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COUNTRY OF ORIGIN EFFECT
Il country of origin effect si riferisce alla percezione che i consumatori hanno
qualità, l'affidabilità caratteristiche
sulla e le dei prodotti in base al paese di
origine. È importante notare come questa percezione possa variare anche da
settore a settore.
Le imprese possono sfruttare il country of origin effect in diversi modi, ad
esempio attraverso il nome, gli elementi visuali del marchio, il “made in”, lo
slogan e il comportamento comunicativo.
Spesso può esservi l’effetto contrario, ossia che determinate imprese riescano
ad attribuire valori positivi ad un determinato Paese, come avviene in Italia
grazie a marchi come Ferrari o Armani.
MARCHE COMMERCIALI E SEGMENTAZIONE DELL’OFFERTA
Le marche commerciali (o marche private o private labels) sono i prodotti
esclusivi dei distributori, realizzati da imprese industriali per i distributori.
Attraverso le marche private i retailer si pongono in concorrenza con i produttori.
Lo sviluppo delle marche private ha comportato un aumento del potere dei
distributori determinato dal controllo dei punti vendita. Questo ha fatto sì che
l’industria della marca avesse molta più concorrenza e che tali produttori
elaborassero diverse strategie:
a) vendere unicamente il proprio marchio industriale (tipico delle imprese
leader);
b) produrre unicamente per le marche commerciali;
c) strategia mista (tipica delle imprese follower).
Tipicamente i consumatori hanno una percezione meno favorevole nei
confronti delle marche commerciali, anche se la tendenza sta cambiando.
Gli obiettivi delle marche commerciali sono diversi, tra cui: differenziazione
dell’offerta; fidelizzazione della clientela; maggiori margini commerciali.
Solitamente le marche commerciali si posizionano su una linea base, che ha un
prezzo inferiore del 15-20% rispetto al leader.
Il criterio di segmentazione dell’offerta più utilizzato è in base al prezzo, che
può essere verso l’alto, con posizionamento premium, o verso il basso, con il
cosiddetto primo prezzo.
Le condizioni di successo per una private label premium sono:
a) immagine di insegna chiara, fondata sulla qualità e la specializzazione;
b) selezione attenta delle categorie di prodotti.
Le condizioni di successo per una private label di primo prezzo sono:
a) massa critica rilevante;
b) selezionare le categorie di prodotti in cui i consumatori sono maggiormente
sensibili al prezzo;
c) distinguere nettamente il posizionamento della linea dalle altre linee di
marche commerciali.
Per quanto riguarda il rapporto tra la denominazione dell’insegna e la
denominazione della marca commerciale ci sono tre approcci:
1) marca commerciale insegna, in cui c’è corrispondenza tra insegna e marca
privata (es. Conad);
2) marca commerciale generica, in cui non c’è corrispondenza tra marca
privata e insegna (es. prodotti Terre d’Italia del gruppo Carrefour);
3) marca commerciale con richiamo all’insegna, che è una soluzione
endorsed in quanto la marca privata non ha lo stesso nome dell’insegna, che
viene però indicata per supportare la linea (es. Coop).
POLITICHE DI GESTIONE DELLA MARCA COMMERCIALE
Per le politiche di prezzo e promozionali si hanno due orientamenti:
1) politiche Hi-Lo, le quali prevedono che i prodotti vengano venduti
inizialmente a prezzi elevati, per poi essere scontati periodicamente, attirando
così i consumatori e generando traffico nei punti vendita;
2) politiche di Every Day Low Price (EDPL), che prevedono prodotti a prezzi
bassi costantemente, così da generare l’immagine di convenienza nel lungo
periodo.
Invece, per le politiche relative al merchandising, la marca commerciale
gode di una qualità espositiva maggiore rispetto alle marche leader, anche se
spesso nei grandi punti vendita (es. Auchan) le marche private hanno uno
spazio inferiore rispetto a quelle industriali, in quanto la quota di mercato delle
marche industriali è molto elevata e garantirgli poco spazio darebbe la
percezione di un assortimento limitato.
Infine, per quanto riguarda l’assortimento si è visto un aumento nel corso del
tempo ed inoltre si sta procedendo ad un progressivo upgrading della qualità.
MODELLI DI GESTIONE DEL BRANDING DISTRIBUTIVO
In generale, si ravvisano tre approcci:
1) modello quality oriented, tipico della grande distribuzione, in cui si
investono molte risorse nella comunicazione per far sì che la marca venga
percepita come di qualità. In questi casi la marca commerciale detiene una quota
di mercato superiore al 15% è c’è un forte focus sull’innovazione, vengono
prodotte linee premium e c’è una vasta profondità. Questo approccio genera
fedeltà;
2) modello economy oriented, adottato dai gruppi multinazionali che possono
contare su una grande massa critica. In questo caso si punta su linee di primo
prezzo e su una grande ampiezza dell’assortimento. Questo approccio genera
un’immagine conveniente;
3) modello developing, tipico dei gruppi con quote di mercato inferiori al 10%,
con un posizionamento intermedio fortemente ancorato alla marca leader.
Vengono adottate strategie di packaging basate sul principio look alike e
l’obiettivo principale è quello di una maggiore redditività. Questo modello
comporta una ridotta ampiezza delle categorie e un pesante svantaggio
competitivo, sia dal punto di vista della qualità che della convenienza.
GLI EFFETTI DELLA PUBBLICITÀ
Gli obiettivi di risposta da parte del target sono:
1) risposte non comportamentali, come il ricordo e il brand awareness;
2) risposte comportamentali, come la prova, l’acquisto o il passaparola;
3) risposte valutative, come lo stimolo di stati d’animo, motivazioni o un
atteggiamento favorevole;
4) risposte relazionali, come la fedeltà e la brand advocacy;
5) risposte esperienziali.
È possibile valutare gli effetti della pubblicità a: livello di singolo individuo,
mental advertising response
misurando la (ricordo di un annuncio
mental brand response
pubblicitario), la (livello di consapevolezza del brand
brand behavioural response
pubblicizzato); (frequenza di consumo di una
determinata marca): livello di mercato complessivo, analizzando fatturato,
quota di mercato e premium price.
Ci sono diversi filoni di studio che analizzando i meccanismi della pubblicità:
a) teorie economiche, che considerano il comportamento del consumatore
guidato dalla necessità di soddisfare i propri bisogni oggettivi e
dall’ottimizzazione delle proprie risorse. In questo caso l’obiettivo dell’advertising
è quello di fornire le informazioni utili a realizzare condotte razionali del
consumatore;
b) teorie comportamentali, che considerano il consumatore come soggetto
passivo e gli effetti della pubblicità dipendono in buona parte dalla ripetizione
dell’annuncio. Questo approccio basato sullo schema stimolo-risposta, ha dato
vita a diversi modelli:
-modello AIDA: bisogna attirare l’Attenzione (livello cognitivo), suscitare
Interesse e Desiderio (livello emotivo) per poi generare Azione (livello
comportamentale);
-modello DAGMAR: che prevede una risposta cognitiva (comprensione e
attenzione) e una risposta comportamentale (convinzione e azione);
-modello di Lavidge e Steiner: che prevedere la sequenza notorietà
conoscenza apprezzamento preferenza convinzione azione.
-modello di Rogers: in riferimento al lancio di nuovi prodotti e prevede la
sequenza informazione interesse valutazione prova azione.
Questi approcci sono stati però criticati in quanto non prendono in
considerazione le differenze tra individui e tra messaggi;
c) teorie psicologiche, che considerano il consumatore come soggetto attivo e
l’acquisto è visto come somma algebrica tra motivazioni e freni. Il compito
dell’advertising è generare motivazioni e ridurre i freni;
d) teorie psico-sociali: si fa leva sul desiderio di appartenenza ad un gruppo
sociale e sull’utilizzo di brand come segni di affiliazione e distinzione.
TIPOLOGIE PUBBLICITARIE A CONFRONTO
1) Pubblicità pratica: si concentra sull’utilità del prodotto pubblicizzato,
fornendo ad esempio informazioni sulle caratteristiche o le modalità d’uso. Il
meccanismo di persuasione è di tipo razionale;
2) Pubblicità ideale: mira a creare un'immagine positiva del prodotto
pubblicizzato e lo fa attraverso suggestioni e associazioni simboliche;
3) Pubblicità critica o referenziale: elenca le caratteristiche come la
pubblicità pratica, ma stimola il consumatore a confronti come quello
qualità/prezzo;
4) Pubblicità ludica: volta a valorizzare il consumo dal punto di vista
emozionale e lo si fa ricorrendo spesso a narrazioni.
Inoltre, in base al criterio interpretativo usato, si distingue tra:
a) pubblicità strategica, che ha obiettivi di lungo termine come il cambiamento
del posizionamento, e tattica, che ha obiettivi di breve termine come lo stimolo
delle vendite;
b) pubblicità istituzionale, che è incentrata sull’impresa e vuole migliorare la
reputazione, e di marca, che invece ha l’obiettivo di migliorare la percezione del
pubblico riguardo un determinato prodotto;
c) pubblicità di immagine, che fa leva su emozioni e valori simbolici, e
informativa, che si concentra su contenuti descrittivi e argomenti razionali;
d) pubblicità di massa, che utilizza mezzi di comunicazione di massa come la
televisione e la radio, in modo da raggiungere un pubblico vasto, e interattiva,
che grazie alle ICT consente multimedialità e personalizzazione;
e) pubblicità commerciale, volta alla valorizzazione del consumo, e sociale,
relativa a contenuti di carattere generale e utilità sociale;
f) pubblicità globale, che ha un pubblico transnazionale, e locale, che ha un
target di zona più circoscritto;
g) pubblicità comparativa, che effettua il confronto con l’offerta concorrente ed
è poco usata in Italia per il rischio di conflittualità.
PRINCIPALI MEZZI DELLA PUBBLICITÀ
La pubblicità può essere veicolata attraverso molteplici media ed è rivolta
all’audience, ossia gli individui esposti ai messaggi. L’audience utile invece è
la quota di audience totale che appartiene al target prescelto.
Tra i vari mezzi troviamo:
a) televisione, i cui principali format di pubblicità sono:
-spot: inserti di pochi secondi nei break pubblicitari;
-telepromozione: inserto breve all’interno di una trasmissione;
-televendita: inserto di qualche m