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I reflui civili, trattati o non trattati, costituiscono una fonte primaria di carico organico. In Italia, la
normativa prevede che tutti gli scarichi domestici siano convogliati verso un sistema di trattamento, ma
in molte aree rurali persistono abitazioni non collegate alla rete fognaria. In questi casi si utilizzano
sistemi di trattamento individuale, come fosse biologiche o fosse Imhoff. Le fosse biologiche, o fosse
settiche, operano una separazione dei solidi e una parziale digestione anaerobica dei fanghi. Tuttavia,
l’efficienza di rimozione della sostanza organica è limitata, e spesso il refluo in uscita viene smaltito in
dispersione nel suolo tramite subirrigazione. Le fosse Imhoff, invece, consentono una maggiore
separazione tra la sedimentazione e la digestione anaerobica, ma anch’esse non rappresentano un
trattamento completo. Pertanto, i reflui così trattati costituiscono comunque un carico inquinante per il
suolo e le acque sotterranee.
Nei contesti urbani e periurbani, il trattamento delle acque reflue è affidato agli impianti di depurazione
centralizzati. Questi impianti sono progettati per garantire la rimozione della sostanza organica, dei solidi
sospesi, dei nutrienti e, in alcuni casi, dei microinquinanti. Il processo di trattamento si articola in varie
fasi: trattamento primario (sedimentazione), trattamento secondario (biologico), trattamento terziario
(rimozione avanzata di nutrienti e disinfezione). I fanghi prodotti dal trattamento vengono stabilizzati,
disidratati e successivamente smaltiti o riutilizzati. In alcune situazioni, i fanghi possono essere utilizzati
in agricoltura, previo rispetto di specifici requisiti normativi, ma sussistono criticità legate alla presenza
di metalli pesanti, microinquinanti organici e microplastiche.
Le acque meteoriche, soprattutto nelle aree urbanizzate, rappresentano un’ulteriore fonte di
inquinamento. Durante gli eventi di pioggia, il dilavamento delle superfici impermeabili mobilita
contaminanti accumulati tra un evento e l’altro, tra cui idrocarburi, metalli pesanti, solidi sospesi e rifiuti.
Queste acque, se convogliate direttamente nei corpi idrici senza un trattamento preliminare, possono
determinare picchi di carico inquinante con effetti acuti sugli ecosistemi. Per gestire questo problema, si
ricorre a tecniche di drenaggio urbano sostenibile (SuDS), che includono vasche di laminazione, aree di
ritenzione, trincee filtranti e pavimentazioni permeabili. Queste soluzioni favoriscono l’infiltrazione, la
ritenzione e il trattamento delle acque piovane, contribuendo a ridurre il carico inquinante e il rischio di
allagamenti.
Un ulteriore problema è rappresentato dai cosiddetti carichi “occulti” o non autorizzati, come gli scarichi
abusivi o mal funzionanti. In molte realtà, soprattutto in contesti rurali o in aree industriali dismesse,
esistono scarichi non conformi o difficili da localizzare, che continuano a immettere sostanze inquinanti
nei corpi idrici. Il controllo e la regolarizzazione di questi scarichi rappresentano una sfida importante per
le autorità competenti.
La valutazione della qualità delle acque richiede una rete di monitoraggio che tenga conto sia delle
condizioni chimiche che ecologiche. In base alla Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60/CE), lo stato di
un corpo idrico è definito sulla base di elementi quali la composizione delle comunità biologiche
(fitoplancton, macroinvertebrati, pesci), la concentrazione di sostanze inquinanti e i parametri fisico-
chimici. Il raggiungimento del “buono stato ecologico” è l’obiettivo principale delle politiche europee in
materia di acque, e impone la riduzione progressiva dei carichi inquinanti, sia puntuali che diffusi.
Infine, la pianificazione del bacino imbrifero costituisce lo strumento chiave per la gestione integrata
delle risorse idriche. I Piani di Gestione dei Distretti Idrografici, previsti dalla normativa europea,
definiscono le azioni necessarie per il miglioramento dello stato dei corpi idrici, attraverso interventi
mirati di riduzione dei carichi, riqualificazione ambientale, miglioramento della rete fognaria e
promozione di pratiche agricole sostenibili. La collaborazione tra enti pubblici, agricoltori, gestori del
servizio idrico e cittadini è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di qualità e per garantire la
tutela delle risorse idriche nel lungo periodo.
I reflui industriali si distinguono per una composizione estremamente variabile, influenzata dalle
specifiche attività produttive svolte. Un esempio emblematico è rappresentato dalle concerie, che
generano scarichi caratterizzati da un elevato contenuto di azoto e, spesso, da una salinità significativa.
Questo è dovuto al fatto che le pelli trattate arrivano salate, pratica un tempo diffusa per la
conservazione dei materiali. Attualmente, molte aziende adottano tecniche di rimozione del sale a
secco, mediante scuotimento delle pelli, riducendo così il carico salino nei reflui. Tuttavia, una parte del
sale residuo viene comunque eliminata durante i lavaggi, contribuendo alla salinità complessiva dello
scarico.
In generale, la tipologia produttiva consente di avere un'idea di massima sulle caratteristiche del refluo,
anche se è fondamentale considerare che l’industria è soggetta a continui cambiamenti dovuti
all’innovazione tecnologica. I materiali utilizzati e i processi impiegati variano nel tempo, determinando
modifiche anche nella qualità degli scarichi. Si pensi, ad esempio, al settore tessile: in passato, le
stamperie utilizzavano paste da stampa specifiche con rulli e presse meccaniche; oggi, invece, si ricorre
alla stampa digitale, che impiega inchiostri con composizioni chimiche differenti e nuovi tipi di
inquinanti, ponendo problematiche diverse per quanto riguarda il trattamento dei reflui.
Anche nel caso dei tensioattivi si osserva una costante evoluzione, mirata sia all’efficienza del prodotto
sia alla sua trattabilità negli impianti di depurazione. Il trattamento delle acque reflue rappresenta un
costo per le aziende, al pari dell’energia. Per questo motivo, molte imprese hanno adottato tensioattivi
che funzionano a temperature inferiori rispetto al passato, consentendo un risparmio energetico.
Una voce che ha perso progressivamente rilevanza è quella relativa al raffreddamento. In passato, infatti,
molte industrie utilizzavano sistemi di raffreddamento a perdere. Le aziende venivano spesso localizzate
vicino a corpi idrici proprio perché l’acqua era essenziale non solo per i processi produttivi ma anche per
il raffreddamento dei macchinari e per i lavaggi. In assenza di regolamentazioni, l’acqua impiegata veniva
poi scaricata direttamente, in circuiti aperti. La prima normativa significativa in materia risale al 1976 e
prevedeva, tra gli altri parametri, un limite alla variazione di temperatura dell’acqua a valle dello scarico,
poiché gli scarichi di acqua calda potevano provocare impatti ambientali rilevanti, ad esempio per la
fauna ittica. Il limite stabilito, seppur da verificare nei dettagli, si aggirava intorno a due gradi in un breve
tratto di fiume.
Fino a pochi decenni fa, non era nemmeno obbligatorio installare un contatore dell’acqua per le aziende.
Solo con l’entrata in vigore della legge Galli del 1987 si introdusse una nuova logica nella gestione della
risorsa idrica, legata anche alla tarifazione. Da quel momento, l’acqua ha iniziato a essere pagata,
portando a una maggiore attenzione nell’utilizzo. In parallelo, la crisi energetica e l’aumento dei costi
dell’energia hanno spinto molte imprese ad abbandonare gli scarichi di acqua calda. Oggi, salvo
eccezioni come le acciaierie o altri impianti energivori che utilizzano torri di raffreddamento, i circuiti di
raffreddamento sono generalmente chiusi e l’energia termica viene recuperata attraverso scambiatori di
calore.
Oltre alle acque di processo, le aziende generano anche acque di servizio, legate alla presenza del
personale. Queste includono i reflui provenienti dai servizi igienici e, in alcuni casi, dai servizi mensa.
Sebbene tali reflui siano proporzionalmente poco rilevanti nelle aziende di piccole dimensioni, possono
rappresentare un contributo significativo nelle imprese di grandi dimensioni.
Per quanto riguarda le quantità scaricate, identificate con la portata Q, si osserva che, nel caso delle
attività industriali, la quasi totalità dell’acqua utilizzata viene scaricata. A differenza del settore civile,
dove si considerano anche fenomeni come l’evaporazione o l’assimilazione, per l’industria si assume
generalmente un coefficiente di afflusso in fognatura del 95-100%. Questo perché, nella maggior parte
dei casi, le acque impiegate nei processi vengono effettivamente restituite all’ambiente, direttamente o
tramite fognatura. Inoltre, l’introduzione dei contatori ha reso superflue molte stime teoriche: oggi è
possibile misurare direttamente le quantità scaricate.
Non è però possibile definire in modo univoco un coefficiente di carico unitario per i reflui industriali,
data la notevole eterogeneità delle lavorazioni. I reflui industriali possono essere gestiti in diversi modi:
possono confluire nella rete fognaria urbana e quindi essere trattati in un impianto di depurazione
centralizzato, oppure possono essere trattati direttamente in loco, in parte o completamente, prima di
essere scaricati o immessi in fognatura. In tutti i casi è necessario valutare il contributo in termini di
abitanti equivalenti e considerare la presenza di eventuali inquinanti specifici.
Un esempio pratico riguarda il caso della provincia di Como, dove gli impianti di depurazione sono stati
originariamente progettati per trattare gli scarichi del settore tessile. Successivamente, sono stati
allacciati anche i reflui urbani. La tarifazione delle industrie avveniva in base alla portata scaricata, al
carico organico e alla presenza di tensioattivi, che rendevano più complesso il processo di depurazione.
Un ulteriore elemento cruciale nella gestione dei reflui è rappresentato dalla tipologia delle reti fognarie.
Idealmente, si dovrebbe avere una separazione tra le acque meteoriche (acque bianche) e le acque nere
(provenienti da scarichi civili o industriali). Tuttavia, nella realtà, soprattutto nei centri urbani più antichi,
la maggior parte delle reti è di tipo unitario o combinato: ciò significa che nella stessa condotta
confluiscono sia le acque piovane che quelle reflue.
Nella rete separata, le acque bianche dovrebbero seguire un proprio percorso, talvolta passando
attraverso una vasca di prima pioggia che ha la funzione di attenuare i picchi di portata e di favorire la
sedimentazione iniziale. Tali acque vengono poi scaricate direttamente nel corpo ricettore. Le acque
nere, invece, dovrebbero avere una portata costante e confluire regolarmente all’impianto di
depurazione. Tuttavia, i