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Filosofia: Erasmo da Roterdam (Elogio della follia), Michael Foucault (Storia della follia);
Italiano: Luigi Pirandello;
Latino: Seneca (follia di Medea);
Inglese: Virgina Woolf (Mrs Dalloway);
Geografia astronomica: i buchi neri;
Fisica: Albert Einstein (la curvatura dello spazio);
Storia: Adolf Hitler;
St. arte: Edvard Munch (L'urlo);
Italiano: Albert Einstein, Sigmund Freud (scambio di lettere).
Einstein: la curvatura I Buchi neri
Michel Foucault: dello spazio Il doping:
Storia della follia Follia distruttrice
La guerra, la più pazza
forma di conflitto: Distruzione
Storia lettere Einstein - Freud
della Seneca:
Follia Medea
Erasmo da Rotterdam:
Elogio della Follia Adolf Hitler e la follia
FOLLIA del popolo tedesco
Virginia Woolf: Luigi Pirandello:
Creatività o
Mrs Dalloway Enrico IV
via d’uscita
Edvard Munch:
L’urlo 4
Erasmo da Rotterdam: Elogio
della follia
Quando si parla di follia l’opera che subito balza alla memoria è l’“ Elogio della Follia ” pubblicato con dedica
a T. Moro nel 1511 da Erasmo da Rotterdam
, celebre umanista olandese nato nel 1466 e diventato per il suo
originalissimo modo di pensare e di scrivere il principale rappresentante del periodo storico che abbraccia
Umanesimo e Rinascimento. L’Elogio rappresenta una esaltazione allegorica della figura della Follia,
rappresentata come dea. Erasmo servendosi delle dolci parole della dea, pone in discussione tutto un mondo
ed un sistema di vita; in particolare, il libro si presenta come una satira dell’immoralità del clero e come
l’elogio della follia del vero cristiano che impronta la sua vita sulla fede.
In tutta la narrazione Erasmo ritiene che la follia sia la dominatrice dell’intera civiltà con le sue leggi e le sue
usanze . Una follia che con le sue ali circonda ed abbraccia ogni genere di persona, umili e potenti, ignoranti e
sapienti; una dea che nella sua schiettezza rappresenta tutti gli umani errori e tutte le umane debolezze.
L’intenzione dell’autore è rovesciare le illusioni prodotte dalla vanagloria umana in forme più consistenti di
vita autentica, pur mantenendo in piedi il gioco linguistico paradossale di dichiarare contraria la verità.
Attraverso una critica caustica - ma al contempo ironica e divertita - Erasmo ridefinisce l'idea di saggezza
connettendola dialetticamente al suo opposto, e ci conduce, tramite una sorta di percorso iniziatico, alla
scoperta dell'impossibilità di separare la follia dall'essenza dell'uomo.
"E non a caso i folli sono sempre stati tanto cari al Signore" conclude E. dopo aver sferrato un duro attacco al
malcostume dei potenti, riproponendo il messaggio evangelico nella sua purezza, autenticità e forza morale.
La narrazione si svolge in un contesto caratterizzato da una sempre-presente, più o meno velata, ironia ,
attraverso la quale Erasmo si può esprimere liberamente prendendosi gioco di molti tra i concetti e i
pregiudizi dell’epoca. Ed è proprio grazie ad essa che egli può dichiarare che il vero saggio non è il re, il
generale o l’attento conoscitore della filosofia ma il giullare, il buffone di corte e il poeta che si divertono a
suscitare buon sangue negli astanti.
A lungo andare la saggezza seriosa e austera diventa noiosa, mentre la follia scatena sempre e ovunque ilarità
proprio perché attinge a risorse sorprendenti di buon umore, di vanità e di arguzia che dimostrano l’istinto di
felicità della natura umana e riescono a far vivere l’uomo senza maschere e a far mostrare la propria, vera,
viva personalità. In definitiva, l’Elogio della follia, l'opera più amata e discussa di Erasmo da Rotterdam,
l’opera più importante del ‘500 (oltre sessanta ristampe in meno di un secolo ne provano il valore) al di là del
suo aspetto di scherzo giocoso o di paradosso intellettuale, costituisce un attento appello etico di grande
vigore e attualità.
“ Che t’importa che tutti ti fischiano se tu stesso ti applaudi? E questo può avvenire solo grazie alla follia .”
Michel Foucault: Storia della follia
Breve presentazione dell'opera :
Storia della Follia nell’Età Classica , pubblicato per la prima volta nel 1972, è la prima grande opera di
Michel Foucault (Poitiers 1926 – Parigi 1984), e si inserisce all’interno dell’analisi storica spregiudicata e
radicale dell’autore. In essa la nascita della razionalità moderna, tra Rinascimento e Seicento, non segna
l’avvento di una più larga tolleranza, ma sorge piuttosto dalla violenta segregazione della follia, che da divina
mania, quale era nell’antichità e quale era ancora nel Medioevo, viene segregata come patologia. La
trasformazione della ragione in razionalità strumentale o volontà di dominio non va inteso però come una
deviazione rispetto alla sua funzione fondamentale, bensì come l’esito necessario del mutamento dei tempi.
La follia nel Medioevo e nell’Età Classica
Secondo Foucault, è a partire dalla scomparsa della lebbra in Europa che, anche se ancora a livello inconscio,
l’esperienza dell’isolamento della follia e dell’internamento cominciano a farsi strada nella mentalità
medioevale, fino all’esplosione che avranno nell’Età Classica. Gli ospedali e gli edifici sanitari che erano
destinati ad ospitare i malati di lebbra si riveleranno allora i luoghi più adatti per quell’esperienza
correzionaria di isolamento e prigionia che contraddistinguerà la follia nel XVII secolo.
Ma nel Medioevo la concezione di follia era ancora inserita nell’antica contrapposizione Bene/Male come
parte inscindibile dell’umana tragicità, e sebbene già sulla via dell’alienazione e della punizione, il folle era
largamente ammesso nella società come parte costitutiva di essa. L’isolamento non gli precludeva un ruolo
sociale e simbolico che l’arte e la cultura dell’epoca non mancheranno di concedergli. Nel Medioevo il folle è
un personaggio, oggetto di rappresentazione artistica e di allegoria, stereotipo dell’insensatezza della
condizione umana e ricettacolo delle paure dei propri contemporanei.
Il campo in cui più la figura del folle ebbe successo fu sicuramente la pittura. Ad
esempio un quadro fondamentale attorno a cui Foucault fa ruotare la propria
interpretazione dell’esperienza medioevale della follia, analizzandone i significati
impliciti è la “ Nave dei Folli ”. Nel dipinto di Bosch il folle è in tutto e per tutto
stereotipo della sregolatezza e dell’insensatezza della condizione umana,
protagonista di un viaggio insulso alla volta del nulla, o forse del sapere universale.
La navigazione è al contempo simbolo dell’isolamento e della purificazione,
preludio dell’internamento e rito misterioso che riconduce ad antiche magie e
cabale che nel Medioevo affiancavano spesso l’immagine del folle.
Al fianco del viaggio verso l’ignoto, nella rappresentazione della follia di Bosch troviamo anche la tendenza a
raffigurare animali fantastici ed il più delle volte mostruosi, uomini dai visi deformi e dagli arti mutilati, ed
una serie di altre visioni sconcertanti in cui sono sfogate le paure inconsce della società sua contemporanea.
Le figure fantastiche diventano allegoria delle incertezze umane, dell’incapacità di rispondere alle domande
della vita, anche se a volte sono semplicemente sfruttate per la satira sociale o per l’esaltazione del mondo
carnevalesco. La complementarità della follia con la ragione si ritrova nella distinzione che veniva fatta, a
partire da Erasmo, di due tipi di follia: da una parte una " folle follia ", che rifiuta la follia caratteristica della
ragione e rifiutandola la raddoppia, cadendo nella più semplice, chiusa ed immediata delle follie; d’altra parte
una "
saggia follia " che accoglie la follia della ragione, la ascolta e la lascia penetrare nei propri pensieri: così
facendo si difende dalla follia più di quanto possa fare l’ostinazione di un rifiuto sempre sconfitto in partenza.
E’ con l’avvento dell’ Età Classica e con le riflessioni di Cartesio e di Montaigne che l’orizzonte medioevale
della follia comincia a restringersi, e l’autorità del pensiero prevale sull’interpretazione allegorica della follia.
La follia comincia ad allontanarsi dalla comunità, e ben presto i privilegi culturali ed il potere di suggestione
del folle lasceranno spazio alla sua visione come minaccia, o semplicemente come individuo superfluo da
allontanare e rimuovere dalla coscienza sociale.
Le strutture lasciate libere dai lebbrosi rivelano finalmente la loro utilità nell’accogliere una vasta umanità di
individui respinti dalla città, diventando ospedali ed al contempo carceri per individui di ogni tipo ed
estrazione sociale.
Emblema delle nuove strutture dedicate all’isolamento è l’ Hopital General di Parigi , fondato nel 1656,
definito da Foucault " il terzo stato della repressione ". Si tratta appunto di uno dei primi ospedali destinati ad
accogliere e "correggere" i folli e gli alienati. Fin dall’inizio, però, è evidente che non si tratta di
un’istituzione medica, ma di una sorta di entità amministrativa dotata di poteri autonomi, che ha diritto di
giudicare senza appello e di applicare le sue leggi. I malati sono trattati senza rispetto per le condizioni in cui
versano e tutta l’organizzazione ricorda molto da vicino quella di un carcere. E’ qui che nasce davvero
l’esperienza dell’ internamento , destinata ad essere emblema di tutto il modo di pensare e di reagire alla follia
durante l’Età Classica. Ben presto le case di correzione cominceranno a diffondersi dappertutto, in Francia ed
in Europa, e a diventare strumento del potere, che non esiterà a ricorrere ad arbitrarie misure d’internamento:
nell’arco di breve tempo un parigino su cento vi si troverà rinchiuso.
Un’altra grande caratteristica dell’età Classica fu trovare nell’espiazione del lavoro una solida giustificazione
alla costruzione delle case d’internamento. Mentre nel Medioevo la sensibilità verso il folle era legata a
trascendenze immaginarie, ora il folle è giudicato secondo l’etica dell’ozio, ed in virtù della sua inutilità
sociale viene condannato ed escluso, insieme ai poveri, ai malati ed ai criminali. Dunque l’Età Classica
diventa il momento in cui la follia è percepita nell’orizzonte sociale della povertà, dell’incapacità al lavoro,
dell’impossibilità di integrarsi; è il momento in cui essa comincia a far parte dei problemi dell’ordinamento
civile. Viene tracciata una linea di demarcazione tra spazio sociale e follia e a quest’ultima si riserva una zona
neutrale dove potersi manifestare all’oscuro di tutti, negandole così la libertà.
L’Età Classica, quindi, ha neutralizzato in un colpo solo e con efficacia sicurissima, tanto più sicura quanto
più cieca, coloro che noi normalmente distribuiamo nelle prigioni, nelle case di correzione, negli ospedali
psichiatrici o negli studi degli psicoanalisti. Il mondo degli internati era costituito da ogni sorta di personalità,
ed entrando in uno qualunque dei numerosissimi edifici dedicati all’alienazione si potevano incontrare folli,
criminali, dissidenti politici fra le varie migliaia di persone che vi erano rinchiuse.
Nell’internamento non ci si chiede se ad essere colpita è la ragione: ogni forma sociale che si scontra contro la
lucida razionalità seicentesca viene imprigionata (addirittura i sifilitici, in virtù dell’oscurità della loro
malattia venivano ammessi all’Hopital General). Il folle torna così ad essere personaggio, ma non si tratta più
dei personaggi che popolavano la Nave dei Folli, che erano tipi morali come il ghiottone, il sensuale,
l’orgoglioso. " A partire dal XVII secolo l’uomo di sragione è un personaggio concreto, tratto da un mondo
sociale reale, giudicato e condannato dalla società… la follia è stata bruscamente investita da un mondo
sociale nel quale essa trova il suo luogo privilegiato ed esclusivo di apparizione; le è stato attribuito un
territorio limitato dove ognuno può riconoscerla e denunciarla ".
Nell’Età Classica l’analisi etica dell’uomo contrappone fortemente la ragione alla sragione, escludendo e
condannando irrimediabilmente quest’ultima, e compiendo così la più grande delle follie: pretendere di poter
Analizzando i libri dell’internamento ci si accorge che una delle parole più usate per caratterizzare il folle era
quella di "
furioso ”. "
Nell’internamento esso fa allusione a tutte le forme di violenza che sfuggono alla