SECONDO ESPERIMENTO DI NORTHFIELD (MAIN)
Il primo esperimento di Bion non andò a buon fine, perché i superiori di Bion non
accettarono la situazione che si era creata in reparto e chiamarono un altro psichiatra
psicoanalista, ovvero Main che creò quello che poi fu chiamato secondo
esperimento di Northfield.
Egli condusse 30 anni di direzione nel Cassel Hospital.
Egli riteneva che ciò che Bion aveva creato non era sbagliato, tuttavia il suo errore era
stato quello di non aver preso in considerazione i superiori.
Questo secondo esperimento andò a buon fine.
A questo punto viene da chiedersi come mai questa comunità, così democratica,
nasce durante la Seconda Guerra Mondiale? Per una serie di fattori: l’Inghilterra a
quel tempo si considerava una paladina della giustizia e democrazia, rispetto a tutti i
totalitarismi presenti negli altri Paesi. C’era uno spirito democratico anche all’interno
dell’esercito stesso; questo spirito ha fatto sì che si sia sviluppata questa modalità di
terapia. “la comunità terapeutica è un tentativo di
Egli nel primo articolo che ha scritto, disse:
utilizzare l’ospedale non come un’organizzazione condotta da medici che vogliono
realizzarsi al meglio da un punto di vista tecnico, ma come una comunità il cui scopo
immediato è la piena partecipazione alla vita quotidiana di tutti i appartenenti, mentre
l’obiettivo finale è la reintegrazione dell’individuo nella vita sociale”.
Due furono le componenti principali del pensiero di Main:
ottica psicodinamica (che già Bion aveva adottato);
visione sistemica dei processi organizzativi (che Bion non aveva considerato).
il tentativo di coinvolgere i vari livelli del sistema nella conoscenza dei problemi, nella
loro natura, nei fenomeni e nelle difficoltà che li accompagnavano, si tradusse in
quella che egli definì: CULTURA DELL’INDAGINE.
La comunità doveva essere in grado di curare sé stessa per poter raggiungere i propri
obiettivi terapeutici. I gruppi, sia ristretti che allargati, erano lo strumento
indispensabile per le strategie terapeutiche e per la gestione dell’istituzione.
L’elemento caratteristico della comunità terapeutica non è un tipo particolare di
struttura sociale, bensì una cultura di ricerca.
Essa prevede e fornisce strumenti di indagine e di riflessione sui problemi personali,
interpersonali e intersistemici e lo studio degli impulsi, delle difese e delle relazioni.
Si assiste al superamento della tradizionale scissione fra l’apparato
medico/curante e la popolazione dei curati/pazienti:
potere, autonomia, attività, capacità (funzioni che si pensava appartenessero ai
medici)
impotenza, dipendenza, passività, incapacità (funzioni tradizionalmente
associate ai pazienti)
Con Main collaborarono:
FOULKES (psicoanalista), assertore dello “spazio vitale” del paziente;
BRIDGER (insegnante di matematica) esperto nel problem solving in gruppi
senza leader.
Bridger facilitava la formazione di gruppi occupazionali, non come terapia
occupazionale, bensì come un modo per rendere possibile che le persone lavorassero
insieme, comunicassero e collaborassero risolvendo spontaneamente i problemi ed i
conflitti man mano che sorgevano, attraverso l’input dei responsabili.
Main sostenne che il medico non deve più considerarsi il proprietario dei suoi pazienti.
Egli teorizzò e applicò la condivisione di responsabilità amministrative e terapeutiche
di staff e pazienti.
Per riassumere, le caratteristiche del Cassel Hospital di Main, erano:
la responsabilità;
il training analitico;
lettura analitica dei fatti individuali, relazionali e istituzionali;
la nurse e il sostegno dell’io;
gli psicoterapeuti di formazione analitica;
lavorare “con” piuttosto che lavorare “per”;
la supervisione;
il tutor.
Ogni paziente riceve un trattamento individuale e/o di gruppi ad orientamento
psicoanalitico.
Operatori, psicoterapeuti, infermieri e persino personale amministrativo usufruiscono
di una supervisione.
Ogni paziente ha a disposizione un tutor, referente del programma terapeutico.
MAXWELL JONES
Egli fu uno psichiatra di formazione tradizionale con interesse per la psicosomatica.
Mill Hill Public School
Ebbe esperienze con la (discussioni con lo staff) e dopo la Guerra
l’Henderson Hospital
diresse di Londra fino al 1959.
Mr Jones in una sua prima esperienza durante la guerra, dove si trovò ad accogliere in
una scuola pazienti psichiatrici evacuati per i bombardamenti, scoprì che questi
pazienti apprendevano molto della loro situazione se venivano coinvolti in una
interazione reciproca e in discussioni con lo staff.
Le riunioni si fecero così sempre più frequenti e si istaurò una consuetudine gruppale
per comprendere i problemi dei pazienti con la partecipazione del personale in un
clima di:
- libera comunicazione
- riduzione della distanza tra i ruoli
Così dalla sintomatologia l’interesse si spostò alle situazioni di vita attuale e alla
possibilità di risolvere i problemi nell’hic et nunc con l’aiuto di tutto il gruppo.
Venne chiamato anche lui dopo la guerra nel condurre un reparto terapeutico, che fu
così gestito:
1. community meeting: pazienti e operatori si riunivano quotidianamente in un
grande circolo per discutere l’accaduto del giorno precedente ed esaminare
qualsiasi problema e situazione si presentasse, secondo una partecipazione
responsabile ed il confronto con gli altri.
2. Subito dopo il community meeting, aveva luogo lo staff review meeting:
l’incontro di tutto lo staff per discutere delle interazioni del gruppo precedente.
3. Leaving learning situation: quando qualcuno aveva una crisi, si chiamavano
tutti gli altri membri del gruppo per riunirsi e per discutere di quella crisi; il
problema di un singolo diventava un problema di tutti.
Vi erano poi comitati di vario genere e la gestione era affidata ai residenti.
Lo staff manteneva una posizione flessibile ma senza confusione di ruoli.
Anche l’ingresso di nuovi ospiti passava attraverso la discussione nella riunione del
gruppo. Non c’era un vero e proprio trattamento psicoterapeutico, ad eccezione dello
psicodramma di Moreno.
Quattro erano i principi della comunità terapeutica (Rapaport):
1. la democrazia: il potere decisionale era condiviso;
2. la permissività: reciproca tolleranza;
3. il sentimento comunitario: la condivisione del tempo e dello spazio e la
comunicazione aperta;
4. il confronto con la realtà: qualsiasi cosa accadeva nella comunità diventava
motivo di confronto e discussione se interferiva nelle relazioni con gli altri.
L’obiettivo della comunità terapeutica per Jones era l’inserimento dell’individuo
nell’ambiente sociale e lavorativo all’esterno dell’ospedale, senza nessun altro
ambizioso programma psicoterapeutico.
MOVIMENTO ANTIPSICHIATRICO (COOPER E LAING)
Tra il 1960 e il 1970 si sviluppa il movimento antipsichiatrico: si trattava di
psichiatri che pensavano che l’origine del problema dei malati psichiatrici era a livello
sociale.
Secondo questi psichiatri, le psicosi non sono malattie da curare ma un’esperienza
esistenziale, un viaggio a ritroso verso gli stadi e le esperienze più precoci; non da
trattare, ma da consentire per permettere una rinascita.
Laing: la psicosi è una risposta sana alle condizioni di vita della società occidentale.
Cooper: la psicosi è una protesta sociale e politica.
Ciò che veniva considerato necessario per lo psicotico era uno spazio fisico ed emotivo
(la comunità terapeutica) che gli consentisse la regressione e la rinascita.
In queste comunità antipsichiatriche non esisteva una differenza di ruoli.
Laing fonda una comunità antipsichiatrica che dura 5 anni, con 120 pazienti, pochi
psicotici.
Per concludere, possiamo dire che le comunità terapeutiche hanno inciso la cultura
psichiatrica rispetto al lavoro d’equipe e all’attenzione verso il rapporto tra
pazienti e curanti.
Nella pratica ciò si concretizza in:
incontro giornaliero del gruppo per discutere i fatti del giorno e risolvere ogni
conflitto sul nascere;
la presenza di gruppi ristretti che possono esaminare le esperienze individuali;
la presenza dello staff in ogni momento quotidiano di vita dei pazienti.
RICERCA DI WHITELEY
Tom Main affidò a Whiteley una ricerca sui fattori curativi delle comunità
terapeutiche.
Whiteley sottopose ad un questionario i pazienti del Cassel Hospital.
I risultati mostrarono che negli stadi iniziali il paziente dà più importanza
all’accettazione della sua persona ed alla istillazione della speranza. Successivamente
subentrano i quattro principi di Rapaport attraverso le tecniche terapeutiche che
permettono il cambiamento, in particolare:
la permissività favorisce l’autorilevazione e l’assunzione di responsabilità;
il confronto con la realtà favorisce l’autoconsapevolezza e l’apprendimento
attraverso le azioni interpersonali;
la democrazia favorisce l’autogestione e l’altruismo;
il sentimento comunitario favorisce l’interazione con gli altri, la condivisione
della responsabilità, le nuove relazioni sociali.
Alla domanda dove si realizzano questi fattori, per la maggior parte delle persone
intervistate, ciò avviene nelle situazioni informali dove “gli insight intellettuali vengono
filtrati dalla pancia”.
Per Rapaport i pazienti che rispondevano meglio al trattamento erano quelli che
avevano allacciato forti relazioni con le figure chiave dello staff.
Alla base dei trattamenti sembra che ci sia comunque l’attaccamento, il processo in
cui il paziente rischia un legame, fa fronte alle delusioni che possono emergere e poi
sopravvive alla perdita dell’attaccamento quando deve andarsene.
La conclusione è ormai assodata che la comunità terapeutica fornisce una reale
esperienza emozionale correttiva per i pazienti e per lo staff, in particolare lo staff
non può mai uscire dalla situazione di transfert, viene osservato continuamente.
Tutto ciò è comunque faticoso quando va bene e traumatizzante quando va male.
CARATTERISTICHE DELLE COMUNITA’ TERAPEUTICHE OGGI
Oggi le comunità sono aperte o chiuse? I reparti psichiatrici sono aperti, cioè i reparti
possono essere lasciati dal paziente quando vogliono (eccetto per i TSO), ci si sta
volontariamente.
Quante pazienti in ogni comu
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