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OTTAVO POWER POINT

Esistono diversi sistemi di nomenclatura per i composti inorganici, che si distinguono principalmente per il modo in

cui si trattano gli elementi coinvolti e i loro numeri di ossidazione. Il sistema tradizionale parte dalla distinzione tra

metalli e non metalli e si basa sul numero di ossidazione degli elementi che formano il composto. Per nominarli, si

aggiungono suffissi come -oso, -ico, -ato, -ito, e si usano prefissi come ipo- e per- per modificare il significato del

nome, a seconda dei numeri di ossidazione. Il sistema di Stock, invece, non fa distinzione tra metalli e non metalli, ma

si concentra esclusivamente sul numero di ossidazione, che viene indicato con cifre romane tra parentesi. Infine, la

nomenclatura IUPAC segue regole convenzionali, puntando a una sistematicità dei nomi e limitandosi a classificare i

composti come binari o ternari.

Per quanto riguarda i composti binari, che sono costituiti da due elementi, vediamo vari tipi di ossidi, come gli ossidi

basici, acidi e i perossidi. Gli ossidi sono composti binari in cui l’ossigeno si combina con un altro elemento, e il

numero di ossidazione dell’ossigeno è sempre -2. Quando il composto è formato da un metallo e l’ossigeno, si parla di

ossidi basici, mentre quelli con non metalli sono ossidi acidi o anidridi. Gli ossidi basici vengono nominati utilizzando

il termine “ossido” seguito dal nome del metallo; se il metallo ha due numeri di ossidazione, si usano i suffissi -oso per

il numero minore e -ico per il maggiore. Gli ossidi acidi o anidridi, invece, sono composti da non metalli e ossigeno, e il

nome include il termine “anidride” seguito dal nome del non metallo, con i suffissi -osa o -ica a seconda del numero di

ossidazione.

I perossidi sono composti in cui due atomi di ossigeno sono legati tra loro con numero di ossidazione -1, e vengono

denominati con il termine “perossido” seguito dal nome dell’altro elemento. La nomenclatura di Stock, in questo caso,

si basa esclusivamente sul numero di ossidazione degli elementi. La nomenclatura IUPAC, invece, utilizza prefissi per

indicare il numero di atomi di ossigeno nel composto.

Passando ai composti binari con idrogeno, questi si suddividono in idruri e idracidi. Gli idruri sono composti in cui

l’idrogeno ha numero di ossidazione -1 e si combinano con metalli. Gli idracidi, invece, sono composti in cui

l’idrogeno ha numero di ossidazione +1 e si combinano con non metalli. Nella nomenclatura tradizionale, gli idruri e gli

idracidi vengono nominati seguendo regole simili a quelle degli ossidi, con aggiunta dei suffissi -oso e -ico quando il

metallo ha più numeri di ossidazione, o il suffisso -idrico per gli idracidi. La nomenclatura di Stock aggiunge il numero

di ossidazione tra parentesi, mentre quella IUPAC segue un approccio più sistematico, utilizzando prefissi come mono-,

di-, tri-, ecc. per indicare il numero di atomi coinvolti.

I composti binari ionici, che contengono cationi metallici e anioni non metallici, sono nominati nella nomenclatura

tradizionale mettendo per primo il nome dello ione negativo, seguito da quello dello ione positivo. Anche in questo

caso, se il metallo ha due numeri di ossidazione, si usano i suffissi -oso o -ico. Nella nomenclatura IUPAC, il nome del

composto viene formato aggiungendo il suffisso -uro al nome dell’elemento non metallico, seguito dalla preposizione di

e dal nome del metallo.

I composti ternari, invece, sono formati da tre elementi e comprendono idrossidi, ossiacidi e sali degli ossoacidi. Gli

idrossidi sono composti ternari costituiti da idrogeno, ossigeno e un metallo. La formula di un idrossido include il

gruppo -OH, con il numero di ossidazione di ossigeno pari a -1. Nella nomenclatura tradizionale, il nome dell’idrossido

è seguito dal nome del metallo, con suffissi -oso o -ico se il metallo ha due numeri di ossidazione. La nomenclatura di

Stock aggiunge il numero di ossidazione tra parentesi, mentre nella nomenclatura IUPAC si usano prefissi per indicare

il numero di gruppi idrossili presenti nel composto.

Gli ossiacidi sono composti che derivano dalla reazione tra un ossido acido e acqua. Questi composti presentano

idrogeno, un non metallo e ossigeno. La nomenclatura tradizionale di questi acidi segue il nome del non metallo con

suffissi -oso o -ico, e prefissi ipo- e per- in caso di più numeri di ossidazione. I sali degli ossoacidi derivano dalla

sostituzione di uno o più atomi di idrogeno di un acido ternario con ioni metallici. La nomenclatura tradizionale di

questi sali deriva dal nome dell’acido, sostituendo i suffissi -oso con -ito e -ico con -ato.

Infine, per i sali degli ossiacidi, la nomenclatura di Stock e IUPAC si basa sull’indicazione del numero di ossidazione

del metallo e sull’uso dei prefissi per il numero di ossigeno nel composto.

NONO POWER POINT

Il legame chimico si verifica quando due atomi si avvicinano tra loro, dando vita a un’attrazione reciproca tra gli

elettroni di un atomo e il nucleo dell’altro. Allo stesso tempo, si verifica una repulsione tra i nuclei degli atomi e tra gli

elettroni, ma quando le forze attrattive prevalgono, si forma il legame chimico. Quest’ultimo è una forza che mantiene

uniti gli atomi all’interno di un composto, ed è legato esclusivamente agli elettroni di valenza, che sono quelli

appartenenti ai livelli energetici più esterni.

Esistono due categorie principali di legami chimici: i legami intramolecolari, che sono quelli che tengono uniti gli

atomi all’interno di una molecola e che sono relativamente forti, e i legami intermolecolari, che sono forze di

attrazione tra molecole differenti e che risultano essere più deboli. I legami intermolecolari impediscono la completa

indipendenza delle molecole.

Gli atomi tendono a raggiungere una configurazione elettronica stabile, simile a quella dei gas nobili, tramite un

processo descritto dalla regola dell’ottetto. Per farlo, un atomo può cedere, acquistare o condividere elettroni con un

altro atomo. A seconda di come avviene questo scambio, si distinguono due tipi principali di legame: il legame ionico e

il legame covalente.

Il legame ionico si forma attraverso un trasferimento di uno o più elettroni da un atomo a un altro, creando ioni di

carica opposta che si attraggono elettricamente. Questo legame è tipicamente formato tra un metallo, che tende a

perdere elettroni, e un non metallo, che tende ad acquisirli. La stabilità dei composti ionici è favorita dalla forza di

attrazione tra le cariche opposte, e la forza di tale legame dipende dalla differenza di elettronegatività tra gli atomi

coinvolti. Se questa differenza è molto grande, come nel caso di metallo e non metallo, si forma un legame ionico. Ad

esempio, sodio (Na) e cloro (Cl) reagiscono per formare il cloruro di sodio (NaCl), un composto ionico.

Quando la differenza di elettronegatività tra due atomi non è così pronunciata, si forma un legame covalente. In questo

caso, gli atomi condividono una o più coppie di elettroni di valenza. Se la differenza di elettronegatività tra gli atomi è

nulla o piccola, gli elettroni vengono condivisi in modo equo o quasi. Un esempio di legame covalente è la molecola di

ossigeno (O2), in cui due atomi di ossigeno condividono due elettroni, formando un doppio legame. In alcuni casi,

come nel caso dell’azoto (N2), gli atomi possono condividere tre coppie di elettroni, creando un triplo legame.

La formazione di legami covalenti comporta una riduzione dell’energia potenziale, in quanto gli elettroni condivisi

interagiscono con entrambi i nuclei e stabilizzano il sistema. Il legame covalente può essere semplice, doppio o triplo, a

seconda del numero di coppie di elettroni condivisi. Inoltre, la forza di un legame covalente aumenta man mano che il

numero di coppie di elettroni condivisi cresce, con un legame triplo che è più forte e più corto di un legame semplice.

Le caratteristiche fisiche dei composti ionici e covalenti sono molto diverse. I composti ionici tendono ad avere punti di

fusione elevati e sono solubili in solventi polari come l’acqua, ma insolubili in solventi apolari. Inoltre, i composti ionici

conducono elettricità sia in soluzione acquosa che quando sono fusi, grazie alla presenza di ioni liberi. Al contrario, i

composti covalenti, che tendono a essere gas, liquidi o solidi con bassi punti di fusione, non conducono elettricità,

poiché non contengono ioni liberi. Questi composti sono solubili in solventi apolari, come l’esano o il benzene.

I legami covalenti si formano quando due atomi condividono una coppia di elettroni e possono essere di due tipi:

• Legame covalente non polare: gli elettroni sono condivisi in modo uguale tra i due atomi. Succede quando gli atomi

hanno la stessa elettronegatività.

• Legame covalente polare: gli elettroni sono attratti di più da un atomo rispetto all’altro. Questo crea una separazione

di carica, con un atomo leggermente positivo e l’altro leggermente negativo.

La differenza di elettronegatività tra gli atomi determina il tipo di legame:

• Se è zero, il legame è non polare.

• Se è bassa o intermedia, il legame è polare.

• Se è alta, il legame diventa ionico.

Momento di dipolo ( )

Nei legami polari si forma un dipolo elettrico, cioè una separazione di carica. Il momento di dipolo misura questa

separazione e dipende da:

1. Quanto sono distanti le cariche

2. Quanto è grande la differenza di carica

Se i dipoli di una molecola si sommano, la molecola è polare. Se si annullano, la molecola è apolare.

In un campo elettrico le molecole polari si orientano, invece le molecole apolari non subiscono variazioni

significative.

DECIMO POWER POINT

Le strutture elettroniche a punti di Lewis sono un metodo utilizzato per rappresentare la distribuzione degli elettroni nei

gusci più esterni degli atomi, ovvero gli elettroni di valenza, che determinano le proprietà chimiche e fisiche degli

elementi. Questo modello si concentra esclusivamente sugli elettroni di valenza e sulla natura del legame chimico che si

forma tra gli atomi.

Nel modello di Lewis, ogni elettrone di valenza degli atomi appartenenti ai blocchi s o p viene rappresentato da un

punto attorno al simbolo chimico dell'elemento. Questa rappresentazione è nota come simbolo di Lewis. Tuttavia,

questa metodologia non è applicabile agli elementi di transizione e di transizione interna, poiché richiederebbe l'uso di

un numero elevato di punti, rendendo la rappresentazione poco pratica.

Ogni atomo ha un certo numero di elettroni di valenza. In un simbolo di Lewis, gli elettroni vengono disposti attorno

all'elemento con un massimo di due elettroni per lato. Gli elettroni spaiati vengono indicati con un singolo punto,

mentre una coppia di elettroni appaiati viene rappresentata da due punti vicini. Il numero di elettroni non

Dettagli
Publisher
A.A. 2024-2025
19 pagine
SSD Scienze chimiche CHIM/03 Chimica generale e inorganica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher https.sofia05 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Chimica generale e inorganica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Siena o del prof Tassone Giusy.