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INSIDIE
• Attribuire i nostri pensieri
• Affrettare le conclusioni
• Attribuire giudizi di valore
• Non riconoscere le nostre emozioni
• Non riconoscere la persona nella sua storia
LEZ. 25/11 –
Comunità di pratiche Lave e Wenger
Il concetto di “comunità di pratiche” nasce nei primi anni ‘90 da due psicologi, Lave e
e sebbene sia stato formulato nell’ambito della psicologia cognitiva, questo
Wenger,
concetto ha avuto molto successo anche nel pensiero organizzativo e nella sociologia del
lavoro.
I due autori elaborano questo concetto con lo scopo di studiare i processi di
apprendimento, cioè come le persone apprendono.
La premessa su cui si basa questo concetto è che l’apprendimento:
• attraverso l’insegnamento formale.
Non avviene solo
• Non è un processo esclusivamente individuale.
• Non è un processo puramente mentale, si apprende con tutti i cinque sensi.
• Non è separato dall’attività pratica.
In altri termini, occorre superare la tradizionale separazione tra insegnamento e attività
pratica e riconoscere che l’apprendimento avviene all’interno di una attività situata.
L’apprendimento avviene all’interno di un’attività situata, ovvero un’attività
Attività situata >
definita e influenzata dal contesto sociale e dalle situazioni che si sviluppano in esso. Il
contesto sociale diventa quel quadro entro cui avviene l’attività di apprendimento.
La conoscenza si produce attraverso l’attività. Di conseguenza, contesti e situazioni
differenti danno luogo a differenti processi di apprendimento e a differenti conoscenze.
Che cos’è la comunità di
DOMANDA DI ESAME: pratica? (introducendo che Lave e
l’apprendimento dentro un’attività
Wenger considerano che avviene situata)
Queste caratteristiche conducono Lave e Wenger ad affermare che l’apprendimento
avviene sempre e soltanto all’interno di specifiche comunità di pratiche.
Che cosa sono le comunità di pratiche > sono formate da un insieme concreti di
persone. Ma affinché le comunità di pratiche possano definirsi come tali, deve avere i
seguenti tre requisiti:
1. Un impegno reciproco tra le persone che vi prendono parte
2. Un’impresa comune
3. Un repertorio condiviso di esperienze, tecniche e discorsi.
Lave e Wenger riconoscono la comunità di pratiche ovunque vi siano questi requisiti.
Esempi: luoghi di lavoro, ma anche attività culturali, artistiche, sportive, religiose, politiche.
Ed è proprio per questa concezione che viene mossa una critica nei confronti di Lave e
riconoscere l’esistenza di
Wenger > questa definizione, così lasca ed estesa, consente di
comunità di pratiche in un numero molto vasto di situazioni. Quindi, è quasi inutile perché
tutto diventa comunità di pratiche.
Va inoltre tenuto presente che le comunità di pratiche:
• Non richiedono la prossimità fisica dei loro membri (pratiche online).
• Sono sistemi sociali aperti, ambienti aperti, si ridefiniscono continuamente con
l’entrata e l’uscita dei membri.
• Non sono patrimonio esclusivo dei membri esperti ma devono essere messe a
disposizione dei membri nuovi (i tirocinanti, da intendere in un senso esteso) che le
apprendono gradualmente man mano che aumenta il loro coinvolgimento.
Le comunità di pratiche si pongono, quindi, come dei sistemi sociali di apprendimento.
pratiche, l’apprendimento avviene mediante quella che Lave e Wenger
Nella comunità di
chiamano partecipazione periferica legittima.
Questa espressione sta ad indicare che l’apprendimento non si raggiunge solo con
l’insegnamento teorico astratto di principi formali, ma avviene anche tramite la
prendendo parte all’attività.
partecipazione diretta e concreta alle pratiche della comunità,
a prendere parte all’attività, non deve solo osservare.
Bisogna coinvolgere il soggetto
La partecipazione non è clandestina e nemmeno informale. Ma è legale e incoraggiata,
ovvero è legittima. Il soggetto è legittimato a stare lì, è legittima la sua partecipazione alla
comunità di pratiche.
Inoltre, la partecipazione è periferica perché il tirocinante entra per gradi nella comunità:
ma svolge fin dall’inizio attività secondarie
non si limita ad osservare il lavoro altrui e di
semplice ausilio che con il tempo acquisiscono sempre più importanza.
Il tirocinante viene coinvolto pian piano, assumendo compiti sempre più importanti e
centrali. Quindi, inizia con una partecipazione periferica e man mano che apprende e viene
coinvolto, passa ad una partecipazione sempre più centrale.
Appare chiaro che l’apprendimento non è solo un processo mentale ma è un’attività
coinvolgente che cresce e si complessifica nel tempo.
‘91,
Lave e Wenger, in un loro testo del riflettono su alcune ricerche da loro compiute su
mondi differenti. Una tra queste interessava il mondo delle levatrici dello Yucatan, dove vi
era un’ospedalizzazione casa, con l’aiuto
limitata e i/le bambini/e spesso nascevano in
delle levatrici.
In che modo queste levatrici imparano a fare il proprio lavoro? Fin da piccole venivano
portate dalle loro madri a conoscere le partorienti, imparando manovre, imparando a capire
se la gravidanza stesse procedendo bene, imparando a raccogliere erbe medicinali, ecc.
Siamo difronte ad una partecipazione legittima ma periferica. Questo perché le bambine
potevano solo osservare in quanto potevano diventare levatrici esclusivamente le donne
già madri.
Altri esempi di ricerca di Lave e Wenger: comunità di pratiche dei sarti, dei marinai.
Comunità di pratiche sui luoghi di lavoro
Brown e Duguid, rispetto a Lave e Wenger, aggiungono che il concetto di comunità di
pratiche offre il vantaggio di pervenire ad una visione unificata di tre attività che spesso
sono considerate in autonomia (non si studiano insieme) mentre, secondo questi autori,
devono essere messe in dialogo:
• Visione unificata di lavoro, apprendimento e innovazione
Perché questi processi sono sempre stati percepiti come separati e in conflitto tra loro?
Secondo gli autori, le ragioni principali di questa separazione sono da ricercare nello scarto
tra le prescrizioni formali (che dicono come si deve imparare e lavorare) e la pratica
concreta (come effettivamente si impara e si lavora).
Secondo gli autori le persone non possono imparare a lavorare leggendo un manuale,
leggendo cioè delle prescrizioni formali, perché queste omettono intenzionalmente i
dettagli. Non dicono come si opera nella pratica.
Non si può imparare a lavorare o risolvere i problemi solo attraverso i manuali, ma è
fondamentale la pratica nel processo di apprendimento.
l’apprendimento diventa un ponte tra il lavoro e l’innovazione,
Per questi autori, perché
la pratica occupa un posto centrale nell’apprendimento.
DOMANDA DI ESAME: comparazione tra due concezioni differenti di comunità di pratiche
(confrontare la definizione di Lave e Wenger e quella di Brown e Duguid)
La concezione di Lave e Wenger viene criticata perché troppo ampia e lasca, mentre quella di Brown e
Duguid è una definizione molto ristretta perché si applica solo ed esclusivamente ai luoghi di lavoro.
DOMANDA DI ESAME: alcuni esempi di ricerche etnografiche viste in questo corso
Per avvalorare la loro tesi, secondo cui l’apprendimento è visto come un ponte tra il lavoro
e l’innovazione, Brown e Duguid si rifanno a una ricerca etnografica di John Orr (1990),
ricerca svolta sui riparatori di macchine fotocopiatrici.
La prima cosa che nota John Orr è il distacco tra le prescrizioni formali e le pratiche di fatto.
Analizzando il lavoro dei riparatori, Orr si rende conto che questi non imparano a riparare
leggendo i manuali a loro disposizione ma imparano in tutt’altro modo.
E cioè parlando con le persone, in primo luogo, per capire qual è il problema e capire quale
sia il guasto. E, in secondo luogo, parlando tra di loro, tra colleghi riparatori. I manuali
risultano essere poco utili.
I riparatori hanno bisogno di informazioni legati alla pratica, che acquisiscono parlando con
le persone. Successivamente, parlano tra di loro, confrontandosi tra loro e sulle loro
esperienze di lavoro precedenti.
È necessario andare aldilà delle prescrizioni formali perché la pratica integra quello che i
manuali non dicono.
I manuali si fondano sul presupposto che macchine e guasti siano sempre prevedibili e che
pertanto le riparazioni si devono e si possono fare solo seguendo fedelmente le istruzioni
illustrate dai manuali.
Ma questo è un presupposto sbagliato, sostiene Orr, perché per i riparatori le incertezze
L’inadeguatezza dei manuali rende il
sono molte di più e crescono ogni giorno di più.
lavoro dei riparatori molto più complicato di quanto le case produttrici prevedano.
In linea teorica, di fronte ad un guasto difficile da riarare i tecnici possono risolvere il
problema sostituendo la macchina. Ma per i riparatori stessi, sostituire una macchina è
vista come ultima risorsa, l’ultima delle possibilità, perché costituirebbe una sconfitta della
loro abilità di fronte al cliente e un’ammissione di incapacità di fronte ai propri colleghi e alla
ditta per cui lavorano.
Va inoltre tenuto presente che il lavoro dei riparatori on consiste solo nell’aggiustare le
macchina ma anche nel mantenere e sviluppare le relazioni sociali tanto con i clienti quanto
con i colleghi.
Quindi, qual è la chiave? Come avviene tutto questo? Attraverso lo storytelling.
Il riparatore si avvale dello storytelling, ovvero la narrazione dei problemi incontrati
nell’aggiustare la macchina (sia con i clienti che con i colleghi).
La comunità di pratiche è una forma orizzontale del lavoro.
Orr dice che i manuali spiegano che cosa non funziona ma non spiegano il perché. I
riparatori, invece, sono soprattutto interessati a capire il perché, a capire le cause dei
guasti.
DOMANDE E RISPOSTE DI ESAME CULTURE ORGANIZZATIVE
1. Che cos’è un’organizzazione? Rispondi partendo dalla storia di Laura
Un'organizzazione è un insieme di due o più persone che si coordinano e collaborano fra di
loro per raggiungere uno scopo, un fine preciso e condiviso (quindi, non è l’organizzazione ad
avere degli scopi, ma le persone all’interno della stessa. Infatti, attribuendo lo