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Estratto del documento

Il Presidente presiede il Consiglio dei Ministri, nomina il Primo ministro - che però deve

avere la fiducia del Parlamento - può sottoporre a referendum tutte le leggi in materia di

organizzazione dei pubblici poteri, di Regioni e di Trattati, scioglie il Parlamento e dispone di

poteri eccezionali in caso di minacce al territorio e all’indipendenza nazionale. Il Presidente,

inoltre, detiene importanti poteri in Politica estera: la negoziazione, la firma e la ratifica dei

Trattati internazionali.

Il Primo ministro dirige l’azione del Governo, è responsabile della difesa nazionale ed

esercita il potere regolamentare.

Nel momento in cui il colore politico del Presidente e della maggioranza parlamentare

corrispondono, questa figura si rafforza notevolmente a discapito di quella del Primo ministro

francese; se non avviene, invece, come tra Mitterrand e Chirac, la figura del Primo ministro si

rafforza, fermi i poteri del Presidente: quando accade, si parla di coabitazione. Nel 2000 in

Francia si sono equiparate le durate del Presidente e del Parlamento, proprio per diminuire le

probabilità di avere delle coabitazioni.

La direttoriale svizzera

È una forma di governo incredibilmente particolare, che si trova solamente in Svizzera: al

vertice dello Stato, pone non un organo monocratico ma collegiale, il Consiglio federale,

eletto dal Parlamento bicamerale. Questo, dopo essere stato eletto, non può essere sfiduciato e

rimane in carica per ben quattro anni. Tuttavia, i sette membri del Consiglio federale non solo

stanno in carica sempre almeno per due mandati ma sono eletti secondo la cosiddetta formula

magica.

È una convenzione che regola il modo in cui il Parlamento elegge il Consiglio federale.

Nell’elezione devono rispettarsi le seguenti regole:

- 2 seggi ai radicali, 2 ai cattolici, 2 ai socialisti e 1 agrario;

- 4 di lingua tedesca, 2 francese e 1 italiano;

- 4 protestanti e 3 cattolici;

In ogni caso, nessun Cantone può avere più di un consigliere. Inoltre, la Svizzera è nota per i

numerosi referendum, nell’ottica di una democrazia diretta, sia federali sia cantonali.

Dallo Statuto alla Costituzione

La storia costituzionale italiana si divide in tre o quattro periodi:

1. Il periodo liberale;

2. Il periodo fascista;

3. Il periodo provvisorio;

4. Il periodo democratico;

Il periodo liberale

Il 4 marzo 1848 viene concessa la costituzione dello Statuto Albertino, concesso dal Re Carlo

Alberto al Regno di Sardegna, divenendo il testo del Regno d’Italia con la sua proclamazione

tramite la legge numero 4761 del 17 marzo 1861. Scritto in francese e successivamente

tradotto, prende il nome “statuto” in omaggio al glorioso passato comunale italiano: si tratta

di una costituzione liberale perché traduce giuridicamente i principi cardine della Rivoluzione

francese, assegnando un ruolo fondamentale alla legge. È ottriata, ovvero concessa dall’alto

del Sovrano, come si dice nel preambolo con “lealtà di Re e affetto di Padre”.

È una costituzione flessibile: non sono previste procedure aggravate per la modifica e non

prevede alcun giudice delle leggi rispetto allo Statuto. È anche molto breve, presentando solo

84 articoli dei quali a malapena nove dedicati ai diritti e ai doveri. Si ha una forma di Stato

molto accentrata, siccome le Regioni non esistono e la disciplina dei Comuni è rimessa

integralmente alla legge; la forma di governo è “costituzionale pura”, con il potere esecutivo

al Sovrano e quello legislativo al Parlamento, di stampo dualistico.

I diritti individuali presentati all’interno della Costituzione sono stati molto limitati

dall’intervento del legislatore, anche se con il codice Zanardelli del 1889 si abolisce la pena

di morte per tutti i casi. La forma di governo diviene quella parlamentare: i Governi devono

avere la fiducia del Parlamento e non sono più espressione della volontà del Sovrano,

portando a un rafforzamento del capo dell’esecutivo. Vittorio Emanuele II, ad esempio, si

oppose più volte ai Governi, ma senza esiti perché oramai era il Parlamento a decidere. Nel

1878, invece, quando morì il Re, fu De Pretis a presentare le dimissioni nelle mani di

Umberto I, che però le rifiutò perché il Governo aveva l’appoggio del Parlamento.

Anche in Italia, durante il periodo liberale, il diritto di voto è molto limitato: nel 1848 il

suffragio comprendeva solo il 2% della popolazione, nel 1882 solo il 7%, mentre nel 1919 si

introduce il suffragio “universale” maschile e si adotta il sistema proporzionale, cancellando i

piccoli collegi uninominali.

Lo Stato monoclasse liberale entra in crisi anche per la nascita dei partiti politici al di fuori

del Parlamento, cioè quelli di massa: nel 1892 il Partito comunista e nel 1919 il Partito

Popolare.

Il periodo fascista

Il 23 marzo 1919 nascono con 300 persone i Fasci di Combattimento in Piazza San Sepolcro

a Milano, passando però del tutto inosservati. Come il nazismo, anche il fascismo in Italia si

instaura su basi legali: il dibattito, tuttavia, rimane aperto tra gli studiosi.

Il 28 ottobre 1922, il Re Vittorio Emanuele III incarica Benito Mussolini di formare un nuovo

Governo al posto del Governo Facta: l’incarico fece molto discutere e ancora oggi è fonte di

dibattiti. L’incarico a Mussolini era discutibile perché il Re avrebbe dovuto firmare lo Stato

d’assedio proposto dal Governo Facta, non la nomina di Mussolini: la marcia su Roma, le

intimidazioni e l’uso della forza (con le occupazioni delle Prefetture da parte dei fascisti)

avrebbero consigliato la firma dell’assedio. Inoltre, in una forma di governo parlamentare la

nomina per la formazione di esecutivo data a un esponente politico con appena trentacinque

parlamentari è un fatto eccezionale e una forzatura della prassi parlamentare.

Decima lezione

Dopo la presa di potere di Mussolini, sono emanate le leggi fascistissime: i centoventi

parlamentari dell’Aventino sono dichiarati decaduti e vengono perseguiti tutti coloro che

vogliono riportare in vigore i precedenti partiti. Il Partito fascista diviene sì un partito di

massa. Personalmente Mussolini non amava la borghesia, vedendoci una classe parassitaria,

ma perché si fuoriesce dal periodo liberale? Perché il Fascismo prevede un Governo e uno

Stato che non siano minimi, ma incredibilmente interventisti. Secondo Mussolini non c’è

nulla che non sia dentro lo Stato e l’individuo non è nulla se non fa parte dello Stato: più

chiaro di così si muore.

Per continuare ad avere un pubblico impiego, si dichiara fedeltà allo Stato e di conseguenza

al Fascismo, quest’ultimo entra nello Stato soprattutto a livello di istruzione così come a

livello economico (IRI), con gli istituti statali per la costruzione industriale nel Paese. Sono

aperte vere e proprie industrie di Stato: se tutto è nelle sue mani, nulla impedisce di sciogliere

i comuni e di togliere potere alle istituzioni locali. Si toglie anche la pena di morte,

inizialmente contro chi attenta alla vita del Duce e poi estesa anche per delitti non politici.

Nel 1928 fa la sua comparsa nell’ordinamento il Gran consiglio del fascismo, un organo di

consulenza del Governo incaricato di coadiuvare le sue attività: tra i vari compiti c’era anche

quello di compilare una lista di persone dalle quali il Re poteva scegliere un nuovo Primo

ministro in caso di vacanza di quello in carica; vacanza nel senso di assenza per qualsiasi

motivo.Questa lista che era una delle grandi attribuzioni del Fasciamo non venne mai

compilata, perché dopo Mussolini nulla poteva esistere: non vennero mai fatti nomi e

sembrava impossibile immaginare il futuro senza il Duce.

Nel 1929 si tennero le ultime elezioni in Italia e già nel ‘24 ci furono problemi di ordine

pubblico: sono documentate le violenze nei confronti delle persone che si opponevano a quel

sistema. C’erano due liste appartenenti al medesimo Partito e o votavi una delle due oppure

appena il Presidente di seggio se ne accorgeva, si era ammazzati di botte.

Le leggi razziali furono la diretta conseguenza del vedere l’altro come diverso: ci furono i

censimenti degli ebrei - italiani. Questo permise che, quando furono deportati, si sapeva già

dove fossero e dove vivessero. Al terzo anno di guerra per l’Italia, il Grande Consiglio del

Fascismo, non convocato da dieci anni, mette all’ordine del giorno la domanda al Re di

assumere l’effettivo comando delle forze armate: intendono dire che deve essere sia formale

sia sostanziale. Soprattutto si chiede anche di prendere le decisioni supreme. Per molti questo

ordine del giorno, che costò la vita a tutti coloro che lo approvarono, questo ODG aveva uno

scopo più limitato di quello che vediamo oggi. L’intento dei firmatari (tutti fascisti, dal primo

all’ultimo) era uscire dalla guerra abbandonando la Germania e cambiare Mussolini ma

mantenendo il Fascismo. Il Re lo fa arrestare e viene portato a Campo Imperatore con

un'ambulanza per incarcerarlo più facilmente.

Il Re poteva nominare e revocare i suoi ministri, tra cui il Presidente del Consiglio, tuttavia

l’aspetto sostanziale è che non scelse il sostituto di Mussolini da quella lista che il Gran

Consiglio avrebbe dovuto fare, quindi viola tale previsione. La seconda è che si può revocare

l’incarico a tutti i ministri che vuoi, ma non puoi farli arrestare: per questo alcuni parlano di

colpo di stato monarchico. Nomina dunque il generale Badoglio e si leggono due proclami

alla radio: Mussolini si è dimesso e si nomina Badoglio con la guerra che continua. Nel

frattempo però si tratta con gli alleati.

Badoglio sopprime il Tribunale militare speciale, il Partito fascista, il Gran Consiglio e le

corporazioni fasciste: ci vorrà più tempo per le leggi razziali. L’otto settembre del 1943 si

arriva all’armistizio, che segna la fine delle ostilità nei confronti dell’esercito italiano da parte

degli Alleati, la collaborazione con gli Alleati stessi e la consegna totale della marina e

dell’aviazione al Governo alleato. Con l’armistizio l’esercito si sfalda e il Re fugge assieme a

Badoglio prima a Pescara e poi a Brindisi: finisce che abbiamo i tedeschi in casa.

In pochissimi, tra i soldati italiani, decidono di contrapporsi ai tedeschi: in assenza di

indicazioni si arrendono e vengono internati in campi appositi: non furono sterminati ma

messi in campi di internamento militare. Quest’ultimi erano messi di fianco i campi di

concentramento come prigionieri di guerra, che dovevano avere alcuni trattamenti per

convenzioni di guerra, siccome lo Stato ha tutta la convenienza a trattare in un certo modo i

soldati prigionieri di uno Stato, tenendo ovviamente ai

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Publisher
A.A. 2023-2024
58 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/09 Istituzioni di diritto pubblico

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher NicoRF045 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto pubblico e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Galliani Davide.