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Gli elettroni presenti in un atomo possono essere divisi in: elettroni di valenza e interni. Per gli

elementi dei gruppi principali gli elettroni di valenza hanno sede negli orbitali s e p dello strato più

esterno, inoltre gli elettroni di valenza corrispondono al numero del gruppo dell’elemento

considerato. Gli elettroni di valenza vengono rappresentati come dei puntini che circondano il

simbolo dell’elemento, questa rappresentazione è detta simboli a punti di Lewis; per esempio, per il

carbonio, il cui guscio di valenza può accogliere al massimo quattro coppie di elettroni, questa

configurazione viene chiamata ottetto. Un ottetto di elettroni che circonda un atomo rappresenta una

configurazione particolarmente stabile.

Le strutture elettroniche “a punti” di Lewis e la regola dell’ottetto

Il legame a coppia di elettroni tra i due atomi di H si rappresenta con una coppia di puntini oppure

2

con una linea; questa rappresentazione prende il nome di struttura elettronica a punti di Lewis o

semplicemente struttura di Lewis. La coppia di elettroni coinvolti nel legame F–F è la coppia di

legame o coppia legante; le altre sei coppie risiedono sui singoli atomi e sono chiamate coppie

solitarie o coppie non leganti. La tendenza delle molecole e degli ioni poliatomici ad avere strutture

in cui otto elettroni circondano ogni atomo è chiamata regola dell’ottetto.

Disegnare le strutture “a punti” di Lewis

 Determinare la disposizione degli atomi nella molecola. L’atomo centrale è generalmente

quello con l’affinità elettronica più bassa. Gli alogeni sono spesso atomi terminali che

formano legami singoli con un altro atomo, ma possono essere l’atomo centrale quando si

legano all’O negli ossoacidi.

 Determinare il numero totale di elettroni di valenza nella molecola o nello ione. Per una

molecola neutra sarò pari alla somma degli elettroni di valenza di ogni atomo. Per un

anione, aggiungere un numero di elettroni pari alla carica negativa; per un catione sottrarre

un numero di elettroni pari alla carica positiva.

 Porre una coppia di elettroni tra ogni coppia di atomi legati per formare un legame singolo.

 Usare le rimanenti coppie di elettroni come coppie solitarie attorno a ciascun atomo

terminale in maniera che ogni atomo terminale sia circondato da otto elettroni.

 Se l’atomo centrale ha meno di otto elettroni a questo punto, spostare una o più coppie

solitarie sugli atomi terminali ad una coppia di legame tra l’atomo centrale e quello

terminale in modo da formare legami multipli.

Legami doppi o tripli si formano quando entrambi gli atomi appartengono alla lista seguente: C, N,

O.

Prevedere le strutture di Lewis

Composti dell’idrogeno con elementi non metallici del secondo periodo, ad esempio si può

prevedere che N formi tre legami in molecole non cariche; il carbonio ne formi quattro,

l’ossigeno due e il fluoro uno.

In assenza di acqua gli ossoadici sono composti molari legati covalentemente, ciò significa

che nella formula sono tutti non metalli: mentre in soluzione acquosa sono ionizzati per dare

uno ione idronio e l’anione corrispondente. Una proprietà caratteristica degli acidi in

soluzione acquosa è la loro capacità di donare uno ione idrogeno.

Le molecole e gli ioni che hanno lo stesso numero di elettroni di valenza e la stessa struttura

+ -

di Lewis sono chiamate isoelettroniche; ad esempio NO , N , CO e CN sono simili perché

2

hanno tutti fue atomi e lo stesso numero totale di elettroni di valenza (10), che conducono

alla stessa struttura di Lewis per ogni molecola o ione. I due atomi, in ognuno di questi

composti, sono legati da un triplo legame.

Cariche atomiche formali in molecole e ioni covalenti 33

La carica formale per un atomo in una molecola o in uno ione è la carica calcolata per quell’atomo

in base alla struttura di Lewis per quella molecola o ione, ricavata dall’equazione:

carica formale di un atomo in una molecola o ione =

numero del gruppo dell’atomo – [LPE + ½ (BE)]

dove il numero del gruppo dà il numero di elettroni di valenza del particolare atomo della molecola

o ione, LPE è il numero di elettroni di coppie solitarie dell’atomo e BE è il numero di elettroni di

legame attorno all’atomo. [LPE + ½ (BE)] rappresenta il numero di elettroni assegnati all’atomo

nella molecola dalla struttura di Lewis. La differenza tra questo termine e il numero del gruppo è la

carica formale. Un atomo in una molecola o ione avrà carica formale positiva se “contribuisce” ai

legami con più elettroni di quelli che “riceve”. Nel caso opposto la carica formale sarà negativa. Le

coppie solitarie appartengono all’atomo su cui risiedono nella struttura di Lewis, mentre le coppie

di legame vengono divise equamente tra gli atomi legati. La somma delle cariche formali degli

atomi di una molecola o di uno ione deve sempre essere uguale alla carica netta sulla molecola o

ione.

Risonanza

Pauling, nel 900, propose la teoria della risonanza: si usano strutture di risonanza per rappresentare

il legame in una molecola o in uno ione quando una singola struttura di Lewis non riesce a

descrivere correttamente la struttura elettronica reale. Le strutture di risonanza hanno lo stesso tipo

di legami covalenti e hanno uguale energia. La struttura reale della molecola è una combinazione, o

un ibrido di risonanza delle due strutture di risonanza equivalenti. Poiché non è possibile disegnare

in maniera accurata frazioni di legame, i chimici disegnano le strutture di risonanza e le mettono in

relazione con una freccia a due punte (↔) per indicare che la struttura reale è una via di mezzo tra

questi due estremi. Le cariche formali possono essere calcolate per ogni atomo nelle strutture di

risonanza per una molecola o uno ione. Tutte le possibili strutture di risonanza sono ugualmente

probabili; sono strutture “equivalenti”, perciò la molecola o lo ione ha una distribuzione simmetrica

degli elettroni su tutti gli atomi coinvolti, cioè la sua struttura elettronica consiste di un uguale

“mescolamento” o “ibrido” delle strutture di risonanza.

Eccezioni alla regola dell’ottetto

Composti nei quali un atomo ha meno di otto elettroni di valenza

Il boro, un metalloide del gruppo 3A, ha tre elettroni di valenza e può formare tre legami covalenti

con altri elementi non metallici. Il guscio di valenza del boro nei suoi composti ha solo sei elettroni,

due in meno di un ottetto. Molecole o ioni che possiedono una coppia solitaria possono mettere in

compartecipazione tale coppia di elettroni e reagire facilmente con i composti del boro a cui

mancano due elettroni per raggiungere l’ottetto, che possono essere molto reattivi. Un legame

covalente in cui una coppia di elettroni proviene da uno solo degli atomi coinvolti nel legame viene

chiamato legame covalente dativo (o di coordinazione) ed è rappresentato con una freccia che punta

verso l’atomo che accetta la coppia di elettroni.

Composti nei quali un atomo ha più di otto elettroni di valenza

Gli elementi appartenenti al terzo periodo (o a periodi successivi) spesso formano molecole e ioni in

cui l’atomo centrale è circondato da più di quattro coppie di elettroni, quindi. ci sono più di otto

elettroni attorno a quell’atomo; inoltre l’atomo centrale potrebbe essere legato a quattro (o meno)

atomi terminali. La spiegazione di questa differenza tra il comportamento degli elementi del

secondo periodo e quelli dei periodi successivi si basa sul numero di orbitali che costituiscono il

guscio di valenza di un atomo. Gli elementi del secondo periodo hanno quattro orbitali di valenza

(un orbitale 2s e tre orbitali 2p), quindi, con due elettroni per orbitale, possiamo sistemare fino ad

otto elettroni attorno all’atomo. Per gli elementi del terzo periodo, o dei periodi successivi, abbiamo

34

anche a disposizione gli orbitali d, che sono inclusi nel guscio di valenza; quindi possiamo disporre

degli orbitali 3s, 3p e 3d che ci danno la possibilità di sistemare intorno all’elemento fino a dodici

elettroni di valenza.

Molecole con numero dispari di elettroni

A causa del numero dispari di elettroni non è possibile scrivere per queste molecole una struttura di

Lewis che rispetti la regola dell’ottetto: ci deve essere almeno un elettrone spaiato. I radicali liberi

sono specie chimiche, sia atomiche che molecolari, con un elettrone spaiato e sono spesso molto

reattivi. Atomi liberi, come H e Cl, sono radicali liberi e si combinano facilmente, originando

molecole come H , Cl e HCL. I radicali liberi sono coinvolti in molte reazioni di interesse

2 2

ambientale.

Forme delle molecole

La maggior parte delle proprietà chimiche e fisiche dei composti è strettamente connessa con la loro

struttura. Il modello VSEPR (repulsione delle coppie di elettroni dello strato di valenza) è un

metodo affidabile per prevedere le forme di molecole e ioni poliatomici covalenti, basato sull’idea

che le coppie di elettroni leganti e non leganti nel guscio di valenza di un atomo si respingono le

une contro le altre e si dispongono pertanto alla massima distanza possibile. Le posizioni assunte

delle coppie di elettroni di valenza di un atomo definiscono così gli angoli tra i legami che questo

forma con gli atomi che lo circondano.

Atomi centrali circondati solo da coppie di legame

L’applicazione più semplice si realizza con molecole o ioni nelle quali l’atomo centrale è circondato

solamente da coppie di elettroni di legame impegnate in legami covalenti singoli. La geometria

lineare per due coppie di legame e quella triangolare planare per tre coppie di elettroni di legame

coinvolgono un atomo centrale che non ha un ottetto di elettroni. L’atomo centrale in una molecola

tetraedrica obbedisce alla regola dell’ottetto con quattro coppie di elettroni. Gli atomi centrali nelle

molecole bi piramidali triangolari e ottaedriche hanno rispettivamente cinque e sei coppie di

elettroni: pertanto questi atomi appartengono al terzo periodo o a periodi successivi della tavola

periodica.

Atomi centrali circondati da coppie di legame e coppie solitarie

La geometria delle coppie di elettroni è la geometria di tutte le coppie di elettroni è la geometria di

tutte le coppie di elettroni di valenza attorno all’atomo centrale, siano esse coppie di legame o di

non legame, mentre la geometria della molecola descrive la disposizione nello spazio degli atomi

della molecola. Le coppie di elettroni solitarie sull’atomo centrale occupano determinate regioni

dello spazio anche se le loro posizioni non sono incluse nel nome che viene dato alla descrizione

della forma della molecola o dello ione. ci sono quattro coppie di elettroni attorno all’atomo di

azoto, pertanto la geometria delle coppie di elettroni sarà tetraedrica mentre la geometria della

molecola è trigonale piramidale perché descrive la posizione degli atomi.

Effetto delle coppie solitarie sugli angoli di legame: le coppie di elettroni solitarie occupano

un volume maggiore delle coppie di legame e questo aumento di volume delle coppie

solitarie fa si che le coppie di legame si avvicinino maggiormente. La forza relativa della

repulsione è coppia solitaria – coppia solitaria > coppia solitaria – coppia di legame > coppia di

legame – coppia di legame.

Atomi centrali circondati da più di quattro coppie di valenza: le posizioni nel piano del

triangolo giacciono all’equatore di una sfera immaginaria con il centro nell’atomo

coordinante, e sono quindi dette posizioni equatoriali. Le altre due, il polo nord e il polo sud

della molecola, sono dette posizioni assiali. Le eventuali coppie solitarie, che necessitano di

uno spazio maggiore rispetto alle coppie leganti, tendono ad occupare le posizioni

35

equatoriali piuttosto che quelle assiali. Una molecola che possiede quattro coppie di legame

e una coppia solitaria assume una forma ad “altalena” con la coppia non legante in posizione

equatoriale (non polare). Una molecola con tre coppie di legame e due coppie solitarie ha

una geometria molecolare a forma di T, determinata dalla disposizione equatoriale delle due

coppie solitarie e dalla disposizione di due coppie di legame assiali e la restante occupa una

posizione nel piano equatoriale. Quando una molecola ha due coppie di legame e tre

solitarie che occupano le posizioni equatoriali la geometria della molecola è lineare. La

geometria assunta da sei coppie di elettroni è ottaedrica e tutti gli angoli fra posizioni

adiacenti sono di 90°, e non possiede posizioni assiali ed equatoriali distinte in quanto tutte

le posizioni sono identiche.

Legami multipli e geometria molecolare

I legami doppi e tripli non influenzano la forma globale delle molecole perché occupano la stessa

regione di spazio di un legame singolo. Tutte le coppie di elettroni in un legame multiplo contano

come un singolo legame e contribuiscono alla geometria della molecola come un legame semplice.

Quando sono presenti strutture di risonanza, la geometria può essere prevista da ciascuna delle

strutture di risonanza di Lewis o dall’ibrido di risonanza.

Proprietà di legame ed elettronegatività

Quando due atomi diversi formano un legame covalente, la coppia di legame non sarà condivisa in

maniera equa tra i due atomi. Il risultato è un legame covalente polare, un legame in cui i due atomi

hanno cariche residue o parziali. I legami sono polari perché non tutti gli atomi trattengono i propri

elettroni di valenza con uguale forza, né attraggono elettroni addizionali con la stessa facilità, cioè

essi hanno diversi valori di energia di ionizzazione e di affinità elettronica. Se una coppia di legame

non è equamente condivisa tra gli atomi, gli elettroni di legame sono più vicini a uno degli atomi.

L’atomo verso cui è più spostata la coppia di legame acquista di conseguenza una parziale carica

negativa, l’altro atomo coinvolto nel legame è impoverito di elettroni e acquista una parziale carica

positiva, ciò significa che la molecola ha un polo negativo e un polo positivo; il legame è detto

legame polare. Nei composti ionici, lo spostamento della coppia di legame verso uno dei due atomi

è praticamente completo e i simboli + e – sono scritti accanto ai simboli atomici nella struttura di

Lewis. Per un legame covalente la polarità, che è parziale, viene indicata con δ+ e δ- (delta). Non

c’è una linea di demarcazione netta tra legame ionico e legame covalente. Negli anni ’30 Pauling

suggerì di introdurre un parametro chiamato elettronegatività che permettesse di decidere se un

legame è polare. L’elettronegatività di un atomo è definita come una stima della misura della

capacità di un atomo in una molecola di attrarre di sé gli elettroni di legame. Le elettronegatività

generalmente aumentano da sinistra a destra. I metalli hanno valori d elettronegatività che vanno da

meno 1 a circa 2, i metalloidi circa 2 e i non metalli hanno valori maggiori di due.

Distribuzione di carica: combinare la carica formale e l’elettronegatività

Il modo in cui gli elettroni si distribuiscono in una molecola o in uno ione è chiamato distribuzione

di carica, che può influenzare profondamente le proprietà di una molecola, ad esempio quelle

chimiche. Il calcolo delle cariche formali può determinare la posizione di una carica in una

molecola o in uno ione, procedura che può condurre a risultati che non sembrano corretti, perché il

calcolo della carica formale assume che ci sia un’eguale condivisione degli elettroni in tutti i

legami. Per risolvere questo problema serve considerare l’elettronegatività assieme alla carica

formale. Pauling evidenziò due linee guida da usare quando si descrive la distribuzione di carica

nelle molecole e negli ioni; prima di tutto, il principio di elettronegatività, che afferma che, gli

elettroni sono distribuiti in modo tale che le cariche su tutti gli atomi siano le più piccole possibili.

In secondo luogo, se è presente una carica negativa questa deve essere posta sugli atomi più

elettronegativi mentre le cariche positive dovranno essere disposte sugli atomi meno elettronegativi.

36

Polarità molecolare e di legame

In una molecola polare la densità elettronica si accumula verso un’estremità della molecola dando

ad essa una parziale carica negativa e lasciando sull’altra estremità una parziale carica positiva della

stessa entità. Le molecole polari all’interno di un campo elettrico risentono di una forza che tende

ad allinearle nella direzione del campo. Quando il campo elettrico è generato da una coppia di

piastre di carica opposta, l’estremità negativa di ciascuna molecola è attratta dalla piastra positiva e

l’estremità positiva è attratta dalla piastra negativa. L’entità dell’allineamento delle molecole

all’interno del campo dipende dal loro momento dipolare, μ, che è definito come il prodotto delle

cariche parziali sulla molecola per la distanza che le separa; la sua unità di misura p il coulomb-

-30

metro ma viene usata più spesso l’unità derivata, il debye, che misura 1D = 3.34 x 10 C x m. Le

molecole biatomiche composte da due atomi con differente elettronegativià sono sempre polari.

Una molecola AX , non sarà polare, indipendentemente dal fatto che i legami A-X siano polari, se

n

tutti gli atomi o i gruppi sono identici e sono disposti simmetricamente attono all’atomo centrale A.

Proprietà del legame: ordine, distanza ed energia di legame

Ordine di legame

L’ordine di legame è il numero di copie di elettroni di legame condivisi da due atomi in una

molecola. Quando l’ordine di legame è 1, c’è solo un singolo legame covalente tra una coppia di

atomi; l’ordine di legame 2 è quando due coppie di elettroni sono condivise tra due atomi (doppio

legame) e l’ordine di legame è 3 quando due atomi sono connessi con tre legami. Ordini di legame

frazionari si possono avere in molecole e ioni che hanno strutture di risonanza. L’ordine di legame

tra ogni coppia di atomi X e Y è definito come:

ordine di legame = numero di coppie di elettroni condivisi tra X e Y / numero di legami X–Y nella

molecola o nello ione.

Distanza di legame

La distanza di legame è la distanza tra i nuclei di due atomi legati. Le lunghezze di legame sono

quindi legate alle dimensioni degli atomi, ma, per una data coppia di atomi, l’ordine di legame

determina il valore finale della distanza. Le parti contigue della molecola possono influenzare la

lunghezza di un particolare legame. I doppi legami sono più corti dei legami singoli fra gli stessi

atomi e i legami tripli sono ancora più corti.

Entalpia di dissociazione di legame

L’entalpia di dissociazione di legame (ΔH) è la variazione di entalpia richiesta per rompere il

legame in una molecola con reagenti e prodotti in fase gassosa; il processo di rottura di un legame è

sempre endotermico (ΔH > 0) mentre la formazione di legami a partire da atomi o radicali in fase

gassosa è sempre un processo esotermico (ΔH < 0). L’energia di legame per un dato tipo di legame

varia leggermente a seconda del composto, proprio come succede per le distanze di legame che

variano da una molecola all’altra. Nelle relazioni tra molecole, i legami nei reagenti si rompono e

nuovi legami si formano nei prodotti. Se l’energia totale liberata quando si formano nuovi legami è

maggiore dell’energia richiesta per rompere i legami originali, la reazione globale è esotermica; nel

caso contrario è endotermica.

Ancora sul DNA

Ogni filamento della doppia catena del DNA è formato da tre unità: un fosfato, una molecola di

deossiribosio ed una base azotata, che può essere: adenina, guanina, citosina o timina. Caratteristica

fondamentale del DNA è la ripetizione della sequenza di atomi O–P–O–C–C–C lungo lo scheletro

37

di ciascun filamento. Ogni atomo presenta una geometria tetraedrica, il che implica che la catena

non è lineare ma si piega dando al DNA la tipica forma elicoidale.

LEGAME E STRUTTURA MOLECOLARE:

l’ibridazione degli orbitali e gli orbitali molecolari

Orbitali e teorie del legame

Le posizioni degli elettroni di valenza negli atomi sono descritte da un modello di tipo orbitalico.ì,

quindi sembra ragionevole utilizzare lo stesso modello orbitalico per descrivere gli elettroni nelle

molecole, seguendo due diversi approcci: la teoria del legame di valenza (VB) e la teoria degli

orbitali molecolari (MO). La teoria del legame di valenza è stata sviluppata in gran parte da Pauling

ed è strettamente connessa all’idea di Lewis che le coppie di elettroni di legame sono condivise fra

gli atomi, mentre le coppie solitarie sono localizzate su un particolare atomo. Questa teoria è il

metodo utilizzato per descrivere qualitativamente i legami e per la visualizzazione grafica della

struttura molecolare, soprattutto per molecole costituire da molti atomi. Inoltre fornisce una buona

descrizione delle molecole nel loro stato energetico fondamentale, il più basso. Al contrario, la

teoria degli orbitali molecolari, sviluppata dal chimico americano Mulliken, è bastata sui cosidetti

“orbitali molecolari” che sono “diffusi” o delocalizzati sull’intera molecola, cioè gli orbitali atomici

si combinano in modo da costruire un insieme di nuovi orbitali caratteristici della molecola a cui

sono poi assegnati elettroni della stessa. Questa teoria è utilizzata quando è necessaria una

descrizione quantitativa del legame ed è indispensabile per descrivere le molecole negli stati

eccitati, cioè più alti, ed è di conseguenza capace di spiegare molte alte proprietà, quali i colori dei

composti.

Teoria del legame di valenza

Il legame come sovrapposizione di orbitali atomici

La formazione del legame avviene quando le nubi elettroniche sui due atomi si compenetrano o, in

altre parole, si sovrappongono. Tale sovrapposizione orbitalica aumenta le probabilità di trovare gli

elettroni di legame nella regione di spazio fra i due nuclei. L’idea che i legami sono formati dalla

sovrapposizione degli orbitali atomici è alla base della teoria del legame di valenza. Il legame

covalente che risulta dalla sovrapposizione di due orbitali s è detto legame sigma(σ), esso possiede

una densità elettronica maggiore lungo l’asse del legame. I punti salienti del legame di valenza

sono: gli orbitali si sovrappongono per formare un legame fra due atomi, questi orbitali possono

essere occupati da due elettroni con spin opposto e a causa della sovrapposizione gli elettroni di

legame hanno una maggiore probabilità di trovarsi nella regione di spazio tra i due nuclei in quanto

gli elettroni sono simultaneamente attratti da entrambi i nuclei. Se vogliamo utilizzare un approccio

basato su orbitali, dobbiamo considerare gli elettroni del guscio di valenza e gli orbitali atomici, dei

due atomi che si sovrappongono. La sovrapposizione dell’orbitale 1s, che si avvicina lungo l’asse in

cui giace un orbitale 2p, contenente l’elettrone spaiato, dà luogo ad un legame sigma, poiché si

distorgono in seguito all’influenza che ciascun nucleo atomico esercita sull’elettrone nell’orbitale

dell’altro atomo. Quando si sovrappongono due orbitali 2p i due elettroni spaiati che li occupano si

accoppiano per formare il legame sigma.

Ibridazione degli orbitali atomici

Per descrivere la formazione dei legami nel metano e in altre molecole poliatomiche, Pauling

propose la teoria dell’ibridazione, egli suggerì che gli orbitali atomici s, p, ed eventualmente d, di

38

un atomo potessero mescolarsi, o combinarsi, per formare nuovi orbitali, detti orbitali ibridi. Il

processo di ibridazione è regolato da tre principi:

1. il numero degli orbitali ibridi ottenuti è sempre uguale al numero degli orbitali atomici che

sono combinati;

2. gli orbitali ibridi sono costruiti combinando un orbitale s con tanti orbitali p (ed

eventualmente d) e

3. gli orbitali ibridi sono diretti dall’atomo centrale verso quelli esterni in modo da sovrapporsi

meglio con i loro orbitali e formare con essi dei legami più forti.

Gli orbitali ibridi necessari per un atomo in una molecola o uno ione sono tanti quanti ne richiede la

geometria delle coppie di elettroni dell’atomo poiché è necessario un orbitale ibrido per ciascuna

coppia di elettroni di legame sigma e per ciascuna coppia solitaria.

sp: un orbitale s del guscio di valenza di un atomo centrale in una molecola o ione si

combina on un orbitale p del guscio di valenza dello stesso atomo formando due

orbitali ibridi sp che formano tra di loro un angolo di 180°.

2

sp : un orbitale s si combina con due orbitali p dello stesso guscio di valenza di un

2

dato atomo formando tre orbitali ibridi sp che giacciono nello stesso piano

formando fra di loro angolo di 120°. Se nella formazione degli orbitali ibridi sono

2

usati gli orbitali p e p i tre orbitali sp giacciono nel piano xy e l’orbitale p non

x y z

2

utilizzato è perpendicolare al piano in cui giacciono i tre orbitali sp .

3 3

sp : un orbitale s si combina con tre orbitali p, si formano quattro orbitali ibridi sp

che formano tra loro angoli di 109.5°.

3 3 2

sp d e sp d : uno o due orbitali d sono combinati con un orbitale s e tre orbitali p

3 3 2

dello stesso guscio di valenza formando due tipi di orbitali sp d e sp d che sono

utilizzati dall’atomo centrale di una molecola o ione con geometria trigonale bi

piramidale o ottaedrica delle coppie elettroniche; con gli orbitali rivolti verso il

vertice dell’ottaedro.

Nel metano (CH ), la geometria delle quattro coppie elettroniche, richiede l’uso di quattro orbitali

4 3

diretti verso i vertici di un tetraedro. Ciascuno dei quattro orbitali ibridi è sp che hanno la stessa

forma e un angolo tra loro di 109.5°, hanno la stessa energia e, in accordo con la regola di Hund,

ciascuno di essi sarà occupato da un elettrone. Quindi ogni legame C–H è formato dalla

3

sovrapposizione di uno degli orbitali ibridi sp del carbonio con l’orbitale 1s di un atomo di

ossigeno. L’ammoniaca (NH ) ha tre coppie di legame e una coppia solitaria, una geometria

3

tetraedrica delle coppie di legame e una geometria molecolare trigonale piramidale con angoli di

legame H–N–H pari a 107.5°. Sulla base della geometria delle coppie elettroniche si prevede

3

un’ibridazione sp per ospitare le quattro coppie elettroniche sull’atomo di N. la coppia solitaria è

assegnata ad uno degli orbitali ibridi, mentre ciascuno degli altri tre orbitali ibridi è occupato da un

singolo elettrone. L’atomo di ossigeno dell’acqua ha due coppie di legame e due solitarie nel suo

3

guscio di valenza e l’angolo H–O–H è di 104.5° con quattro orbitali ibridi sp formati dalla

3

combinazione degli orbitali atomici 2s e 2p dell’ossigeno. Due di questi orbitali sp sono occupati

da elettroni spaiati e sono utilizzati per formare i legami mentre i restanti due sono occupati dalle

coppie solitarie.

I legami doppi

Si consideri l’etilene CH =CH , esso ha tutti e sei gli atomi in un unico piano con angoli di circa

2 2 2

120°, ogni atomo di carbonio ha tre orbitali ibridi sp nel piano molecolare e un orbitale p non

ibridato perpendicolare allo stesso piano. I legami C–H sono formati in seguito alla sovrapposizione

2

degli orbitali sp del carbonio con gli orbitali 1s dell’idrogeno, inoltre questi due orbitali puntano

l’uno verso l’altro, sovrapponendosi, per formare uno dei due legami C–C. da questa descrizione si

evince che si formano due tipi di legame, il primo è dato dalla sovrapposizione degli orbitali

atomici dei legami C–H e C–C lungo l’asse di legame e prende il nome di legame sigma; l’altro è

quello che si forma in seguito alla sovrapposizione laterale di due orbitali atomici p ed è chiamato

39

legame pi-greco (π), che si può formare solo se sui due atomi legato sono presenti orbitali p non

ibridati, in cui la regione di sovrapposizione è situata sopra e sotto all’asse internucleare e la densità

elettronica del legame è localizzata sopra e sotto l’asse del legame sigma. Nella teoria del legame di

valenza un legame doppio consiste sempre di un legame σ e di uno π.

I legami tripli

L’acetilene H–C≡C–H ha i quattro atomi lungo una linea retta con angoli C–C–H di 180° con gli

atomi di carbonio ibridati sp. Su ciascun atomo di carbonio ci sono due orbitali sp: uno diretto verso

l’idrogeno che è usato per formare il legame σ C–H, e uno diretto verso l’altro carbonio che è usato

per formare il legame σ C–C. Su ciascun atomo di carbonio rimangono due orbitali p non ibridati e

orientati perpendicolarmente all’asse della molecola in modo da permettere la formazione dei due

legami π in HC≡CH. Nella teoria del legame di valenza un legame triplo consiste sempre di un

legame σ e di due π.

Isomeria cis-trans: una conseguenza del legame π

Gli isomeri sono composti che hanno la stessa formula ma strutture differenti. Gli isomeri trans

presentano gruppi distinti sui lati opposti di un doppio legame, mentre quelli cis presentano gruppi

distinti dullo stesso lato di un doppio legame. Poiché è richiesta un’elevata energia per rompere il

legame π, il composto cis non può riarrangiarsi per formare il composto trans in condizioni

ordinarie ma a temperature elevate. Infatti, se la temperatura è sufficientemente alta, l’energia dei

moti molecolari può essere sufficientemente elevata da permettere la rotazione attorno al legame

C=C.

Benzene: un caso speciale di legame π

August Kekulè, nella seconda metà dell’800, suggerì che il benzene, C H , avesse una strutture

6 6

planare ad anello di elevata simmetria. Tutti i legami C–C hanno la stessa lunghezza, un valore

intermedio fra le distanze medie di un legame singolo e un doppio legame. La struttura di tale

molecola è razionalizzata assumendo che essa abbia due strutture di risonanza con doppi legami

2

alternati. Ciascun atomo di carbonio ha ibridazione sp . Ogni legame C––H è formato dalla

2

sovrapposizione di un orbitale sp dell’atomo di carbonio con un orbitale 1s dell’atomo di idrogeno

2

e i legami σ C–C sono formati dalla sovrapposizione di tre orbitali sp di atomi di carbonio

adiacenti. Dopo la formazione di tre legami σ, su ciascun atomo di carbonio resta un orbitale p non

ibridato perpendicolare al piano della molecola e occupato da un solo elettrone. Questi sei orbitali e

i corrispondenti sei elettroni formano i legami π. Poiché tutti i legami carbonio-carbonio sono

equivalenti, ciascun orbitale p si sovrappone in maniera uguale con gli orbitali p dei due atomi di

carbonio adiacenti e l’interazione π è distribuita su tutto l’anello a sei termini.

Teoria degli orbitali molecolari

La teoria degli orbitali molecolari assume che gli orbitali atomici puri s e p degli atomi nella

molecola si combinano per formare orbitali che sono diffusi o de localizzati su diversi atomi o al

limite sull’intera molecola; questi nuovi orbitali vengono detti orbitali molecolari. Il primo principio

della teoria degli orbitali molecolari dice che il numero totale degli orbitali molecolari è sempre

uguale al numero degli orbitali atomici che si sono combinati. Il secondo principio della teoria degli

orbitali molecolari dice che l’orbitale molecolare legante ha minore energia degli orbitali da cui

deriva, mentre l’orbitale molecolare antilegante ha maggiore energia. Il terzo principio della teoria

degli orbitali molecolari enuncia che gli elettroni della molecola vengono assegnati agli orbitali di

energia via via crescente, in accordo con il principio di Pauli e la regola di Hund. Il quarto principio

degli orbitali molecolari dice che gli orbitali atomici si combinano nella maniera migliore per

formare orbitali molecolari se hanno energie simili.

Gli orbitali molecolari per H 2 40

La teoria MO indica che quando si combinano due orbitali 1s di due atomi di idrogeno, si formano

due orbitali molecolari, derivanti uno dalla somma e uno dalla sottrazione dei due orbitali atomici.

Le regioni di densità elettronica 1s si sommano l’una all’altra e ne consegue una più elevata

probabilità che gli elettroni possano trovarsi nella regione di legame fra i due nuclei. Questo orbitale

prende il nome di orbitale molecolare legante, di tipo σ, perché la regione di massima probabilità

per gli elettroni giace lungo l’asse del legame. L’altro orbitale molecolare viene ottenuto per

sottrazione delle funzioni d’onda degli orbitali 1s l’una dall’altra, in questo caso, la probabilità di

trovare un elettrone è ridotta mentre la densità elettronica cresce al di fuori della regione tra i due

nuclei. I nuclei si respingono e pertanto l’orbitale viene chiamato orbitale molecolare antilegante,

anche quest’orbitale è σ.

Ordine di legame = ½ (numero degli elettroni negli orbitali leganti – numero di elettroni negli

orbitali molecolari antileganti). È importante ricordare che nella teoria MO sono possibili ordini di

legame frazionari.

Gli orbitali molecolari derivati da orbitali atomici p

L’orbitale p di un atomo può interagire testa a testa con l’orbitale p dell’altro atomo per formare una

*

coppia di orbitali molecolari sigma, σ-legante e σ -antilegante. Ciascun atomo possiede inoltre due

orbitali p perpendicolari al legame σ che unisce i due atomi: questi due orbitali possono interagire

lateralmente per formare gli orbitali molecolari π-leganti e π-antileganti.

Tra la configurazione elettronica, l’ordine di grandezza di legame e l’energia di dissociazione del

legame esiste una correlazione, infatti, quando l’ordine di legame tra due atomi aumenta, l’energia

di ionizzazione del legame aumenta e la distanza di legame diminuisce.

Le configurazioni elettroniche di molecole biatomiche e etero nucleari

I composti NO, CO e ClF, tutte costituite da due elementi diversi, sono esempi di molecole

biatomiche eteronucleari. La loro descrizione secondo la teoria degli orbitali molecolari è molto

simile a quella per le molecole biatomiche omonucleari.

La risonanza e la teoria MO

L’ozono, O , è una semplice molecola triatomica in cui le lunghezze dei due legami ossigeno-

3

ossigeno sono uguali. Per spiegare il perché di queste distanze la teoria del legame di valenza ha

introdotto il concetto di risonanza. Assumiamo innanzitutto che tutti e tre gli atomi di ossigeno

2

siano ibridati sp . l’atomo centrale utilizza i suoi orbitali ibridi per formare due legami σ e per

2

sistemare una coppia non legante. Gli atomi terminali utilizzano gli orbitali ibridi sp per formare un

legame σ e per sistemare due coppie non leganti. Il legame π nell’ozono si origina dalle due coppie

2

restanti. Poiché ogni atomo di O presente nella molecola è stato considerato come ibridato sp ,

ciascuno dei tre atomi possiede un orbitale p non ibridato perpendicolare al piano della molecola.

Andiamo ora ad applicare i principi della teoria MO alla formazione di questi legami π dati dalla

combinazione dei tre orbitali atomici 2p. uno dei tre orbitali molecolari π è legante, uno è

p

antilegante e il terzo non è legante perché l’orbitale p centrale non prende parte a tale orbitale.

L’orbitale π legante è occupato da una coppia di elettrono che è delocalizzata o diffusa su tutta la

p

molecola, così come implica l’esistenza di ibridi di risonanza. Due degli orbitali π della molecola di

ozono si estendono su tre atomi, illustrando un importante concetto della teoria MO: gli orbitali

possono estendersi su più di due atomi. Tenendo presente che il numero di orbitali deve essere

uguale al numero degli orbitali atomici combinati, poiché gli orbitali p che contribuiscono ai legame

π sono sei, devono esserci sei orbitali molecolari π nel benzene. Il diagramma dei livelli energetici

di questa molecola mostra che i sei elettroni π sono assegnati nei tre orbitali molecolari (leganti) di

più bassa energia. 41

I GAS E LE LORO PROPRIETÀ

La pressione di un gas

La pressione è il rapporto tra la forza esercitata su un oggetto e l’area sulla quale viene esercitata; la

pressione atmosferica viene misurata con il barometro. Il barometro può essere costruito riempiendo

un tubo con un liquido, in genere il mercurio, e capovolgendolo tutto in una bacinella piena dello

stesso liquido. Se l’aria è stata completamente rimossa dal tubo verticale, il liquido nel tubo

raggiunge un livello in cui la pressione esercitata dalla massa della colonna di liquido nel tubo è

bilanciata dalla pressione esercitata dall’atmosfera sulla superficie del liquido nella bacinella. La

pressione è spesso riportata in mm di Hg, corrispondenti a quelli nel tubo, al livello del mare, può

essere, però, misurata anche in atmosfere standard (atm), unità di misura definita come:

1 atmosfera standard (1 atm) = 760 mm Hg (esatti). 2

Ciò nonostante l’unità nel SI per la pressione è il Pascal (Pa), che corrisponde a 1 newton/m ,

mentre per la pressione dei gas si tende ad utilizzare il bar, dove 1 bar = 100.000 Pa.

Le leggi dei gas

La legge di Boyle: la comprimibilità dei gas

Robert Boyle, (1627-1691), osservò che il volume di una quantità fissa di gas a una data

temperatura è inversamente proporzionale alla pressione esercitata sul gas (legge di Boyle). Questo

è possibile data una particolare proprietà dei gas, la comprimibilità. Matematicamente possiamo

scrivere la legge di Boyle come: ∝

P 1/V quando n e T sono costanti

dove significa “proporzionale a”. quando due quantità sono proporzionali l’una all’altra si

possono uguagliare introducendo una costante di proporzionalità indicata qui come C , quindi:

B

P = C x 1/V oppure PV = C con n e T costanti

B B

dove n indica sempre il numero di moli del gas mentre T la temperatura in gradi Kelvin.

L’effetto della temperatura sul volume dei gas: la legge di Charles

Nel 1787, lo scienziato francese Jacques Charles, scoprì che il volume di una quantità fissa di gas,

se la pressione è mantenuta costante, decresce con il diminuire della temperatura. Usando la scala

Kelvin la relazione volume-temperatura, si esprime nel seguente modo:

V = C x T oppure V/T = C

c c

dove C è una costante di proporzionalità che diende dalla quantità di gas e dalla sua pressione.

c

Tutto questo è noto come legge di Charles, e indica la proporzionalità diretta tra temperatura (in K)

e volume. Infatti, il volume di un gas diviso la sua temperatura in Kelvin è costante per un dato

campione a una pressione specifica.

Combinare la legge di Boyle e di Charles: la legge generale dei gas

Il volume di una certa quantità di gas è inversamente proporzionale alla sua pressione, a

temperatura costante (Boyle) e direttamente proporzionale alla sua temperatura, espressa in kelvin,

se la pressione è costante (Charles). La seguente equazione si applica a situazioni in cui la quantità

di gas non varia ed è detta legge generale dei gas o legge combinata dei gas:

(P V ) / T = (P V ) / T per una certa quantità di gas, n.

1 1 1 2 2 2

L’ipotesi di Avogadro

Nel 1811 Amadeo Avogadro, studiando il lavoro sui gas del chimico Gay-Lussac, propose che

volumi uguali di gas nelle stesse condizioni di temperatura e pressione contenessero lo stesso

42

numero di particelle (ipotesi di Avogadro), cioè il volume di un gas a una data temperatura e una

data pressione è direttamente proporzionale alla quantità di gas espressa in moli:

V n per T e P costanti.

La legge dei gas ideali ∝

Se si combinano le tre leggi prima esposte si ottiene: V (nT)/P ; ciò può essere espresso attraverso

un’equazione matematica introducendo una costante universale R, detta costante dei gas, che lega P,

V, T e n. L’equazione che ne risulta, V = R x (nT/P) cioè PV = nRT, è detta legge dei gas ideali

perché descrive lo stato di un gas in condizioni ideali. Per poter utilizzare questa equazione

necessitiamo del valore di R che, dopo molti esperimenti, in cui veniva considerato un gas in

condizioni di temperatura e pressione standard (SPT), cioè a 0° C o 273.15° K e 1 atm, di cui 1 sua

mole occupava 22.414 L (volume molare standard) R risultava pari a 0.082057 (L x atm)/(K x mol).

La densità dei gas

In qualsiasi composto il numero di moli (n) è dato dal rapporto tra la sua massa (m) e la massa

molare (M), si può sostituire m/M per n nell’equazione dei gas ideali, così da poter ricavare la

densità del gas: PV = (m/M) RT da cui d = m/V = PM/RT

La densità dei gas è direttamente proporzionale alla pressione e alla massa molare e inversamente

proporzionale alla temperatura.

Miscele di gas e pressioni parziali

La pressione di ogni singolo componente di una miscela è detta pressione parziale. John Dalton,

(1766-1844), fu il primo ad osservare che la pressione di una miscela di gas è la somma delle

pressioni dei differenti componenti della miscela stessa (legge di Dalton delle pressioni parziali),

esprimibile matematicamente come:

P = P + P + P …. cioè P = (n ) (RT/V)

totale 1 2 3 totale totale

Per le miscele gassose è conveniente introdurre una quantità chiamata frazione molare, X, che è

definita come il rapporto tra il numero di moli di una certa sostanza in una miscela e il numero

totale di moli di tutte le sostanze precedenti:

X = n / (n + n + n ) = n / n

A A A B C A totale

La pressione di un gas in una miscela di gas è pari al prodotto della sua frazione molare per la

pressione totale della miscela: P = X P

A A totale

La teoria cinetica molecolare dei gas

La teoria cinetica molecolare descrive il comportamento dei gas a livello atomico, secondo i

seguenti postulati:

 I gas sono costituiti da particelle, la cui distanza reciproca è molto maggiore delle

dimensioni delle particelle stesse.

 Le particelle di un gas sono in moto continuo, rapido e casuale. Muovendosi esse collidono

tra loro e con le pareti del loro recipiente, ma lo fanno senza perdita di energia cinetica.

 L’energia cinetica media delle particelle è proporzionale alla temperatura del gas. Tutti i gas,

indipendentemente dalla loro massa molare, alla stessa temperatura possiedono la tessa

energia cinetica media. 43

Velocità molecolare ed energia cinetica

La velocità con cui si muovono le particelle dipende dalla temperatura. L’energia cinetica (KE,

kinetic energy) di una singola molecola di massa m in un campione di gas è data dall’equazione:

2 2

KE = ½ (massa)(velocità) = ½ mu

dove u è la velocità della molecola. L’energia cinetica media è legata alla velocità media:

2

KE = ½ mu

dove la barra orizzontale sopra i simboli KE e u indica un valore medio. L’energia cinetica media di

un insieme di molecole gassose è direttamente proporzionale alla temperatura con costante di

3

proporzionalità pari / R:

2 3

KE = / RT

2

dove R è la costante dei gas espressa nel SI (8.314722 J/k x mol). Nell’equazione di Maxwell si può

notare come la velocità delle molecole del gas è direttamente proporzionale alla temperatura:

2

√u = √ (3RT)/M

Teoria cinetica molecolare e leggi dei gas

Pressione di un gas = forze delle collisioni / area

La forza esericitata da queste collisioni depende dal numero di collisioni e dalla forza media per

collisione; all’aumentare della temperatura del gas, aumenta anche l’energia cinetica media delle

particelle e quindi la forza media delle collisioni con le pareti aumenta. In termini matematici, P

T quando n e V sono costanti, cioè: P = n (RT/V). l’aumento del numero di molecole di un gas a una

data temperatura e volume non cambia la forza di collisione media, ma provoca un amumento del

numero di collisioni per secondo. V nT quando P è costante, affermazione data dalla

combinazione dell’ipotesi di Avogadro e della legge di Charles. P 1/V quando n e T sono costanti,

come affermato dalla legge di Boyle, cioè P = (1/V) (nRT).

Diffusione ed effusione

Il mescolamento di molecole di due o più gas dovuto ai movimenti molecolari viene chiamato

diffusione gassosa: è il risultato del movimento casuale delle molecole di tutti i gas. L’effusione,

invece, è il movimento si un gas attraverso una sottile apertura, da un recipiente ad un altro in cui la

pressione è molto bassa. Thomas Graham, chimico scozzese della prima metà dell’800, studiando

l’effusione dei gas, trovò sperimentalmente che la velocità di effusione di un gas è inversamente

proporzionale alla radice quadrata della sua massa molare:

velocità di effusione gas 1/ velocità di effusione gas 2 = √(massa molare gas 1/massa molare gas 2)

espressione nota come legge di Graham.

Comportamento non ideale: gas reali

La teoria cinetica molecolare e la legge dei gas ideali tengono conto del volume disponibile per il

movimento delle molecole, non del volume occupato dalle molecole stesse, volume che ad alte

pressioni non può essere trascurato. Inoltre queste teorie assumono che le collisioni fra le molecole

siano elastiche, presumendo erroneamente che gli atomi e le molecole non si attirino

reciprocamente a causa di forze intramolecolari. In realtà tra le molecole agiscono delle forze di tipo

attrattivo, ciò implica che quando una molecola sta per urtare le pareti del recipiente in cui si trova,

le altre molecole, lontane dalla parete, la attraggono e tendono ad allontanarla dalla parete stessa

facendo sì che l’impatto di ogni molecola con la parete sia meno forte di quanto sarebbe in assenza

di tali forze. Dato che le collisioni sono meno energetiche la pressione gassosa è minora di quella

predetta dai gas ideali, effetto che può essere più evidente a basse pressioni. Il fisico olandese van

der Waals (1837-1923) studiò le deviazioni dell’equazione dei gas ideali e sviluppò un’equazione

per correggere gli errori derivati dalla non idealità dei gas, equazione nota come equazione di van

der Waals: 44

2

(P + a [n/V] )(V – bn) = nRT

2

dove P è la pressione osservata, a [n/V] è la correzione della pressione tenendo conto delle forze

intermolecolari, n/V la concentrazione del gas in assenza di associazione di atomi o molecole

dovuta alle forze intermolecolari. V è il volume del contenitore, bn lo spazio occupato dalle

molecole stesse. Le costanti sperimentali a e b sono specifiche per ogni gas e possono variare,

rispettivamente, da 0.01 a 10 atm e da 0.01 a 0.1 L/mol (aumenta all’aumentare delle dimensioni

molecolari). LE FORZE INTERMOLECOLARI E I LIQUIDI

Stati della materia e forze intermolecolari

La teoria cinetica molecolare dei gas assume che le molcecole o gli atomi di un gas siano

ampiamente separati tra loro e che queste particelle possono essere considerate indipendenti l’una

dall’altra, quindi si possono mettere in relazione fra loro le proprietà di un gas con la legge dei gas

ideali PV = nRT. Quando queste forze intermolecolari diventano sufficientemente forti, la sostanza

può condensare a liquido e successivamente a solido. Tra le molecole di gas esiste molto spazio,

mentre in un liquido le molecole sono vicine tra loro. L’aumento di volume nel passaggio da liquido

a gas è sorprendentemente grande. Al contrario, non avvengono variazioni di volume molto

rilevanti quando un solido si trasforma in liquido. Le molecole, gli ioni, o gli atomi nella fase

liquida e solida si oppongono fortemente alle forze che tendono a spingerle ancora più vicine tra di

loro; quindi una caratteristica dei liquidi e dei solidi è la bassa compressibilità. Le forze

intermolecolari influenzano la chimica in molti modi:

Sono direttamente collegate alle proprietà come il punto di liquefazione, il punto di

ebollizione e l’energia necessaria per trasformare un solido in un liquido o un liquido in un

vapore.

Sono importanti nel determinare la solubilità dei gas, liquidi e solidi in vari solventi.

Sono cruciali nel determinare le strutture di molecole biologicamente importanti come il

DNA e le proteine.

Le forze attrattive tra ioni nei composti ionici sono di solito comprese tra 700 e 1100 KJ/mol e

molte energie di legame variano tra 100 e 400 kJ/mol.

Forze intermolecolari che coinvolgono molecole polari

Le interazione tra ioni e molecole dotati di dipolo permanente

Le molecole polari hanno un’estremità positiva e una negativa, se si mescolano una molecola polare

e un composto ionico, l’estremità negativa del dipolo sarà attratta dal catione positivo e l’estremità

positiva dall’anione negativo. Le forze coinvolte nell’attrazione tra uno ione positivo o negativo e

una molecola polare sono minori di quelle delle attrazioni ione-ione, ma maggiori di qualsiasi altra

forza molecolare che siano polari o non polari. L’attrazione ione-dipolo può essere valutata sulla

base dell’equazione che descrive l’attrazione tra cariche opposte, la legge di Coulomb, la forza

d’attrazione tra due oggetti carichi dipende dal rapporto tra il prodotto delle loro cariche e il

quadrato delle loro distanze. Quando una molecola polare incontra uno ione, le forze attrattive

dipendono da tre fattori:

la distanza tra lo ione e il dipolo, più vicini si trovano più forte sarà l’attrazione;

la carica dello ione, più alta è la carica, maggiore sarà l’attrazione;

il valore del dipolo, maggiore è la grandezza del dipolo, più forte sarà l’attrazione.

L’energia associata all’idratazione degli ioni è detta entalpia di solvatazione o, per gli ioni in acqua,

entalpia di idratazione, che non può essere misurata per un singolo ione ma se ne possono stimare i

valori. L’entalpia di idratazione dipende da 1/d, dove di è fra il centro dello ione e il polo di carica

45

opposta del dipolo. Man mano che il raggio dello ione diventa più grande, d aumenta e l’entalpia di

idratazione diventa sempre meno esotermica, andamento illustrato dalle entalpie di idratazione dei

cationi dei metalli alcalini. Per le molecole polari, le attrazioni dipolo-dipolo influenzano

l’evaporazione di un liquido e la condensazione di un gas. L’evaporazione richiede che al liquido

sia fornito calore e precisamente l’entalpia di evaporazione, che, dato che l’evaporazione è un

processo endotermico, avrà un valore posititvo. La variazione di entalpia per il processo di

condensazione, l’inverso dell’evaporazione, ha un valore negativo poichè è il calore trasferito

all’esterno del sistema. Maggiori sono le forze di attrazione tra le molecole in un liquido, maggiore

sarà l’energia che bisogna fornire per separarle. Il punto di ebollizione di un liquido è collegato

anche alle forze di attrazione intermolecolare. All’aumentare della temperatura le molecole di una

sostanza guadagnano energia cinetica e, raggiunto il punto di ebollizione hanno sufficiente energia

per sfuggire alle forze attrattive generate dalle molecole vicine; più grandi sono le forze attrattive,

maggiore è il punto di ebollizione. Simile soglie simile, cioè le molecole polari si sciolgono più

facilmente in un solvente polare e le molecole non polari si sciolgono più facilmente in un solvente

non polare.

Legami a idrogeno

Generalmente i punti di ebollizione dei relativi composti aumentano con la massa molare. Questa

tendenza si osserva, per esempio, nei punti di ebollizione dei composti idrogenati degli elementi del

gruppo 4A. Il legame idrogeno, rappresentato con una linea tratteggiata, è una forma estrema di

attrazione dipolo-dipolo dove un atomo coinvolto è sempre H e l’altro atomo è un atomo altamente

elettronegativo, come, O, N e F; l’atomo d’idrogeno diventa quindi un ponte tra due atomi

elettronegativi.

Forze intermolecolari che coinvolgono molecole non polari

Forze dipolo/dipolo indotto

Le molecole polari come l’acqua possono indurre, o creare, un dipolo in molecole che non hanno un

dipolo permanente. In questo processo la molecola stessa di O , all’avvicinarsi della parte negativa

2

di una molecola d’acqua, diventa polare, cioè un dipolo è indotto nella molecola di O altrimenti

2

non polare. L’ossigeno può sciogliersi in acqua perché esiste una forza di attrazione tra il dipolo

permanente dell’acqua e il dipolo indotto nell’O , tali interazioni sono dette interazioni

2

dipolo/dipolo indotto. Il processo di induzione è detto polarizzazione e il grado a cui la nuvola

elettronica di un atomo o di una molecola può essere distorta dipende dalla polarizzabilità

dell’atomo o della molecola. Per una serie analoga di composti, gli alogeni e gli alcani, maggiore è

la massa molare, maggiore è la polarizzabilità della molecola. Le forze intermolecolari di attrazione

nei liquidi e nei solidi composti da molecole non polari sono le forze dipolo indotto/dipolo indotto,

spesso definite come forze di dispersione di London; in realtà queste forze si originano tra tutte le

molecole, sia non polari che polari, ma le forze di London sono le uniche forze intermolecolari che

permettono alle molecole non polari di interagire tra loro.

Forze intermolecolari, riassunto, dalla forza maggiore alla minore

Ione-dipolo = dovuto a causa della carica ionica e della grandezza del dipolo.

Dipolo-dipolo = dovuto dal momento dipolo (dipende dalle elettronegatività degli atomi e dalla

struttura molecolare.

Legame idrogeno = legame esistente tra X-H molto polare, dove X è O, N o F, e atomo Y con

coppia di elettroni solitari.

Dipolo-dipolo indotto = causato momento di dipolo di molecola polare e polarizzabilità di una

molecola non polare. 46

Dipolo indotto-dipolo indotto = conosciuto anche con il nome di forze di dispersione di London,

causato dalla polarizzabilità.

Proprietà dei liquidi

Le particelle dei liquidi interagiscono con le altre particelle adiacenti, come le particelle di un

solido, ma senza un particolare ordine nella loro disposizione spaziale.

L’evaporazione e la condensazione

L’evaporazione è il processo attraverso cui una sostanza allo stato liquido diventa un gas. In questo

processo le molecole sfuggono dalla superficie del liquido e passano alla fase gassosa. Le molecole

in un liquido posseggono energia con una distribuzione simile a quella delle molecole di un gas.

L’energia media per le molecole di un liquido dipende solamente dalla temperatura: maggiore è la

temperatura, più alta è l’energia media e la frazione di molecole con energia cinetica elevata. In un

campione di liquido sono poche le molecole con energia cinetica elevata, cioè con energia maggiore

dell’energia potenziale delle forze attrattive intermolecolari che legano le molecole nel liquido. Il

calore necessario per far evaporare un campione a pressione costante è detto entalpia molare

standard di evaporazione, Δ H°, espressa in kJ/mol. Una molecola in fase gassosa se viene a

evap

contato con la superficie del liquido, può passare di nuovo in fase liquida in un processo chiamato

condensazione. La condensazione è esotermica, cioè dell’energia termica è trasferita dall’ambiente

circostante. La variazione di entalpia di condensazione è uguale, ma di segno opposto, all’entalpia

di evaporazione. I punti di ebollizione dei liquidi non polari aumentano all’au mentare della massa

atomica o molecolare, un riflesso dell’incremento delle forza di dispersione intermolecolari.

Pressione di vapore

L’equilibrio dinamico è una situazione in cui le molecole continuano a muoversi dalla fase liquida

alla fase vapore e dalla fase vapore tornano di nuovo nella fase liquida; la velocità con cui le

molecole si muovono dal liquido al vapore è la stessa con cui esse si muovono dal vapore al liquido,

non si osservano, quindi, variazioni delle masse nelle due fasi. La pressione di vapore diequilibrio

di qualsiasi sostanza è una misura della tendenza delle sue molecole a sfuggire dalla fase liquida e

passare in fase vapore ad una data temperatura. Questa tendenza viene chiamata qualitativamente

volatilità della sostanza liquida. Ogni punto della curva della pressione di vapore in funzione della

temperatura rappresenta le condizioni di pressione a temperatura a cui il liquido e il vapore sono in

equilibrio.

Pressione di vapore, entalpia di evaporazione ed equazione di Clasius-Clapeyron

Il fisico tedesco Clausius e il francese Clapeyron dimostrarono che, per un liquido puro, esiste una

relazione lineare tra il reciproco della temperatura in Kelvin e il logaritmo naturale della pressione

di vapore: ln P = - (Δ H°/RT) + C dove Δ H° è l’entalpia di evaporazione del liquido, P la

evap evap

costante dei gas ideali e C è una costante caratteristica del composto. Questa equazione, detta

equazione di Clasius-Clapeyron. La seguente equazione ci permette di calcolare Δ H° conoscendo

evap

la pressione di vapore di un certo liquido a due diverse temperature:

ln (P /P ) = - (Δ H°/R) [(1/T )-(1/T )]

2 1 evap 2 1

Punto di ebollizione

Il punto di ebollizione di un liquido è la temperatura a cui la pressione di vapore è uguale alla

pressione esterna. Se la pressione esterna è 760mm Hg, tale temperatura viene indicata come il

punto normale di ebollizione.

Temperature e pressione critiche 47

Quando si raggiungono una specifica temperatura ed una specifica pressione, l’interfaccia tra il

liquido e il vapore scompare; questo punto è detto punto critico. La temperatura alla quale ciò

avviene è detta temperatura critica, T , e la pressione di vapore corrispondente è la pressione critica,

c

P , infine la sostanza in questa situazione è detta fluido supercritico. Le molecole sono obbligate a

c

essere vicine almeno come si trovano nello stato liquido, ma ciascuna molecola ha energia cinetica

sufficiente per superare le forze che mantengono le molecole legate tra loro. Quindi, il fluido

supercritico ha un arrangiamento molecolare strettamente impaccato come quello di un liquido, ma

le forze intermolecolari di attrazione che caratterizzano lo stato liquido sono minori dell’energia

cinetica delle particelle.

Tensione superficiale, azione capillare e viscosità

La “durezza” della pelle di un liquido si misura mediante la tensione superficiale, l’energia richiesta

per rompere la superficie del liquido o per rompere una goccia di liquido e distenderla sotto forma

di pellicola. L’azione capillare è strettamente collegata alla tensione superficiale. Quando si pone in

acqua un tubo di vetro di piccolo diametro, l’acqua sale nel tubo, proprio come l’acqua sale lungo

un pezzo di carta posto in acqua. Poiché sono attratte da queste e costituiscono un “ponte” verso

l’interno del liquido. Inoltre, la tensione superficiale dell’acqua è abbastanza grande da spingere

l’acqua in alto nel tubo, cosicché il suo livello sale. La salita continua finché le varie forze, di

adesione tra l’acqua e il vetro, di coesione fra le molecole d’acqua, sono equilibrate dalla forza di

gravità della colonna d’acqua. Un’altra proprietà molto importante dei liquidi in cui le forze

intermolecolari giocano un ruolo fondamentale è la viscosità, cioè la resistenza allo scorrimento.

LE FORZE INTERMOLECOLARI E I LIQUIDI

Stati della materia e forze intermolecolari

La teoria cinetica molecolare dei gas assume che le molcecole o gli atomi di un gas siano

ampiamente separati tra loro e che queste particelle possono essere considerate indipendenti l’una

dall’altra, quindi si possono mettere in relazione fra loro le proprietà di un gas con la legge dei gas

ideali PV = nRT. Quando queste forze intermolecolari diventano sufficientemente forti, la sostanza

può condensare a liquido e successivamente a solido. Tra le molecole di gas esiste molto spazio,

mentre in un liquido le molecole sono vicine tra loro. L’aumento di volume nel passaggio da liquido

a gas è sorprendentemente grande. Al contrario, non avvengono variazioni di volume molto

rilevanti quando un solido si trasforma in liquido. Le molecole, gli ioni, o gli atomi nella fase

liquida e solida si oppongono fortemente alle forze che tendono a spingerle ancora più vicine tra di

loro; quindi una caratteristica dei liquidi e dei solidi è la bassa compressibilità. Le forze

intermolecolari influenzano la chimica in molti modi:

Sono direttamente collegate alle proprietà come il punto di liquefazione, il punto di

ebollizione e l’energia necessaria per trasformare un solido in un liquido o un liquido in un

vapore.

Sono importanti nel determinare la solubilità dei gas, liquidi e solidi in vari solventi.

Sono cruciali nel determinare le strutture di molecole biologicamente importanti come il

DNA e le proteine.

Le forze attrattive tra ioni nei composti ionici sono di solito comprese tra 700 e 1100 KJ/mol e

molte energie di legame variano tra 100 e 400 kJ/mol.

Forze intermolecolari che coinvolgono molecole polari

Le interazione tra ioni e molecole dotati di dipolo permanente 48

Le molecole polari hanno un’estremità positiva e una negativa, se si mescolano una molecola polare

e un composto ionico, l’estremità negativa del dipolo sarà attratta dal catione positivo e l’estremità

positiva dall’anione negativo. Le forze coinvolte nell’attrazione tra uno ione positivo o negativo e

una molecola polare sono minori di quelle delle attrazioni ione-ione, ma maggiori di qualsiasi altra

forza molecolare che siano polari o non polari. L’attrazione ione-dipolo può essere valutata sulla

base dell’equazione che descrive l’attrazione tra cariche opposte, la legge di Coulomb, la forza

d’attrazione tra due oggetti carichi dipende dal rapporto tra il prodotto delle loro cariche e il

quadrato delle loro distanze. Quando una molecola polare incontra uno ione, le forze attrattive

dipendono da tre fattori:

la distanza tra lo ione e il dipolo, più vicini si trovano più forte sarà l’attrazione;

la carica dello ione, più alta è la carica, maggiore sarà l’attrazione;

il valore del dipolo, maggiore è la grandezza del dipolo, più forte sarà l’attrazione.

L’energia associata all’idratazione degli ioni è detta entalpia di solvatazione o, per gli ioni in acqua,

entalpia di idratazione, che non può essere misurata per un singolo ione ma se ne possono stimare i

valori. L’entalpia di idratazione dipende da 1/d, dove di è fra il centro dello ione e il polo di carica

opposta del dipolo. Man mano che il raggio dello ione diventa più grande, d aumenta e l’entalpia di

idratazione diventa sempre meno esotermica, andamento illustrato dalle entalpie di idratazione dei

cationi dei metalli alcalini. Per le molecole polari, le attrazioni dipolo-dipolo influenzano

l’evaporazione di un liquido e la condensazione di un gas. L’evaporazione richiede che al liquido

sia fornito calore e precisamente l’entalpia di evaporazione, che, dato che l’evaporazione è un

processo endotermico, avrà un valore posititvo. La variazione di entalpia per il processo di

condensazione, l’inverso dell’evaporazione, ha un valore negativo poichè è il calore trasferito

all’esterno del sistema. Maggiori sono le forze di attrazione tra le molecole in un liquido, maggiore

sarà l’energia che bisogna fornire per separarle. Il punto di ebollizione di un liquido è collegato

anche alle forze di attrazione intermolecolare. All’aumentare della temperatura le molecole di una

sostanza guadagnano energia cinetica e, raggiunto il punto di ebollizione hanno sufficiente energia

per sfuggire alle forze attrattive generate dalle molecole vicine; più grandi sono le forze attrattive,

maggiore è il punto di ebollizione. Simile soglie simile, cioè le molecole polari si sciolgono più

facilmente in un solvente polare e le molecole non polari si sciolgono più facilmente in un solvente

non polare.

Legami a idrogeno

Generalmente i punti di ebollizione dei relativi composti aumentano con la massa molare. Questa

tendenza si osserva, per esempio, nei punti di ebollizione dei composti idrogenati degli elementi del

gruppo 4A. Il legame idrogeno, rappresentato con una linea tratteggiata, è una forma estrema di

attrazione dipolo-dipolo dove un atomo coinvolto è sempre H e l’altro atomo è un atomo altamente

elettronegativo, come, O, N e F; l’atomo d’idrogeno diventa quindi un ponte tra due atomi

elettronegativi.

Forze intermolecolari che coinvolgono molecole non polari

Forze dipolo/dipolo indotto

Le molecole polari come l’acqua possono indurre, o creare, un dipolo in molecole che non hanno un

dipolo permanente. In questo processo la molecola stessa di O , all’avvicinarsi della parte negativa

2

di una molecola d’acqua, diventa polare, cioè un dipolo è indotto nella molecola di O altrimenti

2

non polare. L’ossigeno può sciogliersi in acqua perché esiste una forza di attrazione tra il dipolo

permanente dell’acqua e il dipolo indotto nell’O , tali interazioni sono dette interazioni

2

dipolo/dipolo indotto. Il processo di induzione è detto polarizzazione e il grado a cui la nuvola

elettronica di un atomo o di una molecola può essere distorta dipende dalla polarizzabilità

dell’atomo o della molecola. Per una serie analoga di composti, gli alogeni e gli alcani, maggiore è

49

la massa molare, maggiore è la polarizzabilità della molecola. Le forze intermolecolari di attrazione

nei liquidi e nei solidi composti da molecole non polari sono le forze dipolo indotto/dipolo indotto,

spesso definite come forze di dispersione di London; in realtà queste forze si originano tra tutte le

molecole, sia non polari che polari, ma le forze di London sono le uniche forze intermolecolari che

permettono alle molecole non polari di interagire tra loro.

Forze intermolecolari, riassunto, dalla forza maggiore alla minore

Ione-dipolo = dovuto a causa della carica ionica e della grandezza del dipolo.

Dipolo-dipolo = dovuto dal momento dipolo (dipende dalle elettronegatività degli atomi e dalla

struttura molecolare.

Legame idrogeno = legame esistente tra X-H molto polare, dove X è O, N o F, e atomo Y con

coppia di elettroni solitari.

Dipolo-dipolo indotto = causato momento di dipolo di molecola polare e polarizzabilità di una

molecola non polare.

Dipolo indotto-dipolo indotto = conosciuto anche con il nome di forze di dispersione di London,

causato dalla polarizzabilità.

Proprietà dei liquidi

Le particelle dei liquidi interagiscono con le altre particelle adiacenti, come le particelle di un

solido, ma senza un particolare ordine nella loro disposizione spaziale.

L’evaporazione e la condensazione

L’evaporazione è il processo attraverso cui una sostanza allo stato liquido diventa un gas. In questo

processo le molecole sfuggono dalla superficie del liquido e passano alla fase gassosa. Le molecole

in un liquido posseggono energia con una distribuzione simile a quella delle molecole di un gas.

L’energia media per le molecole di un liquido dipende solamente dalla temperatura: maggiore è la

temperatura, più alta è l’energia media e la frazione di molecole con energia cinetica elevata. In un

campione di liquido sono poche le molecole con energia cinetica elevata, cioè con energia maggiore

dell’energia potenziale delle forze attrattive intermolecolari che legano le molecole nel liquido. Il

calore necessario per far evaporare un campione a pressione costante è detto entalpia molare

standard di evaporazione, Δ H°, espressa in kJ/mol. Una molecola in fase gassosa se viene a

evap

contato con la superficie del liquido, può passare di nuovo in fase liquida in un processo chiamato

condensazione. La condensazione è esotermica, cioè dell’energia termica è trasferita dall’ambiente

circostante. La variazione di entalpia di condensazione è uguale, ma di segno opposto, all’entalpia

di evaporazione. I punti di ebollizione dei liquidi non polari aumentano all’au mentare della massa

atomica o molecolare, un riflesso dell’incremento delle forza di dispersione intermolecolari.

Pressione di vapore

L’equilibrio dinamico è una situazione in cui le molecole continuano a muoversi dalla fase liquida

alla fase vapore e dalla fase vapore tornano di nuovo nella fase liquida; la velocità con cui le

molecole si muovono dal liquido al vapore è la stessa con cui esse si muovono dal vapore al liquido,

non si osservano, quindi, variazioni delle masse nelle due fasi. La pressione di vapore diequilibrio

di qualsiasi sostanza è una misura della tendenza delle sue molecole a sfuggire dalla fase liquida e

passare in fase vapore ad una data temperatura. Questa tendenza viene chiamata qualitativamente

volatilità della sostanza liquida. Ogni punto della curva della pressione di vapore in funzione della

temperatura rappresenta le condizioni di pressione a temperatura a cui il liquido e il vapore sono in

equilibrio.

Pressione di vapore, entalpia di evaporazione ed equazione di Clasius-Clapeyron 50

Il fisico tedesco Clausius e il francese Clapeyron dimostrarono che, per un liquido puro, esiste una

relazione lineare tra il reciproco della temperatura in Kelvin e il logaritmo naturale della pressione

di vapore: ln P = - (Δ H°/RT) + C dove Δ H° è l’entalpia di evaporazione del liquido, P la

evap evap

costante dei gas ideali e C è una costante caratteristica del composto. Questa equazione, detta

equazione di Clasius-Clapeyron. La seguente equazione ci permette di calcolare Δ H° conoscendo

evap

la pressione di vapore di un certo liquido a due diverse temperature:

ln (P /P ) = - (Δ H°/R) [(1/T )-(1/T )]

2 1 evap 2 1

Punto di ebollizione

Il punto di ebollizione di un liquido è la temperatura a cui la pressione di vapore è uguale alla

pressione esterna. Se la pressione esterna è 760mm Hg, tale temperatura viene indicata come il

punto normale di ebollizione.

Temperature e pressione critiche

Quando si raggiungono una specifica temperatura ed una specifica pressione, l’interfaccia tra il

liquido e il vapore scompare; questo punto è detto punto critico. La temperatura alla quale ciò

avviene è detta temperatura critica, T , e la pressione di vapore corrispondente è la pressione critica,

c

P , infine la sostanza in questa situazione è detta fluido supercritico. Le molecole sono obbligate a

c

essere vicine almeno come si trovano nello stato liquido, ma ciascuna molecola ha energia cinetica

sufficiente per superare le forze che mantengono le molecole legate tra loro. Quindi, il fluido

supercritico ha un arrangiamento molecolare strettamente impaccato come quello di un liquido, ma

le forze intermolecolari di attrazione che caratterizzano lo stato liquido sono minori dell’energia

cinetica delle particelle.

Tensione superficiale, azione capillare e viscosità

La “durezza” della pelle di un liquido si misura mediante la tensione superficiale, l’energia richiesta

per rompere la superficie del liquido o per rompere una goccia di liquido e distenderla sotto forma

di pellicola. L’azione capillare è strettamente collegata alla tensione superficiale. Quando si pone in

acqua un tubo di vetro di piccolo diametro, l’acqua sale nel tubo, proprio come l’acqua sale lungo

un pezzo di carta posto in acqua. Poiché sono attratte da queste e costituiscono un “ponte” verso

l’interno del liquido. Inoltre, la tensione superficiale dell’acqua è abbastanza grande da spingere

l’acqua in alto nel tubo, cosicché il suo livello sale. La salita continua finché le varie forze, di

adesione tra l’acqua e il vetro, di coesione fra le molecole d’acqua, sono equilibrate dalla forza di

gravità della colonna d’acqua. Un’altra proprietà molto importante dei liquidi in cui le forze

intermolecolari giocano un ruolo fondamentale è la viscosità, cioè la resistenza allo scorrimento.

LE SOLUZIONI E IL LORO COMPORTAMENTO

Una soluzione è una miscela omogenea di due o più sostanze in un’unica fase. Per convenzione il

componente presente in quantità maggiore viene chiamato il solvente e l’altro componente è

chiamato soluto. L’esperienza mostra che aggiungendo un soluto ad un liquido puro le proprietà del

liquido cambiano.

Le unità di misura della concentrazione

La molarità, che è un’unità di misura della concentrazione, è definita come il numero di moli di

soluto per litri di soluzione; mentre la molalità, m, di una soluzione è definita come la quantità di

soluto (moli) per chilogrammo di solvente. In genere la molarità e la molalità di una stessa

soluzione non possono essere uguali ma la loro differenza nelle soluzioni acquose diventa

trascurabile quando la soluzione è diluita. La frazione molare, X, di un componente di una

51

soluzione è definita come il rapporto tra la quantità in moli del componente (n ) e il numero totale

A

di moli di tutti i componenti della soluzione (n + n + n + …). La percentuale in peso rappresenta

A B C

la massa di un componente divisa per la massa totale della miscela, moltiplicata per 100%. Molti

scienziati preferiscono usare l’unità di misura come le parti per milione (ppm) per esprimere le

concentrazioni, questa unità si riferisce a quantità relative di massa.

Il processo di soluzione

Una soluzione è satura quando il soluto all’interno della soluzione non si scioglie più; sebbene non

si osservino variazioni a livello macroscopico, a livello particellare la velocità con cui il soluto si

scioglie e ricristallizza di nuovo sono uguali. Questo processo è un esempio di equilibrio dinamico

descrivibile con delle doppie frecce (↔). La solubilità è la concentrazione di soluto, in equilibrio

con il soluto non disciolto, in una soluzione satura.

Solubilizzazioni di liquidi in liquidi

Se due liquidi si mescolano in quantità apprezzabili per formare una soluzione, si dicono miscibili.

Al contrario, i liquidi immiscibili non si mescolano per formare una soluzione, ma rimangono a

contatto l’uno con l’altro come strati separati. I processi spontanei, come li solubilizzazioni di

liquidi, sono accompagnati da un aumento di entropia, una funzione termodinamica che è una

misura della dispersione di energia delle particelle nella soluzione rispetto ai liquidi puri. I liquidi

polari e non polari generalmente non si miscelano tra loro in maniera considerevole; quando sono

messi insieme in un contenitore, si separano in due strati distinti.

Solubilizzazione di solidi in acqua

Il simile scioglie simile è una regola un po’ meno valida ma ancora utile quando si considerano i

solidi ionici. I composti ionici si possono considerare esempi estremi di composti polari, non si

sciolgono in solventi non polari. Per i composti ionici che si sciolgono in acqua, generalmente, ma

non sempre, l’entropia favorisce la soluzione. Inoltre un contributo entalpico favorevole (ΔH

negativo) generalmente aumenta la solubilità, ma l’inverso non è necessariamente vero. Un fattore

entalpico sfavorevole non garantisce che un composto ionico non sia solubile.

Entalpia di soluzione

In acqua gli ioni sono separati l’uno dall’altro e idratati, cioè sono circondati da molecole d’acqua.

Le forze di attrazione ione-dipolo legano fortemente le molecole d’acqua attorno a ciascuno ione. si

può quindi pensare che la variazione di energia necessaria per passare dal reagente ai prodotti sia

associata a due stadi:

Fornire energia per separare gli ioni del reticolo vincendo le loro forze di attrazione. Questa

quantità di energia è l’inverso del processo che definisce l’energia di reticolo di un composto

ionico con entalpia uguale a –Δ H. Separare gli ioni uno dall’altro è un processo

reticolo

altamente endotermico perché le forze attrattive fra di essi sono forti.

Si osserva un importante rilascio di energia quando gli ioni singoli si trasferiscono in acqua,

dove ciascuno ione si trova circondato da molecole di acqua. Nuovamente, sono coinvolte

elevate forze attrazione (forza ione-dipolo). Questo processo, noto come idratazione quando

il solvente è acqua, è fortemente esotermico.

La reazione totale è la somma di questi due stadi, l’energia della reazione, chiamata calore di

soluzione o entalpia di soluzione (Δ H), è la somma delle due quantità.

soluz

I fattori che influenzano la solubilità: pressione e temperatura

Soluzioni di gas in liquidi: la legge di Henry 52

La solubilità di un gas in un liquido è direttamente proporzionale alla pressione del gas. Questo è

l’enunciato della legge di Henry: S = k P dove S è la solubilità del gas, P la pressione parziale

g H g g g

del soluto gassoso e k è una costante della legge di Henry, una costante del soluto e del solvente.

H

All’equilibrio, la frequenza con cui le molecole di gas disciolto sfuggono dalla soluzione ed entrano

in fase gassosa è uguale alla frequenza con cui le molecole di gas rientrano in soluzione. Un

aumento di pressione si traduce in un maggior numero di molecole di gas che premono sulla

superficie del liquido ed entrano in soluzione. La soluzione alla fine raggiunge un nuovo equilibrio

poiché la concentrazione del gas disciolto nel solvente assume un valore tale che la frequenza delle

molecole che sfuggono dalla soluzione eguaglia la frequenza delle molecole che entrano in

soluzione.

Effetto della temperatura sulla solubilità: principio di Le Chatelier

In acqua la solubilità di tutti i gas diminuisce all’aumentare della temperatura. I gas che si

dissolvono in misura sensibile in acqua generalmente lo fanno tramite un processo esotermico. Il

processo inverso, la perdita di molecole di gas disciolto in soluzione richiede un assorbimento di

calore. Il principio di Le Chatelier afferma che una variazione di uno dei fattori che controllano un

equilibrio causa uno spostamento di quest’ultimo nella direzione che comporta una riduzione degli

effetti della variazione. Se la soluzione di un gas in un liquido è riscaldata, l’equilibrio si sposta

nella direzione che comporta l’assorbimento di una parte dell’energia termica. Questo spostamento

corrisponde ad una diminuzione di gas disciolto, cioè ad una solubilità minore, causata

dall’aumento della temperatura. Anche la solubilità dei solidi nei liquidi è influenzata dalla

temperatura, ma è in questi casi che non si osserva uno schema generale di comportamento. Le

previsioni basate sull’esotermicità o endotermicità del processo di soluzione vengono confermate

nella maggior parte dei casi, ma con alcune eccezioni. I chimici sfruttano la variazione di solubilità

con la temperatura per purificare le miscele. Un campione impuro di un certo componente viene

disciolto in un solvente ad alta temperatura, condizione in cui è più solubile. Si raffredda la

soluzione per diminuire la solubilità. Quando si raggiunge il limite di solubilità ad una temperatura

inferiore, si può avere la cristallizzazione puro mentre l’impurezza può rimanere disciolta.

Le proprietà colligative

Quando si scioglie un sale in acqua, la pressione del vapore acqueo sopra la soluzione diminuisce e

l’acqua evapora meno rapidamente a parità di condizioni. Le proprietà colligative della soluzione

sono proprietà che dipendono dai numeri relativi di particelle di soluto e di solvente in una

soluzione e non dalla loro identità.

Variazione della pressione di vapore: legge di Raoult

La pressione di vapore all’equilibrio ad una certa temperatura è la pressione del vapore quando il

liquido e il vapore sono in equilibrio. Quando si misura la pressione di vapore di un solvente su una

soluzione ad una certa temperatura, si osserva sperimentalmente che:

La pressione di vapore del solvente in fase gassosa è minore della pressione di vapore del

solvente puro.

La pressione di vapore del solvente, Psolvente, è proporzionale al numero relativo di

molecole di solvente nella soluzione; cioè alla frazione molare del solvente.

La legge di Raoult dice che la pressione di vapore del solvente sopra la soluzione, Psolvente, è una

frazione della pressione di vapore del solvente puro, P°solvente, rappresentata dall’equazione:

Psolvente = Xsolvente P°solvente

Che descrivere un modello semplificato di soluzione, detto soluzione ideale una soluzione che

obbedisce alla legge di Raoult. Affinchè valga la legge di Raoult, le forze tra le molecole di solvente

e di soluto devono essere praticamente uguali a quelle tra le molecole del solvente puro, questo

53

avviene quando sono coinvolte le molecole con strutture molto simili. Se le interazioni solvente-

soluto sono più forti delle interazioni solvente-solvente, la pressione di vapore reale sarà minore di

quella calcolata tramite la legge di Raoult. Se le interazioni solvente-soluto sono più deboli delle

interazioni solvente-solvente, la pressione di vapore sarà maggiore. Aggiungendo un soluto non

volatile ad un solvente, se ne abbassa la pressione di vapore. La legge di Raoult si può modificare

per calcolare direttamente l’abbassamento della pressione di vapore, ΔPsolvente = Psolvente –

P°solvente da cui, sostituendo la legge di Raoult in Psolvente si ottiene: ΔPsolvente =

(XsolventeP°solvente) – P°solvente = - (1-Xsolovente)P°solvente e poiché Xsolvente + Xsoluto =

1; l’equazione diventa ΔPsolvente = -XsolutoP°solvente.

Innalzamento del punto di ebollizione

L’aumento del punto di ebollizione, ΔTpe è direttamente proporzionale alla molalità del soluto:

ΔTpe = Kpemsoluto dove Kpe è una costante di proporzionalità chiamata la costante molale di

aumento del punto di ebollizione o costante ebullioscopica, le cui unità di misura sono gradi/

molalità (°C/m).

Abbassamento del punto di congelamento

Un’altra conseguenza della presenza di un soluto in una soluzione è che il punto di congelamento

della soluzione è più basso di quello del solvente puro. Per una soluzione ideale, l’abbassamento del

punto di congelamento, detto abbassamento crioscopico, è dato dall’equazione ΔTpc = Kpcmsoluto

dove Kpc è la costante di proporzionalità chiamata la costante molale di abbassamento del punto di

congelamento o costante crioscopica, le cui unità di misura sono gradi/ molalità (°C/m).

Pressione osmotica

L’osmosi consiste nel flusso di molecole di solvente attraverso una membrana semipermeabile, da

una soluzione più diluita ad una soluzione più concentrata, a condizione che la membrana sia

permeabile alle molecole del solvente e non alle molecole o ioni del soluto, questo flusso che può

essere messo in evidenza mediante un esperimento. Si inserisce in un contenitore contenente acqua

pura un tubo con appeso un sacchetto in cui è presente una soluzione concentrata di zucchero; il

livello della soluzione all’interno del tubo sale progressivamente col procedere del fenomeno

osmotico e con il conseguente flusso di acqua verso la soluzione di zucchero. Ad un certo punto la

pressione esercitata dalla colonna di soluzione liquida controbilancia la tendenza dell’acqua a

passare nella soluzione per cui da quel momento in poi, non si osserva più alcuna variazione nel

sistema. Si è raggiunto un equilibrio di forze. La pressione esercitata dalla colonna di soluzione

quando il sistema ha raggiunto l’equilibrio è detta pressione osmotica, una proprietà colligativa

legata alla concentrazione (c) dall’equazione: Π = cRT dove c è la concentrazione molare (in moli

per litro), R è la costante dei gas e T è la temperatura in Kelvin. Il processo opposto, che

corrisponde al passaggio, attraverso una membrana semipermeabile, del solvente da una soluzione

più concentrata ad una più diluita, è chiamato osmosi inversa. Due soluzioni che hanno la stessa

concentrazione molare complessiva dei soluti e che hanno quindi, a parità di temperatura, la stessa

pressione osmotica, sono chiamate soluzioni isotoniche.

Proprietà colligative e determinazione della massa molare

Partendo dalla variazione della pressione di vapore, dall’aumento del punto di ebollizione,

dall’abbassamento del punto di congelamento e dalla pressione osmotica si può ricavare la

concentrazione della soluzione che, attraverso l’uso del peso del solvente, fornisce le moli del

soluto. Se moltiplichiamo le moli del soluto per i grammi del soluto stesso otterremo la massa

molare.

Proprietà colligative delle soluzioni contenenti ioni 54

Le proprietà colligative dipendono dal rapporto tra il numero di particelle di soluto e il numero di

particelle di solvente. Per calcolare l’abbassamento del punto di congelamento ionico bisogna prima

di tutto trovare la concentrazione molale totale del soluto a partire dalla massa e dalla massa molare

del composto e dalla massa del solvente. Poi moltiplicare la molarità per il numero di ioni nella

formula. Il rapporto tra il valore ΔTpc osservato sperimentalmente e il valore calcolato, assumendo

che non ci sia dissociazione, è chiamato fattore di van’t Hoff, rappresentato dal simbolo i.

i = ΔTpc misurato / ΔTpc calcolato = ΔTpc misurato / Kpcm quindi ΔTpc misurato = Kpc m i

Il fattore di van’t Hoff tende ad assumere valori interi solo per soluzioni molto diluite. In soluzioni

più concentrate vi sono apparentemente meno ioni di quanti ci si aspetterebbe. Questo

comportamento, che è proprio di tutti i composti ionici, è la conseguenza delle forti attrazioni che si

stabiliscono tra gli ioni. Il risultato è equivalente alla formazione di coppie di ioni di segno opposto,

con un effetto equivalente ad una diminuzione della molalità complessiva delle particelle.

I colloidi

Le dispersioni colloidali, dette anche colloidi, rappresentano una situazione intermedia tra una

soluzione e una sospensione. Attorno al 1860, il chimico danese Graham scoprì che sostanze come

l’amido, la gelatina, la colla e l’albume dell’uovo, messe in acqua, diffondevano molto lentamente

rispetto allo zucchero e al sale così coniò il termine colloide per descrivere una classe di sostanze

con proprietà diverse dalle soluzioni e dalle sospensioni vere e proprie. I colloidi hanno in genere

masse molari elevate, le loro particelle sono relativamente grandi, di conseguenza esibiscono il

cosidetto effetto Tyndall, cioè possono disperdere la luce visibile quando sono sospesi in un

solvente dando cos’ alla miscela un aspetto torbido. Le particelle non sono sufficientemente grandi

da sedimentare e Graham coniò il termine sol per indicare una dispersione di sostanza colloidale

solida in un mezzo fluido e gel per una dispersione nella quale si è creata una microstruttura che

impartisce alla soluzione colloidale una certa rigidità di movimento.

Tipi colloidali

I colloidi vengono classificati secondo lo stato di aggregazione della fase dispersa e del mezzo

disperdente. I colloidi che hanno l’acqua come mezzo disperdente possono essere classificati come

idrofobi o idrofili. In un colloide idrofobo l’attrazione tra le molecole d’acqua e la superficie delle

particelle colloidali è debole. la reazione avviene troppo rapidamente per consentire agli ioni di

raggrupparsi da grandi distanze in cristalli di grandi dimensioni; gli ioni possono formare soltanto

particelle molto piccole che rimangono sospese nel liquido. Le particelle colloidali si circondano di

uno strato di ioni, per cui tendono a respingersi reciprocamente e ciò impedisce che si raggruppino

per formare un precipitato. I colloidi idrofili sono fortemente attratti dalle molecole di acqua. Essi

posseggono gruppi funzionali come –OH e –NH sulla loro superficie. Questi gruppi formano forti

2

legami idrogeno con l’acqua che stabilizzano così il colloide. Le emulsioni sono dispersioni

colloidali di un liquido in un altro liquido come l’olio o il grasso in acqua. Il latte e la maionese, che

sono emulsioni, hanno l’aspetto di miscele omogenee e non si separono in più strati perché in esse è

contenuto un agente emulsionante.

I tensioattivi

Sostanze che influiscono sulle proprietà delle superfici, e quindi sull’interazione tra due fasi, sono

chiamate tensioattivi. Se un tensioattivo è usato per la detergenza prende il nome di detersivo. Uno

degli effetti di un tensioattivo è quello di abbassare la tensione superficiale dell’acqua aumentando

così l’azione detergente del detersivo.

CINETICA CHIMICA: 55

la velocità delle reazioni chimiche

La cinetica chimica è lo studio della velocità delle reazioni chimiche, analizzate a livello

macroscopico e microscopico, livello in cui ci si interessa del meccanismo di reazione, cioè del

percorso che atomi e molecole seguono durante la trasformazione dei reagenti nei prodotti.

Velocità delle reazioni chimiche

La velocità di una reazione corrisponde alla variazione di concentrazione di una specie chimica

nell’unità di tempo: Δ concentrazione / Δ tempo. La concentrazione può essere misurata

direttamente o indirettamente misurando una proprietà del sistema, come l’assorbanza della luce,

questo determina che la velocità media di reazione possa essere definita come la diminuzione di

concentrazione di un reagente, o l’aumento della concentrazione di un prodotto nell’unità di tempo.

L’unità di misura della velocità di reazione è mol/L * Tempo. Durante il procedere di una reazione

chimica, la concentrazione dei reagenti diminuisce e quella dei prodotti aumenta. Le velocità basate

sul cambio della concentrazione dei prodotti avranno un segno positivo poiché la concentrazione sta

aumentando.

Condizioni di reazione e velocità

Sono diversi i fattori che influenzano la velocità di una reazione e, se il reagente è un solido, anche

la sua area superficiale disponibile per la reazione influenza la velocità. I catalizzatori sono sostanze

che accelerano le reazioni chimiche, ma non vengono trasformati e consumati nella reazione. L’area

superficiale di un reagente solido può influenzare la velocità di una reazione. Solo le molecole si

trovano sulla superficie del solido. Quando le particelle sono molto piccole, l’effetto dell’area

superficiale sulla velocità di reazione può essere piuttosto rilevante. Gli agricoltori sanno che

l’esplosione di piccole particelle di polvere rapprese senta un serio pericolo.

Effetto della concentrazione sulla velocità di reazione

L’effetto della concentrazione sulla velocità di reazione, che varia al variare della reazione, può

essere determinato misurando la velocità della reazione a concentrazioni diverse. In alcuni casi la

velocità risulta indipendente dalla concentrazione, in altri la velocità dipende dalla concentrazione

elevata ad una certa potenza e, se la reazione coinvolge più di un reagente, la velocità di reazione

può dipendere dalla concentrazione di uno o di tutti i reagenti. Anche la concentrazione di un

catalizzatore può influenzare la velocità di una reazione.

Equazioni cinetiche

La relazione tra concentrazione dei reagenti e velocità di reazione è espressa in un’equazione detta

equazione o legge cinetica: velocità di reazione = k[reagente]; dove k è detta costante di velocità.

Questa equazione ci dice che la velocità di reazione è proporzionale alla concentrazione del

reagente, inoltre, sulla base dell’equazione si può prevedere che quando la concentrazione dei

reagenti raddoppia, raddoppia anche la velocità di reazione, in quanto sono proporzionali. In

presenza di catalizzatori in fase omogenea, la sua concentrazione potrebbe essere inclusa nella

velocità di reazione.

Ordine di reazione 56

L’ordine di reazione rispetto ad un particolare reagente è uguale all’esponente del suo termine di

concentrazione nell’equazione cinetica, mentre l’ordine di reazione totale è la somma di tutti i

termini di concentrazione. L’ordine di reazione è importante perché fornisce informazioni sul

meccanismo con cui una reazione chimica avviene.

La costante di velocità, k

La costante di velocità, k, è la costante di proporzionalità che mette in relazione velocità e

concentrazioni ad una data temperatura e permette di calcolare la velocità di una reazione a

qualunque concentrazione del reagente. L’unità di misura della velocità di reazione, se la

concentrazione è calcolata in mol/L, è pari a mol/L * tempo. Le costanti di velocità hanno unità di

misura diverse a seconda dell’ordine di reazione; l’unità di misura di k per una reazione di primo

ordine è 1/unità di tempo, per una di secondo ordine è L/mol * unità di tempo e per una di ordine

zero è mol/L * unità di tempo.

Determinazione dell’equazione cinetica

La velocità iniziale, misurabile poiché le concentrazioni sono note, è la velocità istantanea della

reazione determinata al suo inizio, che può essere determinata mescolando i reagenti e

determinando il rapporto tra la concentrazione dei prodotti e il tempo trascorso. Quando la

concentrazione di uno dei reagenti è raddoppiata mentre l’altra è mantenuta costante, la velocità di

reazione raddoppia. Ciò significa che la velocità di reazione è direttamente proporzionale alla

concentrazione dei reagenti. Se entrambi i reagenti raddoppiano allora la velocità quadruplica.

Relazione tra concentrazione e tempo

È importante sapere per quanto tempo una reazione deve aver luogo perché la concentrazione di un

dato reagente o di un prodotto raggiunga un determinato valore, prevedere il valore della

concentrazione di un reagente o di un prodotto dopo un dato periodo di tempo e per avere questi

dati occorre usare le curve concentrazione-tempo, delle equazioni matematiche che mettono in

relazione il tempo e la concentrazione.

Reazioni di primo ordine

L’equazione cinetica integrata per queste reazioni è ln([R] /[R] ) = -kt, dove [R] /[R] sono

t 0 t 0

rispettivamente le concentrazioni del reagente al tempo t=0 e ad un tempo successivo, t. il rapporto

di tali concentrazioni è la frazione di reagente che rimane dopo che è trascorso un determinato

intervallo di tempo ed è inferiore ad 1, perché [R] < [R] , perché il reagente si consuma durante la

t 0

reazione, ciò implica che ln sia negativo e che quindi lo sia anche l’altro membro della reazione. Il

valore di k per le reazioni di primo ordine è indipendente dalla concentrazione.

Reazioni di secondo ordine

L’equazione cinetica integrata per queste reazioni è (1/[R] ) / (1/[R] ) = kt, dove [R] /[R] sono

t 0 t 0

rispettivamente le concentrazioni del reagente al tempo t=0 e ad un tempo successivo, t, e k è la

cotante di velocità con unità di misura L/mol*tempo.

Reazioni di ordine zero

L’equazione cinetica integrata per queste reazioni è [R] - [R] = kt, dove [R] /[R] sono

t 0 t 0

rispettivamente le concentrazioni del reagente al tempo t=0 e ad un tempo successivo, t, e k è la

cotante di velocità con unità di misura mol/L*tempo.

Tempo di dimezzamento e reazioni di primo ordine 57

Il tempo di dimezzamento, t , di una reazione è il tempo richiesto affinchè la concentrazione di un

½

reagente si riduca a metà del suo valore iniziale; più lungo è il tempo di dimezzamento più lenta è la

reazione. Il tempo di dimezzamento, t , indipendente dalla concentrazione, che si usa

½

principalmente nelle reazioni di primo ordine è il tempo nel quale la frazione di reagente R

rimanente è [R] = ½ [R] dove [R] è la concentrazione iniziale e [R] la concentrazione dopo che la

t 0 t 0

reazione si è completata a metà.

Le reazioni dal punto di vista microscopico

Concentrazione, velocità di reazione e teoria delle collisioni

Affinchè avvenga una reazione la teoria delle collisioni stabilisce che le molecole reagenti devono

collidere tra loro con energia sufficiente per rompere i legami coinvolti nella reazione, secondo

un’orientazione che può consentire il riarrangiamento degli atomi e la formazione dei prodotti. La

velocità di reazione è correlata al numero di collisioni, che a sua volta dipende dalla concentrazione

dei reagente, infatti, raddoppiando la concentrazione delle molecole reagenti raddoppia il numero di

collisioni. Il numero di collisioni tra i due reagenti è direttamente proporzionale alla concentrazione

di ogni reagente e la velocità di reazione mostra per ogni reagente, una dipendenza di primo ordine.

Temperatura, velocità di reazione ed energia di attivazione

Le molecole possono avere un ampio spettro di energie che obbedisce alla distribuzione di

Boltzmann, cioè in qualunque campione di gas o di liquido, alcune molecole hanno un’energia

molto bassa, altre possiedono un’energia molto elevata, ma la maggior parte di molecole possiede

un’energia intermedia. Quando a temperatura aumenta, l’energia media delle molecole nel

campione aumenta come anche la frazione delle molecole che hanno energie maggiori.

Energia di attivazione

L’energia di attivazione, E , è l’energia cinetica minima che una coppia di molecole deve possedere

a

affinché la loro collisione si possa tradurre in un urto efficace che porti alla formazione dei prodotti

della reazione, la A è una costante empirica che dipende anche da fattori sterici, cioè di forma, delle

molecole. Se l’energia richiesta è bassa, un’elevata frazione delle molecole nel campione avrà la

forza sufficiente per reagire e la reazione avverrà velocemente. Se l’energia di attivazione sarà alta,

solo una piccola parte delle molecole dei reagenti avrà energia sufficiente e la reazione avverrà

lentamente. Questi processi possono essere visualizzati usando un diagramma energetico meglio

noto come diagramma delle coordinate di reazione. L’asse orizzontale rappresenta la natura dei

reagenti e dei prodotti al procedere della reazione, mentre l’asse verticale rappresenta l’energia

potenziale del sistema durante la reazione. L’energia del sistema raggiunge un massimo in

coincidenza con lo stato di transizione. In questo punto, sufficiente energia è stata immagazzinata

nei legami dei reagenti che ora possono rompersi formando i nuovi legami presenti nei prodotti,

quindi il sistema è pronto ad evolvere nei prodotti. In alternativa potrebbe anche evolvere nei

reagenti visto ce lo stato di transizione è posto in un massimo di energia potenziale esso non può

essere isolato.

Effetto dell’incremento della temperatura

La velocità può essere incrementata scaldando il campione in modo che la frazione di molecole che

possiedono l’energia necessaria per superare la barriera di attivazione sia più grande.

Effetto dell’orientazione molecolare sulla velocità di reazione

Quando due o più molecole complesse collidono, solo una piccola frazione delle collisioni potrà

avvenire nel modo corretto e quindi solo una piccola frazione delle collisioni sarà efficace.

L’equazione di Arrhenius 58

La velocità di reazione dipende dall’energia e dalla frequenza delle collisioni tra le molecole

reagenti, dalla temperatura e dalla probabilità che la collisione abbia la corretta orientazione è

-Ea/RT

riassunta nell’equazione di Arrhenius: k = velocità costante = Ae dove k è la costante di velocità

3

della reazione, R è la costante universale dei gas, che vale 8.314510*10 kJ/K*mol, T è la

temperatura assoluta in Kelvin, A è il fattore di frequenza, specifico per ogni reazione e dipendente

-Ea/RT

dalla temperatura, con unità L/mol*s, e e è la frazione di molecole con energia minima per

reazione. Quest’equazione può essere usata per calcolare il valore dell’energia di attivazione

analizzando la dipendenza della temperatura dalla costante di velocità e per calcolare la costante di

velocità ad una data temperatura conoscendo i valori di A ed E . misurando la costante di velocità di

a

una reazione a diverse temperature, è possibile determinare, attraverso metodi grafici, la sua energia

di attivazione.

Effetto dei catalizzatori sulla velocità di reazione

I catalizzatori sono sostanze che accelerano la velocità di una reazione chimica, essi non vengono

consumati nella reazione nonostante siano coinvolti a livello microscopico. La loro funzione è

quella di fornire alla reazione un percorso differente caratterizzato da un’energia di attivazione

inferiore. Un profilo energetico per la reazione catalizzata mostra che la barriera energetica

complessiva è stata notevolmente abbassata rispetto alla reazione non catalizzata; inoltre, viene

evidenziato un meccanismo a più stadi, corrispondenti a diverse barriere energetiche ognuna con un

proprio massimo, che comprende la formazione di specie chimiche, dette intermedi di reazione, che

si formano durante uno stadio e si consumano nei seguenti. Quando un catalizzatore è presente nella

stessa fase del reagente è detto omogeneo.

Meccanismi di reazione

Sulla base dell’equazione cinetica, si può spesso formulare un’ipotesi attendibile riguardo al

meccanismo della reazione. In una reazione che avviene in due stadi, ciascuno stadio è detto stadio

elementare, definito come quella reazione che descrive un singolo evento molecolare, come la

formazione o la rottura di un legame chimico o lo spostamento di atomi conseguente ad una

collisione molecolare. Ogni stadio ha una sua barriera di attivazione, E , e una costante di velocità,

a

k. Gli stadi devono sommarsi per dare l’equazione bilanciata corrispondente alla reazione

complessiva. L’insieme degli stadi che spiega in modo soddisfacente le proprietà cinetiche di una

reazione chimica costituisce il meccanismo della reazione.

Molecolarità degli stadi elementari

Gli stadi elementari sono classificati in funzione del numero di molecole reagenti che vengono in

contatto con la reazione; questo numero positivo è detto molecolarità dello stadio elementare.

Quando una molecola è l’unico reagente in uno stadio molecolare, lo stadio è detto unimolecolare,

mentre se coinvolge due molecole, identiche o differenti, è detto bimolecolare, trimolecolare, se ne

coinvolge tre. La maggior parte delle reazioni trimolecolari è rappresentata in realtà da reazioni tra

due molecole reagenti e una inerte, la cui funzione è quella di assorbire l’eccesso di energia prodotta

dalla formazione del nuovo legame nella reazione esotermica tra le due molecole reagenti.

Equazioni cinetiche per gli stadi elementari

L’equazione cinetica di uno stadio elementare è definita dal prodotto della costante di velocità e

delle concentrazioni che reagiscono nello stadio considerato. Quando un meccanismo di reazione

consiste in due stadi elementari, i due passaggi di norma avvengono a velocità diversa e le due

costanti cinetiche, k, possono avere valori diversi.

Molecolarità e ordine di reazione 59

Uno stadio elementare uni molecolare deve essere del primo ordine, uno stadio bimolecolare deve

essere di secondo ordine, uno bimolecolare deve essere del secondo ordine e uno trimolecolare deve

essere del terzo ordine. Al contrario, se sperimentalmente si scopre che una reazione è del primo

ordine non si può concludere che questa si verifichi in un unico stadio uni molecolare.

Meccanismi di reazione ed equazioni cinetiche

Descrivere un meccanismo, attraverso un ragionamento a livello microscopico, permette di

controllare una reazione e di progettare nuovi esperimenti. I prodotti di una reazione non possono

mai essere generati ad una velocità superiore di quella dello stadio elementare più lento. Se in una

reazione a più stadi uno stadio è più lento degli altri, la velocità di reazione della reazione

complessiva è condizionata dalla velocità di questo stadio e di tutti gli stadi che lo precedono. Se lo

stadio più lento determina la velocità di reazione complessiva esso viene chiamato stadio

determinante della velocità. Di solito gli intermedi di reazione hanno un’esistenza fugace, ma

talvolta posseggono tempi di vita abbastanza lunghi da poter essere osservati. Una delle prove per

confermare un meccanismo di reazione consiste proprio nell’osservare la presenza dell’intermedio

nella miscela di reazione. Un intermedio la cui concentrazione non sarà probabilmente misurabile

non può comparire nell’equazione cinetica complessiva.

PRINCIPI DI REATTIVITÀ:

gli equilibri chimici

Riesame dell’equilibrio chimico

Un sistema all’equilibrio può essere descritto da un’equazione che connette i reagenti e i prodotti

con una doppia freccia, che indica che la reazione è reversibile e che sarà studiata usando i concetti

dell’equilibrio di chimico. Tutte le reazioni sono reversibili, almeno in principio. Una reazione in

cui, una volta raggiunto l’equilibrio, la concentrazione dei prodotti supera quella dei reagenti è

spostata preferenzialmente verso i prodotti. Allo stesso modo una reazione in cui all’equilibrio la

concentrazione dei reagenti supera quella dei prodotti è spostata verso i reagenti.

La costante di equilibrio e il quoziente di reazione

Per un’equazione chimica generica aA + bB ↔ cC + dD è possibili definire la costante di equilibrio,

c d a b

se la reazione è all’equilibrio, come: K = [C] [D] /[A] [B] , valida per tutti gli esperimenti condotti

alla stessa temperatura, è nota come l’espressione della costante di equilibrio. Se il rapporto tra i

prodotti e i reagenti eguaglia i valori della costante di equilibrio, il sistema è all’equilibrio, nel caso

non lo sia, è possibile prevedere in quale direzione procede l’equazione per raggiungere l’equilibrio.

Scrivere le espressioni della costante di equilibrio

Per le reazioni che coinvolgono solidi la concentrazione di qualunque solido, sia esso

reagente o prodotto, non compare nell’equazione della costante di equilibrio.

Per le reazioni in soluzione acquosa la concentrazione molare dell’acqua non compare

nell’espressione della costante di equilibrio.

Per le reazioni coinvolgenti gas le costanti di equilibrio possono essere espresse anche in

termini di pressioni parziali dei reagenti e dei prodotti presenti allo stato gassoso, indicate

con K .

p

Il significato della costante di equilibrio, K 60

Un valore di K>1 indica che la reazione è spostata verso i prodotti e che, all’equilibrio, le

concentrazioni dei prodotti sono maggiori di quelle dei reagenti; inoltre un valore di k elevato

indica che la formazione dei prodotti è favorita rispetto ai reagenti. Un valore di K<1 indica che la

reazione è spostata verso i reagenti e che, all’equilibrio, le concentrazioni dei reagenti sono

maggiori di quelle dei prodotti; inoltre un valore di k elevato indica che la formazione dei reagenti è

favorita rispetto ai prodotti. Quando il valore di K è vicino a 1, può non essere immediatamente

chiaro se le concentrazioni sono maggiori di quelle dei prodotti o viceversa. Dipenderà

dall’espressione di K e quindi dalla stechiometria sella reazione. Le concentrazioni sono calcolate

dall’espressione di K

Il quoziente di reazione, Q

La costante di equilibrio, K, di una reazione ha un valore numerico preciso quando reagenti e

prodotti sono all’equilibrio, mentre, quando non lo sono, è utile calcolare il quoziente di reazione, Q

c d a b

= [C] [D] /[A] [B] ; infatti solo all’equilibrio, K = Q. sapere il quoziente di reazione è utile per

valutare se un sistema è all’equilibrio e per vedere in quale direzione procederà la reazione per

raggiungere l’equilibrio. Se Q<K l’equilibrio verrà raggiunto trasformando parte dei reagenti nei

prodotti, cosicché la concentrazione dei reagenti diminuirà e quella dei prodotti aumenterà. Se Q>K

l’equilibrio verrà raggiunto trasformando parte dei prodotti nei reagenti cosicché la concentrazione

dei reagenti aumenterà e quella dei prodotti diminuirà.

Calcolo della costante di equilibrio

Se sono note le concentrazioni di equilibrio di tutte le sostanze che partecipano ad una reazione, il

calcolo della relativa costante si esegue semplicemente sostituendo i dati nell’espressione della

costante di equilibrio.

Approfondimenti sulle equazioni bilanciate e le costanti di equilibrio

Quando i coefficienti stechiometrici di un’equazione chimica bilanciata sono moltiplicati per un

fattore, la costante di equilibrio per la nuova equazione corrisponde al valore vecchio elevato ad una

potenza che è uguale al fattore moltiplicativo.

Perturbare un equilibrio chimico

Un cambiamento in uno qualsiasi dei fattori che determinano le condizioni di equilibrio, quali

concentrazione dei reagenti o dei prodotti, temperatura, volume, di un sistema indurrà in questo una

trasformazione tale da ridurre o contrastare l’effetto provocato dal cambiamento (principio di Le

Chatelier). Per una qualsiasi reazione che coinvolga un gas la diminuzione del volume (o l’aumento

della pressione) è controbilanciata da uno spostamento dell’equilibrio nella direzione che comporti

un minor numero di molecole di gas; se, il volume aumento (o diminuisce la pressione) l’equilibrio

si sposta nella direzione che comporta un maggior numero di molecole di gas, se però, non c’è un

cambiamento del numero delle molecole, il cambiamento del volume non perturba l’equilibrio. Se

la temperatura di un sistema all’equilibrio aumenta, l’equilibrio si sposterà nella direzione che

assorbe calore (endotermica); se, invece, la temperatura diminuisce l’equilibrio si sposterà nella

direzione che rilascia calore (esotermica). Cambiando la temperatura, cambia la composizione

all’equilibrio e cambia il valore di K.

LA CHIMICA DEGLI ACIDI E DELLE BASI

Il concetto esteso di acido e base secondo Brönsted-Lowry 61

È nota un’ampia gamma di acidi di Brönsted che comprende composti molecolari, cationi e anioni;

inoltre molte specie chimiche quando reagiscono con l’acqua possono comportarsi come basi di

Brönsted. Gli acidi capaci di un protone sono detti acidi monoprotici, gli acidi poliprotici donano

due o più elettroni, le basi che possono accettare più di un protone sono dette poliprotiche. Gli

anioni completamente deprotonati degli acidi poliprotici sono basi poliprotiche. Alcune molecole o

ioni possono comportarsi sia da acido che da base e vengono chiamate anfiprotiche. Ogni reazione

che avviene tra un acido e una base di Brönsted coinvolge due coppie coniugate acido-base. Ogni

coppia acido-base coniugata è costituita da due specie che differiscono tra loro per la presenza di

uno ione idrogeno.

L’acqua e la scala del pH

Autoionizzazione e costante di ionizzazione, K w

Due molecole d’acqua interagiscono tra di loro per dare uno ione idronio e uno ione idrossido

mediante trasferimento di un protone da una molecola dell’acqua all’altra, questa reazione di

autoionizzazione dell’acqua è stata dimostrata sul finire dell’ottocento da Kohlrausch, che trovò che

l’acqua continuava a condurre piccole quantità di elettricità poiché l’autoionizzazione produce

+ -

concentrazioni molto basse di ioni H O e OH . L’espressione della costante di equilibrio per

3

+ - -14

l’autoionizzazione è: K = [H O ][OH ] = 1.0 * 10 a 25° C, e K è nota come costante di

w 3 w

ionizzazione. In acqua pura la concentrazione dello ione idronio e dello ione idrossido sono uguali

+

sicchè la soluzione viene definita neutra. Se si aggiunge un acido, la concentrazione degli ioni H O

3

aumenta e la soluzione diventa acida; per opporsi a questo aumento il principio di Le Chatelier

+ -

predice che una piccola frazione di ioni H O reagirà con ioni OH provenienti dall’autoionizzazione

3 - + -

dell’acqua per formare acqua. Questo abbassa [OH ] fino a che il prodotto tra [H O ] e [OH ] sia

3

-14

nuovamente, a 25°C, pari a 1.0*10 . Se si aggiunge una base ad acqua pura, si ottiene una

-

soluzione basica perché è aumentata la concentrazione di ioni OH . Il principio di Le Chatelier

- +

predice che una piccola frazione di ioni OH aggiunti reagirà con ioni H O provenienti

3

+ + -

dall’autoionizzazione, cosa che abbasserà [H O ] fino a che il prodotto tra [H O ] e [OH ], sia, a

3 3

-14 + - -7

25°C, pari a 1.0*10 . in una soluzione neutra, [H O ] = [OH ] entrambi pari a 1.0*10 M. In una

3

+ - + -7 - -7

soluzione acida, [H O ] [OH ], dove [H O ] 1.0*10 M e [OH ] < 1.0*10 M. In una soluzione

> >

3 3

+ - + -7 - -7

basica, [H O ] [OH ], dove [H O ] 1.0*10 M e [OH ] > 1.0*10 M.

< <

3 3

La scala del pH

Si definisce pH di una soluzione il logaritmo decimale negativo della concentrazione degli ioni

+

idronio: pH = -log[H O ] e possiamo definire pOH come il logaritmo decimale negativo della

3 -

concentrazione di ioni idrossido: pOH = -log[OH ]. La somma del pH e del pOH di una soluzione a

25°C deve essere uguale a 14.00.

Costanti di equilibrio per acidi e basi +

Per un acido forte monoprotico, [H O ] in soluzione sarà uguale alla concentrazione di partenza

3 -

dell’acido. Analogamente per una base forte monoprotica [OH ] sarà uguale alla concentrazione di

+

partenza della base. Per un acido debole [H O ] sarà molto minore rispetto alla concentrazione

3

+

iniziale dell’acido quindi [H O ] sarà minore rispetto a quella prodotta da un acido forte alla stessa

3

concentrazione iniziale. Analogamente per una base debole produrrà una minore concentrazione di

-

[OH ] rispetto a quella prodotta da una base forte di pari concentrazione. La forza relativa di un

acido o di una base si può esprimere in modo quantitativo mediante una costante di equilibrio,

+ -

spesso chiamata costante di ionizzazione. Per il generico acido debole HA, K = [H O ][A ]/[HA]

a 3

dove K è una costante di equilibrio per un acido in acqua. Per gli acidi deboli, il valore di K è < 1

a a

+ -

perché [H O ][A ]<[HA], all’equilibrio. La forza dell’acido aumenta all’aumentare del valore di K .

3 a

+ -

Per la generica base debole K = [BH ][OH ]/[B] il valore di K è <1. Un grande valore di K indica

b b 62

che sono fortemente favoriti i prodotti della ionizzazione, mentre valori piccoli di K indicano che

sono favoriti i reagenti. Più debole è l’acido, più forte è la sua base coniugata. Cioè più piccolo è il

valore di K maggiore è il valore di K molti acidi naturali possiedono il gruppo carbossilico (-

a b.

CO H), questa porzione organica della molecola influenza la sua forza relativa.

2

Valori di K , per acidi poliprotici

a

Tutti gli acidi poliprotici si ionizza in stadi successivi che diminuisce per ciascuno stadio successivo

+

perché è più difficile rimuovere H da uno ione carico negativamente, che da una molecola neutra.

+

Più grande è la carica negativa dell’acido, più difficile è rimuovere H , infine, bisogna ricordare che

-5

per molti acidi poliprotici inorganici, i valori di K diminuiscono di circa 10 per ogni protone

a

rimosso.

Soluzioni acquose di Sali

Gli anioni possono agire da basi di Brönsted poiché essi possono accettare un protone da un acido

per formare l’acido coniugato della base. Molti cationi metallici in acqua sono acidi di Brönsted.

Gli anioni che sono basi coniugate di acidi forti sono basi talmente deboli che hanno alcun effetto

sul pH delle soluzioni. Vi sono numerosi anioni basici, e sono tutti basi coniugate di acidi. Il

comportamento acido-base degli anioni di acidi poliprotici dipende dal grado di deprotonazione. Un

anione totalmente deprotonato è anfiprotico e il suo comportamento dipenderà dalle altre specie

nella reazione. Cationi metallici alcalini ed alcalino-terrosi non hanno effetto misurabile sul pH

delle soluzioni. Cationi basici sono basi coniugate di cationi acidi, che sono soltanto i cationi dei

metalli 2+ e 3+ e lo ione ammonio NH , tutti idrati in acqua, e soltanto se lo ione è 2+ e 3+ di un

4

metallo di transizione agisce esso stesso come acido.

Il pK è scala logaritmica di forza acida relativa di un acido ed è il logaritmo negativo del valore di

a

K , pK = -logK , che diminuisce all’aumentare della forza dell’acido.

a a a

Il prodotto di K di un acido e della K della sua base coniugata è uguale ad una costante,

a b

specificatamente K , da cui K = K x K .

w w a b

Prevedere la direzione di una reazione acido-base

In accordo con la teoria di Brönsted-Lowry, tutte le reazioni acido-base possono essere scritte come

equilibri che coinvolgono gli acidi, le basi e le loro specie coniugate. Tutte le reazioni di

trasferimento di protoni procedono dall’acido e dalla base più forti verso l’acido e la base più

deboli. Utilizzando questo principio è possibile prevedere quali reazioni favoriscono la produzione

dei prodotti e quali la produzione dei reagenti.

Tipi di reazioni acido-base

Acido forte + base forte

Acidi e basi forti sono ionizzati al 100%in soluzioni, l’equazione ionica netta per la reazione di un

acido forte con una base forte è sempre l’unione degli ioni idronio e degli ioni ossidrile per dare

acqua. Questa reazione è l’inverso dell’autoionizzazione dell’acqua, ha una costante di equilibrio di

K = 1/K , il cui valore molto grande indica che, per tutti gli scopi pratici, i reagenti sono

w

completamente consumati per formare i prodotti. Il mescolamento di uguali quantità (moli) di una

base con un acido forte equiprotici produce una soluzione neutra (pH = 7.00 a 25°C).

Acido debole + base forte

Se vengono mescolate quantità equimolari di acido debole e di base forte, la soluzione finale

conterrà un sale dissociato al 100% in acqua il cui anione è la base coniugata dell’acido debole. la

soluzione è basica, con il pH che dipende dal valore della K dell’anione.

b 63

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
69 pagine
SSD Scienze chimiche CHIM/03 Chimica generale e inorganica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ciuffo9226 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Chimica generale ed inorganica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof De Petris Giulia.