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FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
Ogni sistema giuridico ha una propria teoria delle fonti.
Il fenomeno della formalizzazione delle fonti del diritto internazionale è legato
principalmente a eventi storici. Per molto tempo le uniche due fonti ammesse
sono state le consuetudini e i trattati.
Nasce una distinzione tra le fonti generali e le fonti particolari: 24
- Fonte generale: consuetudine, considerate come un fenomeno
spontaneo.
- Fonte particolare: il trattato, considerato fenomeno volontario.
Nell’ordinamento internazionale non abbiamo uno strumento che annoveri le
fonti, esiste soltanto una disposizione della corte internazionale di giustizia,
l’art. 38 dello statuto, la quale menziona tra le fonti che utilizza per risolvere le
controversie che le sono sottoposte:
- convenzioni internazionali
- consuetudini internazionali
- principi generali di diritto
- dottrina degli autori più qualificati e loro decisioni giudiziarie
Tuttavia questo elenco è incompleto e fuorviante perché menziona tra le
norme applicabili anche alcune che in realtà non sono norme (decisioni
giudiziarie, dottrina degli autori qualificati).
Il vero sistema, più complesso, delle fonti è:
● Consuetudini
● Principi generali
● Trattati
● Fonti di terzo grado
● Atti unilaterali
Ogni sistema delle fonti possiede un sistema che mostra qual è il rapporto tra
le fonti. In questo caso le fonti sono organizzate in una struttura gerarchica
ma limitata, perché le consuetudini, i trattati e gli atti unilaterali hanno lo
stesso valore.
Successivamente, a metà del 900, si afferma un’altra categoria di norme che
viene posta alla cima della struttura gerarchica, le norme imperative (ius
cogens).
Queste sono norme di vertice e non possono essere derogate.
Le fonti di terzo grado derivano da un trattato internazionale, presentano
quindi questo rapporto gerarchico rispetto al trattato su cui si fondano.
La maggior parte delle norme internazionali deriva da un fenomeno o
integralmente volontario (trattati) o parzialmente volontario (consuetudine),
per questo il volontarismo è il fondamento della produzione normativa.
CONSUETUDINE INTERNAZIONALE
Non si riesce a individuare con precisione l’origine della consuetudine. Nel
sistema normativo italiano possono essere utilizzate solo se richiamate dalla
norma positiva, e hanno campo di applicazione molto limitato.
In realtà la consuetudine è il tipo di norma che da sempre caratterizza il vivere
sociale. Si determina in ragione di comportamenti ripetuti nel tempo, che 25
diventano norme perché creano un’aspettativa. Nell’ambito internazionale
avviene lo stesso processo.
La consuetudine è la fonte primaria dell’ordinamento internazionale, non
significa che sia prevalente rispetto alle altre ma che presenti delle
caratteristiche che la rendono la fonte maggiormente risalente.
Secondo la definizione dell’art. 38, unica definizione normativa, la
consuetudine è “la prova di una pratica generale accettata come diritto”.
Si dice quindi che sia costituita da due elementi:
(diuturnitas-ripetizione),
- Oggettivo o materiale: ripetizione costante e
uniforme nel tempo di un medesimo comportamento.
(opinio iuris),
- Soggettivo o psicologico: convinzione da parte di chi tiene
il comportamento che esso sia giuridicamente obbligatorio, quindi
imposto da una regola giuridica non scritta.
Concezione dualistica della consuetudine: per cui per avere una norma
consuetudinaria bisogna avere comportamenti uniformi degli stati ripetuti nel
tempo, ma anche la dimostrazione che essi tengono quel comportamento
pensando di rispettare un obbligo giuridico.
L’accertamento risulta essere molto complicato per questo motivo.
Caratteri della consuetudine
La consuetudine è l’unica fonte internazionale veramente universale.
Dimostrare che esiste una consuetudine significa dimostrare che esista una
norma che vincola tutti i soggetti della comunità internazionale. È una norma
a portata soggettiva e generale, si applica erga omnes, quindi la
consuetudine è l’unica fonte internazionale veramente universale.
Essa si applica anche ai soggetti di nuova formazione, infatti se nasce un
nuovo stato questo è automaticamente vincolato alle consuetudini
internazionali.
Ovviamente esistono anche consuetudini regionali, che si affermano tramite
rapporti più stretti tra gli stati.
Anche i trattati possono essere generali, però solo se gli stati decidono di
aderire ad esso.
La seconda caratteristica della consuetudine è la flessibilità. La consuetudine
è derogabile, ovvero gli stati possono poi decidere nei loro rapporti di stabilire
un regime giuridico diverso, ma questa flessibilità si traduce anche nel modo
in cui le norme consuetudinarie evolvono in ragione dei comportamenti.
L’unico caso in cui le norme consuetudinarie non sono derogabili è quello in
cui siano norme imperative, di ius cogens, norme che gli stati non possono
derogare neanche tramite trattato (divieto di tortura, divieto di schiavitù,
divieto di genocidio, uso della forza armata).
L’ultima caratteristica è che la consuetudine è una norma non scritta.
Tempo di formazione della consuetudine
Per quanto tempo gli stati devono ripetere un certo comportamento prima
che questo si possa considerare consuetudine? 26
La corte internazionale di giustizia dice che tendenzialmente può bastare
anche un breve lasso di tempo perché si affermi una consuetudine, tuttavia
non è possibile stabilire una regola in merito.
Esistono anche casi di consuetudini istantanee, che si manifestano in un arco
temporale brevissimo, ma questo appartiene a contesti particolari.
Nel momento in cui si forma una consuetudine essa non ha mai effetti
retroattivi, non si applica alle situazioni precedenti alla sua formazione, fatta
eccezione per le norme di ius cogens che hanno anche effetti retroattivi.
A chi spetta rilevare la consuetudine?
Ricostruzione di una norma il più generale possibile a partire da
comportamenti particolari. Questo è un lavoro più storiografico che giuridico,
dal momento che si tratta di analizzare i comportamenti dei soggetti della
comunità internazionale nel tempo. Questo è un ragionamento
logico-induttivo, che dal particolare ricostruisce la norma generale.
Quando bisogna risolvere una controversia, si pone il problema di capire se
sulla questione ci sia una determinata consuetudine. Nel risolvere una
controversia il giudice, soprattutto quello internazionale, guarda a quali sono
le regole applicabili a quel caso e verifica se ci siano delle regole
consuetudinarie. L’esistenza di alcune di queste regole può essere ovvia per
tutti, altre invece no.
Servono quindi dei documenti che accertano che la grande maggioranza
della comunità internazionale su una determinata situazione ha espresso una
certa posizione e ha tenuto un certo comportamento (prassi degli stati).
Si utilizzano a questo scopo: la corrispondenza diplomatica tra i soggetti della
comunità, le istruzioni date dai governi, le prese di posizione di organi
competenti, le decisioni di giudici nazionali, gli atti delle organizzazioni
internazionali.
Un altro problema che si pone è quello di capire se si possano utilizzare i
trattati internazionali per provare l’esistenza di una norma consuetudinaria.
Nel caso del Nicaragua, in merito al divieto dell’uso della forza che è presente
nella carta delle Nazioni unite. La corte si chiede se questo divieto, già
presente in un trattato, sia anche consuetudinario. Questo perché dire che il
divieto di uso della forza armata è consuetudinario serve a farlo diventare una
norma generale.
La corte dirà che le convenzioni internazionali possono avere un importante
ruolo nel definire le regole derivanti dalla consuetudine, e che non si può
perdere di vista la carta delle Nazioni Unite e la carta dell’organizzazione degli
stati americani nell’accertamento del contenuto del diritto consuetudinario.
Quindi, le consuetudini possono essere codificate nei trattati, allo stesso
modo un trattato ampiamente ratificato può diventare consuetudinario.
Se diciamo che la consuetudine deriva da una prassi degli stati ripetuta nel
tempo, ci scontriamo con un profilo quantitativo. Secondo la corte non esiste
l’unanimità nella formazione delle norme consuetudinarie, ma si determina un
fattore di maggioranza dal momento che la consuetudine è un
comportamento seguito dalla maggior parte degli stati. Non è detto che tutti
gli stati si esprimano su ogni questione. 27
Dato che la consuetudine è generale, deve potersi applicare anche agli stati di
nuova formazione, compresi quelli che non esistevano all’epoca della sua
formazione, e anche a quelli successivi e quelli che in merito non si sono
espressi.
Caso dell’obiettore persistente
Dato che la consuetudine è una norma di generale applicazione gli stati non
possono opporvisi.
Vi è tuttavia un’eccezione, il caso dell’obiettore persistente.
Se uno stato si oppone alla formazione di una certa consuetudine e ne rifiuta
l’applicazione, è da essa vincolato?
Per le caratteristiche della consuetudine stessa sarebbe sbagliato ammettere
che uno stato rifiuti la sua applicazione.
L’unico caso in cui si ammette che uno stato possa non essere vincolato da
una consuetudine è quando si sia opposto fin dall’inizio in modo continuativo
e in maniera esplicita al formarsi di quella consuetudine.
In alcuni contesti gli stati fanno esplicitamente notare che si oppongono ad
un determinato comportamento.
Un caso evidente è quello della Spagna rispetto alla secessione rimedio,
ovvero quei casi in cui a fronte di sistematiche violazioni
all'autodeterminazione interna di un popolo esso acquisisca il diritto alla
secessione violenta (caso del Kosovo). Secondo molti non esiste ancora una
consuetudine affermata in merito alla secessione rimedio perché la prassi
degli stati è ancora troppo frammentata.
La Spagna per evitare che si formi una consuetudine sulla secessione rimedio,
che diventi vincolante per la Spagna stessa, in tutti i documenti che
riguardano accordi su situazioni di autodeterminazione fa scrivere che per lo
stato spagnolo quella posizione non equivale ad una posizione di favore
rispetto alla secessione rimedio.
Quando l’obiezione deriva da un gruppo di stati, il problema non è più di
capire se la consuetudine vincoli l’obiettore, ma è di capire se la consuetudine
si formi effettivamente dal momento che una parte dei s