directum e dominium utile o allargando l’elenco degli iura in re aliena.
Si tratta di un quadro ricchissimo di costruzioni giuridiche attraverso le quali i giuristi della tradizione
civilistica fondata sul diritto romano non operano sempre dallo stesso angolo di visuale, a volte
partendo dalla natura delle res, che per così dire ne indica la funzione economica di uso (foreste per
legnatico, campi per agricoltura, pascoli per i prati, cave per estrazione materiali ecc.), accentuando
la varietà delle utilitates rerum, altre volte proiettando il paradigma soggettivo del ‘potere’ dell’uomo
sulla cosa, che può imprimere, con maggiore o minore intensità, la destinazione d’uso alla cosa. Si
potrebbe al riguardo parlare di modello ‘cosale’ per la prima prospettiva e di modello ‘potestativo’
per la seconda. I codici civili dell’ottocento, ed in primis il Codice civile francese del 1804 e il Bgb
tedesco del 1900, hanno determinato una forte selezione semplificatrice di questa ricchissima
tradizione concettuale, consegnando al futuro un modello paradigmatico della proprietà individuale,
attraverso il quale rileggere tutta questa realtà della tradizione civilistica precedente, conservando
quegli schemi giuridici dell’appartenenza che potevano con tale modello coordinarsi ed escludendo
quelli che ne confliggevano irrimediabilmente per la loro natura irriducibile in una prospettiva
di potere assoluto sulla cosa.
Questo, però, non significa l’estinzione di questi schemi giuridici dell’appartenenza che non sono
stati