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2.1 MOTIVI FISICI DELLA DISTRIBUZIONE DISUNIFORME DI ENERGIA TERMICA: TETTONICA A PLACCHE
Il modello più accreditato è quello della tettonica a
placche. In esso si riconoscono:
La litosfera (crosta+mantello), cioè l’involucro
esterno del globo, un corpo rigido di spessore
compreso fra gli 80 km e i 200 km;
Astenosfera, cioè la parte superiore del mantello,
sottostante la litosfera. Si tratta di un corpo meno
rigido dal comportamento più plastico, ossia di fatto
comportandosi da fluido molto viscoso. A causa
delle differenze di temperatura presenti tra le diverse
parti dell’astenosfera, si generano moti convettivi
sostenuti dal calore di decadimento di isotopi
radioattivi in aggiunta a quello derivante dalle parti più profonde. Il materiale profondo più caldo e meno denso risale
mentre quello superficiale, più freddo e più denso, scende per riscaldarsi e risalire di nuovo generando tali moti, che nel
tempo hanno portato ad una frattura della litosfera creando le dorsali.
Oltre alle dorsali, esistono le zone di subduzione, in cui una parte di litosfera è assorbita da un’altra parte, generando
formazioni ad esempio vulcaniche. Tali spaccature sono le zone attive da cui fuoriesce il magma. Esiste quindi una stretta
relazione tra la tettonica delle placche e la distribuzione nel mondo delle risorse geotermiche, soprattutto quelle ad alta
temperatura, generalmente ubicate in corrispondenza dei margini delle placche stesse.
2.2 SISTEMA GEOTERMICO IDROTERMALE
Si tratta di sistema convettivo situato a profondità non estreme (da poche centinaia di metri fino intorno a 2000 m) in
aree a forte anomalia termica. Consiste di una roccia serbatoio alimentata lateralmente da acque meteoriche percolanti
dalla superficie e caratterizzata internamente da circolazione delle acque per convezione; a seconda dello stato fisico
dell'acqua presente in conseguenza della pressione e della temperatura di giacimento può essere classificata come
sorgente geotermica a vapore o ad acqua dominante. Si genera così un serbatoio idrotermale da cui si preleva calore.
Questo grazie ai moti di galleggiamento in cui l’acqua meteorica, più pesante, si posiziona in fondo per poi risalire dopo
essersi riscaldata nel serbatoio (densità inferiore). Grazie alla presenza di pertugi naturali la risalita determina la nascita
delle fumarole o dei soffioni; altrimenti rimane confinata nel sottosuolo e ricercata tramite i pozzi geotermici per poter
essere sfruttata. Tali rocce impermeabili devono avere la profondità di pochi chilometri per essere raggiunte dalla
° − °.
perforazione, potendo contare su una temperatura della risorsa tra i
Tale sistema risulta particolarmente vantaggiosa perché ha il vantaggio innegabile di portare il calore endogeno in
superficie, grazie ad un vettore a base d’acqua estremamente efficace rispetto alla sola conduzione.
2.3 POZZI DI ESTRAZIONE E POZZI DI REIMMISSIONE
A partire dalle zone più profonde (parte bassa del grafico) si genera un certo profilo di temperatura fino ad incrociare il
punto di ricarica del serbatoio (punto A) che rappresenta l’apertura nella quale si insinuano le acque meteoriche. Qui si
riscaldano (punto B), incrementando istantaneamente la temperatura nel momento del contatto col serbatoio
idrotermale (punto C) il quale ne determina la risalita per l’effetto di galleggiamento. La conseguenza è giungere al
punto di scarico (punto E). Per quanto riguarda la parte tratteggiata, questa definisce il profilo di temperatura del magma
sottostante che, per conduzione, permette un trasferimento di calore alla risorsa. Questo profilo viene definito da analisi
e calcoli geologici molto precisi. Grazie a tale trasferimento di calore, come abbiamo detto, la risorsa risale verso la
superficie (tratto C-D) ed è la pressione a determinare lo stato termodinamico del fluido; la pressione idrostatica, cioè
quella determinata dal fluido soprastante. Man mano che la colonna sale, il fluido sente sempre meno pressione fino a
quando inizia l’ebollizione (punto D) considerando che la temperatura in tale tratto è rimasta pressocchè costante. In
tale punto la pressione è pari a quella di saturazione. Da lì in poi si fa uso della curva di Clapeyron (curva 1) che lega
pressione alla temperatura di ebollizione. Questo meccanismo è definito dal cosiddetto modello di ebollizione per
profondità. − ℎ,
La risalita di fluido, su un piano termodinamico si
visualizza tramite un abbassamento di pressione
passando da profondità maggiori alla superficie. Ad un
certo punto la trasformazione incontra la curva limite
inferiore (inizio evaporazione) da cui si inizia a seguire la
linea di Clapeyron che lega pressione di saturazione con
temperatura di saturazione.
Il gradiente di pressione ad una generica profondità è dato da: gradiente idrostatico + gradiente dinamico causato dal
flusso ascendente. Nella maggior parte dei casi, il secondo è al disotto del 10% del primo e può essere anche molto
minore di tale livello. Trascurando quindi il gradiente dinamico, una buona approssimazione del BDP si può ottenere da:
= ∗
Il profilo di pressione del BDP è quindi quello di una colonna statica d’acqua la cui temperatura è, in ogni punto, quella
di saturazione corrispondente alla pressione locale. Il BDP è, cioè, una colonna statica di liquido che si trova in
condizioni di ebollizione in ogni punto.
La classificazione tradizionale delle risorse geotermiche è:
Alta entalpia, per temperature del serbatoio > 150°C in cui il fluido può essere acqua o vapore ed il cui utilizzo
è solitamente quello di generazione di potenza elettrica tramite impianti a vapore secco, singolo/doppio flash
oppure per uso diretto;
Media entalpia, per temperature del serbatoio tra 90°-150°C in cui il fluido è solitamente acqua per gli stessi
usi della tipologia precedente tramite impianti a ciclo binario, scambiatori/pompe di calore;
Bassa entalpia, per temperature del serbatoio < 90°C in cui il fluido è solitamente acqua e utilizzato per uso
diretto tramite scambiatori/pompe di calore.
2.4 L’ESPLORAZIONE GEOTERMICA
Sostanzialmente consta di 3 differenti fasi:
Fasi di riconoscimento, che consistono nell’ispezione superficiale di una zona (solitamente nell’ordine dei
2
1000 ) nel giro di 2-5 anni;
2
100
Progetto esplorativo, che riducono il raggio ai nel giro di 1-2 anni il cui scopo è definire la risorsa, la
sua potenzialità e il possibile costo;
2
10
Progetto di sviluppo, nell’ordine dei per circa 2-3 anni tramite indagini geofisiche 3D, esplorazione di
pozzi e modello della risorsa.
2.4.1 FASE DI RICONOSCIMENTO
Si fanno rilievi in loco per studiare la superficie e captarne la potenzialità. Si tratta di uno studio di massima che non
consente di prevedere la potenzialità di un futuro impianto, ma solamente ci permette di avere un’idea generale.
2.4.2 STUDIO DI PREFATTIBILITÀ
Mira a creare uno schema concettuale, ovvero un modello semplificato, delle caratteristiche geometriche, strutturali,
termiche e fluidodinamiche del sistema geotermico. Il modello iniziale viene poi affinato tramite le informazioni relative
alla risorsa che via via vengono reperite. Tali informazioni provengono da diverse tecniche esplorative:
Rilievi geologici e idrogeologici;
Rilievi geochimici;
Rilievi geofisici. Rilievi geochimici
Nel caso dei rilievi geofisici si hanno diverse tecniche di esplorazione:
Come possibili risultati di queste tecniche si hanno delle sezioni interne della crosta terrestre in cui si visualizzano le
linee sismiche in cui superiormente si hanno le rocce impermeabili, più in basso l’eventuale presenza dello strato
permeabile (serbatoio) e un ultimo strato di roccia impermeabile che la circonda. In più si definiscono i possibili interventi
(con la direzionalità di intervento) di perforazione per giungere allo specifico serbatoio idrotermale.
Sempre all’interno dei rilievi geofisici rientrano:
2.4.3 IMPIANTO DI PERFORAZIONE DEL POZZO
A questo punto si può passare alla perforazione del pozzo tramite un impianto di perforazione, precedentemente
cementato per renderlo stabile ed impermeabile. Le parti principali sono:
Mast e sottostruttura: strutture che sostengono il peso di tutta l’attrezzatura utilizzata nella perforazione:
collare e tubo della trivella, guaine ecc.
Organi di sollevamento: Argano, gancio, taglia mobile, taglia fissa, testa d’iniezione, cavo di perforazione.
Organi per la rotazione: tavola rotary o top drive, asta motrice, tubo di trivella (drill pipe), collare di trivella e
scalpelli. La tavola rotary riceve il movimento per la rotazione dall’argano e lo trasmette, attraverso l’asta
motrice, a tutta la batteria di perforazione.
Circuito del fango: vasche metalliche per la preparazione e l’immagazzinamento del fluido di perforazione,
pompa ad alta pressione, apparecchiature per il trattamento del fluido che esce dal pozzo: vibrovagli, torre di
raffreddamento, desabbiatore ecc.
Generatori: gruppi motori/alternatori che forniscono l’energia elettrica alle varie utenze dell’impianto.
2.4.4 ARGANO
Il componente principale del sistema di sollevamento dell’impianto è l’argano. È posizionato sul piano sonda ed è
azionato da motori elettrici o Diesel. È composto da un cambio a vari rapporti, da frizioni, da un doppio freno a nastro e
da un freno elettromagnetico o idraulico. Le principali funzioni dell’argano sono:
Fornire la potenza di trazione e l’azione frenante al cavo principale;
Comunicare il moto alla tavola rotante.
2.4.5 TAVOLA ROTANTE
È installata nella parte alta della sottostruttura ed è azionata dall’argano. Trasmette il moto di rotazione allo scalpello
tramite il trascinatore, l’asta motrice e le aste. Supporta anche il peso di tutta la batteria di perforazione e del casing
durante le manovre.
2.4.6 GENERATORI
Le utenze di un impianto di perforazione Diesel – elettrico sono alimentate da gruppi elettrogeni insonorizzati. L’energia
è distribuita tramite una cabina di controllo, conversione e trasformazione alle utenze da 600 V in CC e 380 V in CA.
2.4.7 FLUIDO
Il fluido (in modo da facilitare la perforazione e diminuire attriti e usura dei materiali) di perforazione viene pompato
all’interno delle aste attraverso la testa d’iniezione e fuoriesce dallo scalpello mediante particolari ugelli; quindi,
risalendo dall’intercapedine foro – aste, trasporta il detrito fino in superficie, dal quale viene separato mediante i
vibrovagli,