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La qualità dell’acqua e l’idrochimica

La qualità delle acque interne è determinata da parametri fisici, chimici e biologici. Dal

punto di vista chimico, l’idrochimica studia la composizione delle acque e le

trasformazioni che essa subisce in relazione all’interazione con l’atmosfera, il suolo, le

rocce e le attività antropiche.

Le acque naturali contengono vari soluti disciolti, come bicarbonati, solfati, cloruri,

sodio, calcio, magnesio, potassio e silice, derivanti dall’alterazione chimica delle rocce

(processi di dissoluzione, idrolisi, ossidazione, ecc.). Le acque superficiali sono

generalmente più ricche di ossigeno disciolto grazie allo scambio con l’atmosfera e alla

fotosintesi delle alghe, mentre le acque sotterranee tendono ad avere una

composizione più stabile, ma anche più povera di ossigeno e più ricca di soluti,

soprattutto se restano a lungo in contatto con le rocce.

Inoltre, l’attività umana ha un impatto rilevante sulla composizione delle acque.

L’agricoltura è una delle principali fonti di inquinamento diffuso, per via dell’uso di

fertilizzanti azotati e fosfatici, erbicidi e pesticidi. Le acque possono quindi contenere

nitrati, fosfati, residui chimici e metalli pesanti. Le attività industriali e urbane possono

immettere sostanze tossiche, detergenti, solventi, idrocarburi e rifiuti organici. Questi

elementi alterano la qualità dell’acqua, rendendola potenzialmente nociva per gli

ecosistemi e per l’uomo.

Tra i parametri utilizzati per valutare la qualità dell’acqua ci sono il pH, la conducibilità

elettrica (che riflette il contenuto salino), la durezza, la concentrazione di nutrienti

(azoto e fosforo), la presenza di metalli pesanti (come piombo, cadmio, mercurio) e la

carica batterica (coliformi, enterococchi, ecc.). I limiti di legge sono fissati in base

all’uso dell’acqua: potabile, per irrigazione, per uso industriale, per la balneazione, ecc.

Impatto ambientale e protezione delle risorse idriche

Le acque interne sono fortemente influenzate dalle attività umane e rappresentano un

indicatore sensibile dello stato dell’ambiente. L’inquinamento, l’eccessivo prelievo,

l’impermeabilizzazione del suolo e il cambiamento climatico compromettono la

disponibilità e la qualità delle risorse idriche.

L’inquinamento può essere puntuale, come quello derivante da uno scarico industriale

o da un impianto di depurazione, oppure diffuso, come quello agricolo. Le sostanze

inquinanti possono accumularsi nei sedimenti e nei tessuti degli organismi acquatici,

entrando nella catena alimentare e provocando effetti cronici anche a basse

concentrazioni.

L’eccessivo prelievo, specialmente dalle falde, può provocare abbassamenti

piezometrici, subsidenza (abbassamento del terreno) e intrusione salina nelle aree

costiere. Inoltre, la riduzione della portata dei fiumi e dei laghi può compromettere

l’habitat di specie acquatiche, aumentare la concentrazione di inquinanti e ridurre la

capacità autodepurativa del corpo idrico.

Per contrastare questi fenomeni, sono necessarie politiche integrate e strumenti di

pianificazione. In Europa, la Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60/CE) stabilisce

l’obiettivo di raggiungere il buono stato ecologico e chimico di tutte le acque interne e

costiere, promuovendo una gestione per bacino idrografico e la partecipazione attiva

delle comunità.

Le misure di protezione includono il monitoraggio della qualità delle acque, la

regolazione degli scarichi, il trattamento delle acque reflue, la promozione di pratiche

agricole sostenibili, la tutela delle zone umide e la salvaguardia delle aree di ricarica

delle falde. Inoltre, l’uso efficiente dell’acqua e il riutilizzo delle acque reflue trattate

rappresentano strategie fondamentali per ridurre la pressione sulle risorse.

Le acque interne, superficiali e sotterranee, sono risorse essenziali da tutelare in

quanto svolgono ruoli vitali negli ecosistemi, nell'economia e nella vita quotidiana. Una

conoscenza approfondita del funzionamento dei bacini idrografici e idrogeologici, del

bilancio idrico e dell’idrochimica è indispensabile per comprendere i processi naturali

e antropici che influenzano la disponibilità e la qualità dell’acqua. Solo attraverso un

approccio integrato, che tenga conto delle interazioni tra ambiente, società ed

economia, è possibile garantire una gestione sostenibile delle risorse idriche per le

generazioni presenti e future.

Nell’ambito della tutela e del risanamento dei corpi idrici inquinati, della gestione

territoriale e della pianificazione del bilancio idrico, la normativa prevede la redazione

dei cosiddetti piani di bilancio idrico. Questi strumenti, subordinati ai Piani Territoriali di

Coordinamento Provinciale (PTCP), rappresentano veri e propri strumenti di governo

del territorio. La loro funzione principale consiste nell’indicare i criteri e le modalità

secondo cui l’acqua può essere prelevata o destinata a specifici usi, tenendo conto di

parametri fondamentali quali i coefficienti di deflusso naturale, la disponibilità della

risorsa e la destinazione d’uso.

La pianificazione del bilancio idrico assume particolare rilevanza anche nella gestione

agricola. Ad esempio, laddove si voglia destinare un suolo a colture intensive, è

necessario considerare anche eventi di piena relativamente frequenti, con tempi di

ritorno brevi (es. 6-7 anni), perché anche allagamenti modesti possono arrecare danni

significativi, dato l’alto valore economico delle colture stesse. Al contrario, per le

colture estensive, si può tollerare una frequenza maggiore di questi eventi e

preoccupazioni maggiori sono riservate a eventi di piena più estremi. Similmente, in

aree scarsamente popolate si può ragionare su eventi con tempi di ritorno di 100-200

anni, mentre nelle grandi aree urbane si adottano misure di protezione anche rispetto a

eventi con tempo di ritorno di 10.000 anni. Sebbene tali fenomeni siano rarissimi, il

principio guida resta la massima tutela in funzione del potenziale danno.

Un concetto centrale per la gestione idrica è quello della portata di un corso d’acqua,

definita come il volume d’acqua che attraversa una sezione in una determinata unità di

tempo. Generalmente indicata con la lettera Q, essa viene espressa in metri cubi al

secondo (m³/s). Ogni corso d’acqua presenta una portata variabile, influenzata sia

dalla stagionalità che dagli eventi meteorologici e antropici. In particolare, nelle aree ad

alta antropizzazione, i regimi idrologici originari risultano pesantemente alterati. Un

tempo, la distinzione tra fiumi e torrenti era netta: i primi erano caratterizzati da una

portata permanente, i secondi da una portata intermittente. Oggi, a causa della

presenza di reti fognarie e impianti di depurazione che scaricano in modo continuo nei

corpi idrici, anche molti torrenti presentano una portata costante nel tempo.

Questa alterazione è particolarmente evidente in corsi d’acqua come il Seveso, il

Lambro o l’Olona. Qui, la portata annuale è principalmente costituita dagli scarichi

degli impianti di depurazione, i quali forniscono un apporto continuo, sebbene con un

carico inquinante ridotto rispetto agli scarichi originari (circa il 10%). Tuttavia, tale

apporto continuo non è paragonabile all’acqua naturale di un fiume e altera

significativamente le caratteristiche ecologiche del corpo idrico.

Un indicatore utile per descrivere l’andamento annuale della portata è la curva di

durata. Essa rappresenta, per ciascun valore di portata, il numero di giorni all’anno in

cui tale valore è stato eguagliato o superato. Questo strumento consente di

comprendere la frequenza e la variabilità dei flussi idrici. Per esempio, analizzando la

curva del torrente Lura (tra Como e Varese), si osserva che per pochissimi giorni

all’anno si verificano picchi di portata anche di 4-5 m³/s, mentre per la maggior parte

dell’anno la portata rimane bassa e stabile, corrispondente agli scarichi costanti degli

impianti di depurazione.

Questo andamento ha implicazioni importanti per la gestione del territorio, poiché la

presenza di picchi improvvisi può causare esondazioni in aree non preparate ad

assorbire elevati volumi d’acqua. In alcune aree, come nel caso del Seveso, sono state

realizzate vasche di laminazione per attenuare questi effetti. Le curve di durata, che

variano in funzione delle caratteristiche del bacino, del clima e dell’uso del suolo,

evidenziano come non sia sufficiente ragionare su valori medi: è fondamentale

comprendere la distribuzione temporale delle portate.

La gestione sostenibile dei corsi d’acqua implica anche la tutela degli ecosistemi

acquatici, garantita attraverso l’applicazione del concetto di deflusso minimo vitale o

deflusso ecologico. Si tratta della portata minima necessaria per mantenere

l’equilibrio dell’ecosistema fluviale, assicurando la sopravvivenza degli organismi

acquatici. La definizione e il rispetto di questo parametro sono essenziali, soprattutto in

sede di concessione per prelievi o scarichi.

I regimi idrologici rappresentano un ulteriore elemento chiave nell’analisi del bilancio

idrico. In passato, essi venivano distinti su base geografica, ad esempio tra le aree

alpine e quelle appenniniche. Oggi si tende ad approfondire maggiormente,

considerando anche la permeabilità dei suoli e l’andamento climatico. In generale, si

individuano diverse categorie: regimi glaciali, nivo-pluviali, pluviali, di risorgiva e

numerosi regimi misti.

Nel regime glaciale, la componente dominante è il ghiaccio permanente, che copre

oltre il 20% della superficie del bacino. In questi contesti, le precipitazioni invernali,

prevalentemente nevose, si trasformano in ghiaccio, che rimane immagazzinato fino

alla stagione estiva, quando si verifica il deflusso principale attraverso lo scioglimento.

Questo provoca uno scollamento temporale tra afflussi e deflussi, con un ritardo che

ha importanti conseguenze gestionali. Ad esempio, nelle località turistiche montane, il

massimo afflusso turistico coincide con il periodo di minima portata (inverno), quando

l’acqua immagazzinata è ancora sotto forma di ghiaccio. In tali condizioni, il carico

inquinante derivante dalle attività umane viene scarsamente diluito, causando

concentrazioni elevate e potenziali impatti ambientali significativi.

Nel regime nivo-pluviale, tipico delle zone alpine senza ghiacciai estesi, si verifica un

deflusso marcato in primavera per effetto della fusione della neve, a cui si somma il

contributo delle piogge. In estate e autunno, invece, il deflusso è quasi esclusivamente

Dettagli
A.A. 2024-2025
6 pagine
SSD Scienze biologiche BIO/07 Ecologia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher leonardoflorio di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Ecologia applicata e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Mezzanotte Valeria Federica Maria.