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Ερος e Θανατος

Ερος e Θανατος, amore e morte sono state Una delle tematiche più affrontate nella storia della

civiltà umana. Dai loro primi esordi come caratteristiche della vita dell’uomo, esterne e dipendenti

da forze ad essa contrastanti, sono arrivate all’inizio del secolo scorso ad essere riconosciute come

parti integranti della natura umana.

È, infatti, con il creatore della psicanalisi che si ha la definitiva compenetrazione delle forze

dell’eros e del thanatos nella nostra vita. Sigmund Freud si accorse che la nostra psiche era

governata da due forze tra loro opposte: identificò l’Ερος o istinto di vita nell’amore nella creatività

e nella costruttività, mentre il Τθανατος, quello di morte, nell’odio e nella distruzione. Queste due

pulsioni sono presenti contemporaneamente nell’uomo ma non si manifestano mai insieme.

L’istinto distruttivo è il più potente. Tant’è che l’uomo viene definito dallo stesso Freud come

homini lupus, un uomo caratterizzato da una “crudele aggressività” che lo porta a rivelarsi come

‹‹una bestia selvaggia, alla quale è estraneo il rispetto della propria specie›› (S. Freud Il disagio

della civiltà, 1929). Per questa stessa ostilità tra gli uomini la società viene continuamente

minacciata di essere distrutta, e all’interno di essa l’uomo lascia cadere quelle speranze e quella

fiducia che aveva in gioventù affidato al suo prossimo, per far spazio a quella che è invece la vita

resa dura e talvolta disumana dalla loro malevolenza. Perciò Freud condanna non la civiltà in sé ma

quelle repressioni che sono fonte e causa dei dolori e delle angosce dell’uomo.

La spiegazione della poca influenza dell’eros sulle vicende dell’uomo risale alla stessa civiltà.

L’uomo si ritrova a reprimere quelle pulsioni ritenute come vergognose e indicibili: le espressioni

dell’eros o libido. Non definiamo come libido la forza con la quale si manifestano le pure esigenze

sessuali. Questo concetto va oltre al piacere soddisfatto dal solo atto sessuale e si allarga a tutti gli

impulsi affettuosi che vengono definiti con la parola odierna di amore. Tali desideri sono in netto

contrasto con i valori e gli ideali ritenuti validi dalla coscienza dell’uomo e dalla società. La civiltà

ci induce a negare questi bisogni. E quando ciò accade entra in azione una sorta di repressione che

strappa le pulsioni e le relega nell’inconscio dove la continua censura evita che riaffiorino e si

oppongano alla giusta condotta. Naturalmente essendo parte della mente dell’uomo le pulsioni

sessuali continuano a esistere e, dopo la loro rimozione dalla coscienza, trovano posto nei sogni e

danno origine alle nevrosi. Secondo Freud ciò accade all’insaputa del soggetto che continua a

vivere incosciente delle vere cause della sua malattia e ciò perché ‹‹essi portano un pesante

mantello di menzogne per coprirsi, come se ci fosse cattivo tempo nel mondo della sessualità››.

Attraverso la “lingua del sogno” l’analista trova queste cause. Il contenuto latente del sogno è infatti

la manifestazione dei desideri inibiti e che non sono rivelati dalla coscienza. Il sonno rilassando la

coscienza permette che le pulsioni si manifestino anche se camuffate e arrivino alla coscienza.

Nella poesia classica, poche sono le volte in cui è Eros a prevalere sulla distruzione di Thanatos.

Eros motivo stesso della vita; si può quindi dire che in questi casi la censura della civiltà e della

coscienza venga sopraffatta da valori come l’amore posti al di sopra di qualsiasi altra cosa. Tuttavia

già dai poeti elegiaci della Grecia arcaica si riscontra il potere distruttivo della morte dal quale non

si trova conforto nemmeno con l’amore. Le gioie della vita per quanto esaltate non riusciranno mai

a rinfrancare il cuore dell’uomo. L’unica soluzione che il poeta riesce a trovare è vivere al massimo

delle proprie forze senza perdere ogni momento prezioso che la vita gli offre.

In Mimnermo al tema della giovinezza e dell’amore non sono estranei una sconsolata rassegnazione

e un disperato rimpianto di fronte ai tormenti sempre presenti della vecchiaia e della morte la cui

consapevolezza rovina ogni momento di gioia. Così se l’uomo sceglie di abbandonarsi al godimento

di una felicità immediata dovrà sempre portarsi sopra le spalle il peso della cognizione della breve

durata di ciò che desidera e rassegnarsi alla fragilità di quelle gioie che pure sono le uniche a

rendere l’esistenza degna di essere vissuta. Il tema della giovinezza su cui incombe l’incubo della

vecchiaia costituisce il principale motivo di ispirazione del Fr. 2 D.:

Ημεις δ' οια τε φυλλα πολυανθεμος ωρη

εαρος, οτ' αιψ' αυγης αυξεται ηελιου,

τοις ικελοι πηχυιον επι χρονον ανθεσιν ηβης

τερπομεθα, προς θεων ειδοτες ουτε κακον

5 ουτ' αγαθον. Κηρες δε παρεστηκασι μελαιναι,

η μεν εχουσα τελος γηραος αργαλεου,

η δ' ετερη θανατοιο. μινυνθα δε γιγνεται ηβης

καρπος, όσον τ' επι γην κιδναται ηελιος.

Αυταρ επην δη τουτο τελος παραμειψεται ωρης,

10 αυτικα δη τεθναναι βελτιον η βιοτος.

πολλα γαρ εν θυμωι κακα γιγνεται. αλλοτε οικος

τρυχουται, πενιης δ' εργ' οδυνηρα πελει.

αλλος δ' αυ παιδων επιδευεται, ων τε μαλιστα

ιμειρων κατα γης ερχεται εις Αιδην.

15 αλλος νουσον εχει θυμοφθορον. ουδε τις εστιν

ανθρωπων, ωι Ζευς μη κακα πολλα διδοι.

Noi, come foglie, genera il tempo dei fiori,

la primavera, quando crescono in lampi di sole.

Come loro, per un attimo breve, il fiore di giovinezza

godiamo, senza conoscere da parte degli dei né il bene

5 né il male. Ma Kere ci stanno a fianco, nere,

l’una con il destino dell’amara vecchiaia,

l’altra, con quello di morte; un attimo è il frutto

di giovinezza, come splendore di sole sulla terra.

Ma quando questo termine della stagione trascorrerà,

10 subito, meglio morire che vivere!

Angoscia infinita nasce nell’anima: a qualcuno

i beni vanno in rovina e dolorosa miseria s’appressa;

a un altro mancano i figli: e col desiderio di loro

se ne va giù, sotto terra, dell’Ade;

15 un altro ha un male che gli divora l’anima: e non c’è nessuno,

fra gli uomini, a cui Zeus non mandi un’infinità di sventure.

Questa lirica si può dividere in tre parti ognuna delle quali costituisce una fase dello sviluppo del

tema centrale dell’opera e, in parallelo, dello sviluppo delle due età principali dell’uomo: la

giovinezza e la vecchiaia. La prima parte costituita dai vv. 1-5 presenta la similitudine tra l’uomo e

le foglie, tratta dalla tradizione dei poemi omerici. Come le foglie godono per un breve periodo del

sole e si nutrono dei frutti della terra, così noi sfruttiamo i doni della vita per quel breve lasso di

tempo che è la giovinezza. Ma le divinità della vecchiaia e della morte sono sempre accanto a noi

pronte a sottrarci le gioie della vita; dopotutto la vecchiaia non porta altro che angosce e agonie,

quali sono la perdita delle ricchezze, dei figli e l’incombente morte. La visione che ci pone dinnanzi

Mimnermo non è più quella dove l’uomo tendeva all’onore ottenuto in battaglia, ma piuttosto

l’attrazione di questo per la spensieratezza che la giovinezza gli offre tramite il suo splendore e la

sensualità dell’amore, sempre però cosciente della loro effimera bellezza. Messi da parte i valori

della collettività l’uomo riconosce solo le gioie che può ricavare dalla vita stessa, sufficienti a

conferirle significato e pienezza, ma soggette inesorabilmente alle leggi del tempo sulle quali

l’uomo non ha alcun potere o influenza.

Nel mondo latino invece uno dei più grandi rappresentanti di questo tema nella poetica è certamente

Catullo. Da lui l’amore è considerato il più importante dei valori, l’unico per cui vale la pena vivere.

Vivamus mea Lesbia, atque amemus, Viviamo mia Lesbia, ed amiamo

rumoresque senum severiorum e i mugugni dei vecchi moralisti

omnes unius aestimemus assis! tutti insieme non stimiamoli un soldo.

Soles occidere et redire possunt: I soli possono tramontare e poi rinascere:

5 nobis cum semel occidit brevis lux, per noi caduta questa breve luce

nox est perpetua una dormienda. c’è una sola eterna notte da dormire

Da mi basia mille, deinde centum, Donami mille baci, poi altri cento

dein mille altera, dein secunda centum poi altri mille, poi ancora altri cento

deinde usque altera mille, deinde centum. poi di seguito mille, poi di nuovo altri cento.

10 Dein, cum milia multa fecerimus, Quando poi ne avremo dati migliaia,

conturbabimus illa, ne sciamus, confonderemo le somme, per non sapere,

aut ne quis malus invidere possit, e perché nessun malvagio ci invidi,

cum tantum sciat esse basiorum. sapendo che esiste un dono così grande di baci.

Con Catullo per la prima volta nella letteratura latina l’amore, come esperienza personale del poeta,

diventa oggetto di poesia ed è descritto come ciò che può dare un senso alla vita e alla poetica

stessa. L’invito a vivere e amare ignorando le critiche dei vecchi moralisti corrisponde alla visione

personale della sua coscienza: la morale e gli ideali che si oppongono all’eros sono messi in

secondo piano per far spazio ai sentimenti più profondi della psiche. È un amore spavaldo cosciente

della sua forza e dell’impeto che ha sull’uomo. Ma dopo tutto l’amore è sempre riconosciuto come

effimero e di breve durata come tutte le gioie, infinite, della vita. Le cause della sua scomparsa sono

infatti l’incombere della morte, le maldicenze e la malevolenza degli uomini. A queste ultime si

affaccia, oltre che un forte disdegno, una sorta di timore e di superstizione che sicuramente possono

influire sull’eros. Da qui nasce il tentativo di velare e di nascondere questo amore fonte di gesti

maligni proposti dalla gelosia altrui. Il tema della brevità della vita è ripreso invece con una vitalità

piuttosto agguerrita - diversamente da altri autori anche più recenti come potrebbe essere per un

Foscolo nelle “Ultime lettere di Jacopo Ortis” dove il protagonista si rivolgeva all’amata Teresa con

aneliti nostalgici per quella che è l’effimera vita umana e il mancato amore. Questo tema non

suggerisce al nostro autore un atteggiamento pensoso e di sconsolata malinconia ma lo invita a

incitare ed esortare la propria amata a vivere l’amore con la massima intensità.

Tutta la poesia è strutturata su una serie di contrapposizioni tematiche: il vivere e l’amare contro

l’ignorare i “mugugni dei vecchi moralisti”; il sole che tramonta e rinasce contro l’eterna notte che

attende l’uomo dopo la morte; i baci contro la malvagità degli invidiosi. Questo amore è sempre

turbato dalla civiltà e dalla “vera” visione della realtà ma non arriverà mai ad essere represso come

nell’uomo comune; il poeta con lo sviluppo della parola riesce e a scavare nel suo intimo e a

rivelare i sentimenti profondi per come si manifestano, nelle preoccupazioni come nelle gioie.

All’interno della letteratura italiana parlerò di due autori importantissimi per il tema preso in esame,

entrambi essenziali per l’evoluzione della concezione di queste due pulsioni al giorno d’oggi. Il

primo è l’autore preromantico Ugo Foscolo. Nel suo romanzo “Ultime lettere di Jacopo Ortis” la

società assume un valore predominante tanto da influenzare completamente le sorti del

protagonista. Una società per la quale si son perse tutte le speranze e di cui gli ideali sono appassiti

e inariditi. Contrapposta a questa degradazione persiste un’ostinata fedeltà ai valori in declino di

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