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Amor Sacro & Amor Profano
Amore nell’Arte
Titolo: Amor Sacro e Amor Profano
Autore: Tiziano Vecellio
Data di realizzazione: 1514 ca.
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: cm. 118x279
Collocazione: Roma Galleria Borgese
Amor sacro e amor profano è un dipinto ad olio su tela di cm 118 x 279 realizzato nel 1514 dal
pittore italiano Tiziano. Attualmente è conservato alla Galleria Borghese a Roma.
La committenza del dipinto è stata desunta da un suo dettaglio: lo stemma sulla fontana.
Quest'ultimo è quello di Niccolò Aurelio, commissionatore del dipinto per le sue nozze con Laura
Bagarotto (di cui aveva mandato a morte il padre Bertuccio Bagarotto, accusato di alto tradimento)
nel 1514. L'opera doveva essere non solo un importante dono di nozze e di riconciliazione con la
moglie, ma anche un atto politico da cui derivasse un'opera immortale, simbolo dello splendore
della sua casata presso i veneziani.
L'impianto rispecchia la concezione neoplatonica tipica di Marsilio Ficino secondo la quale la
bellezza terrena è specchio di quella celeste e la sua contemplazione prelude alla perfezione
ultraterrena. L'amor sacro, ammantato di rosso, è raffigurato in piena luce, mentre l'amor profano è
fasciato da ricche vesti e si staglia contro uno sfondo ombroso: il bilanciamento luministico,
cromatico e compositivo assume quindi anche un preciso significato simbolico. L'opera è di grande
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Amor Sacro & Amor Profano
importanza per quanto riguarda la poetica di Tiziano: si tratta infatti dell'unica tela interpretabile in
chiave neoplatonica (corrente caratteristica dell'ambiente toscano, cui si contrapponeva
l'aristotelismo tipico di Venezia). Vi è inoltre un altro livello di lettura dell'opera, oggi considerato
piuttosto superato, alludente al comportamento che una buona moglie deve tenere in privato e in
società, all'immagine irreprensibile che deve dare di sé la moglie di un personaggio politico come
Niccolò Aurelio.
Il titolo è di epoca settecentesca e contrasta con l'ormai acclarato intento dell'autore di esaltare
l'amore .
Lo sfondo su cui sono collocate le due figure è la contrapposizione di due orografie differenti e
contrapposte: a sinistra, dietro all'amor profano, si nota un paesaggio montuoso, con un sentiero in
salita percorso da un cavaliere diretto al castello. Viene letto come metafora di un percorso faticoso
da compiere per giungere alla virtù, che si conquista con fatica e rinunce o, alternativamente, come
allusione al carattere "secolare" e "civile" dell'amor profano; a destra il paesaggio è pianeggiante,
disteso, punteggiato da greggi al pascolo che evocano le utopie bucoliche e in lontananza si scorge
una coppia ed una chiesa. Si contrappone al paesaggio di sinistra legandosi alla sfera religiosa e
spirituale. Alcuni hanno ipotizzato che il Tiziano si sia ispirato al paesaggio della Val Lapisina,
presso Serravalle, per alcuni anni residenza del pittore: così il castello di sinistra corrisponderebbe
alla torre di San Floriano e lo specchio d'acqua al lago Morto.
Secondo alcune fonti la donna che interpreta Venere è riconducibile ad Angela del Moro, nota ai
tempi come Zanfetta, famosa prostituta dell'epoca, di nascita nobile. Donna di grande cultura, era
amica di letterati illustri come il Bembo e l'Aretino. Venne chiamata come modella da pittori
famosi, fra i quali appunto Tiziano.
Un ruolo fondamentale nell'identificazione delle due donne in Venere e Proserpina è stato rivestito
dalla fontana-sarcofago, connotata da simboli di morte e vita. Nella parte destra, infatti, il sarcofago
presenta una raffigurazione di Venere in riferimento alla Hypnerotomachia Poliphili di Francesco
Colonna e all'episodio in cui la dea si punge un piede nel soccorrere Adone aggredito da Marte (fu
in particolare il Clerici a dare una svolta critica significativa in questo senso). Nella parte sinistra, è
riconoscibile il ratto di Proserpina.
L'opera risente profondamente dell'opera di Giorgione, soprattutto nello sfondo e nell'uso di
tonalismi: si può quindi considerare un'opera di transizione nella maturazione artistica del pittore.
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Amor Sacro & Amor Profano
Elena Muti & Maria
Ferres
“Il Piacere” è il primo romanzo di D’Annunzio. Un romanzo
autobiografico, che rispecchia la concenzione dell’Arte, della
Poesia, dell’Amore e della società che il Poeta ha sviluppato nella
Roma di fine ottocento. Andrea incarna il giovane esteta
aristocratico, che vuole fare della sua vita un’opera d’arte, e per
fare ciò si muove da un’esperienza amorosa ed artistica ad
un’altra, compiendo un percorso che non sembra però portarlo ad
una ferma conclusione. La vanità, la caducità, tutto ciò che è
fisico e materiale dominano l’animo del protagonista e non gli
permettono di elevarsi al di sopra delle falsità, al di sopra delle
masse.
Nel passato del conte Andrea Sperelli un amore profondo,
passionale, totalizzante: l’amore per la bella Elena Muti. Un amore improvvisamente
interrotto dalla donna, dalla sua partenza, senza alcuna spiegazione.
Il dolore è grande, le domande tante, ma Andrea decide di dimenticarla, perseguendo la
sfrenata ricerca del piacere che caratterizza tutta la sua vita, inevitabilmente. Si nutre di
Arte, crea Poesia, insegue passioni e fugaci amori. Finchè viene ferito in un duello, dove
combatteva per soddisfare il desiderio suscitato da una donna.
La convalescenza lontano da Roma segna la rinascita di Andrea. La sua anima è pura,
pronta a cogliere tutte le bellezze della natura che lo circonda; i tristi ricordi sono svaniti,
il desiderio irrefrenabile è come morto; il mare cura le sue ferite ed ispira la sua mente
ed il suo cuore.
In tale disposizione d’animo, in tale pace dei sensi, avviene l’incontro con Maria Ferres.
Andrea si innamora di lei, perdutamente e Maria ricambia questo sentimento, soffrendo.
L’amore per Maria è puro, candido, pulito. Nel poeta non sembra esserci traccia di
desiderio, di passione, di carnalità. Tutto è sublime e sublimante.
Ma Andrea non ha dimenticato Elena.
Nel suo cuore due distinte passioni, l’Amor Sacro e l’Amor Profano, che si mescolano e
si confondono, fino a portarlo a sovrapporre le due immagini di donna, desiderandole
entrambe, o il risultato di quella fusione…
Elena, la passione vera, materiale, la carnalità, sembrano avere il sopravvento e
corrompere l’animo del poeta. Egli non può abbandonarsi alla purezza di Maria e
rispettarla. Egli la deve possedere, come per tanto tempo ha potuto possedere il corpo di
Elena.
E quando questo finalmente accadrà, il ricordo della prima sarà così forte da portare
Andrea ad invocarne il nome, perdendo per sempre quella candida donna sporcata dal
peccato di un amore ormai contaminato. 5
Amor Sacro & Amor Profano
Nel Piacere, come nei romanzi successivi di d’Annunzio, il vero protagonista è l’Amore.
L’Amore affrontato in tutta la sua verità, analizzato in tutte le facce, comunicato ed
esaltato tramite gesti e parole, come pochi sanno fare.
Un Amore che, in questo libro, viene presentato in una duplice veste: l’autore parla di
due amori diversi, di due concezioni e punti di partenza diversi, di cui è difficile o forse
impossibile trovare una sintesi. Passione e purezza, soddisfazione dei desideri e sogno,
che si cercano e si inseguono ma tra i quali la ricerca del vero piacere avrà la meglio.
Una visione piuttosto negativa dell’animo umano, una sensazione di spreco e dispersione
di sentimenti veri, forse.
Ma da tutto ciò non può che trasparire la profonda conoscenza da parte del Poeta di
questo strano e sempre diverso sentimento, che inevitabilmente plasma e dà senso a tutta
la nostra vita. 6
Amor Sacro & Amor Profano
Sesso & Novecento
Parlare di un secolo di costumi sessuali in Italia significa indagare il ruolo assunto dalla
Chiesa nell'educazione sessuale, significa affrontare nella loro evoluzione temi come
l'aborto, l'adulterio, la contraccezione, il divorzio, la masturbazione, il matrimonio, i
rapporti sessuali prematrimoniali, i rapporti sessuali nel matrimonio, i rapporti
extramatrimoniali, l'omosessualità e la pornografia. Si possono, tuttavia, delineare a
grandi linee le trasformazioni più o meno evidenti dell'atteggiamento degli italiani di
fronte al sesso.
E’ possibile cogliere nell’arco degli ultimi cento anni i passaggi che hanno condotto dal
sesso inteso come funzione riproduttiva all’attuale separazione tra istinto sessuale e
procreazione. Separazione che, accolta oggi come uno dei più consistenti passi sulla via
di una migliore consapevolezza della sessualità, esisteva ufficiosamente anche un secolo
fa, ma che, come vedremo, restò a lungo nascosta tra le pieghe ambigue di una doppia
morale.
Eppure gli albori del Novecento sembravano aver aperto le porte a nuove forme di
sessualità. In Europa la Belle Epoque parve essere scossa dalla presenza di sadici,
masochisti, omosessuali, ninfomani, sodomiti. Il marchese di De Sade sembra un
principiante di fronte alle avventure di un Sacher-Masoch, mentre le teorie freudiane
scoprono la centralità delle pulsioni sessuali non solo nella vita degli adulti ma anche nei
bambini.
Occorre tuttavia aggiungere che questa immagine è tale solo osservandola a priori. Basti
l’esempio di Freud: le sue teorie, quando apparvero, non sconvolsero assolutamente le
abitudini sessuali degli europei.
La tesi che alcune malattie nervose altro non fossero che il frutto di “traumi” subiti nella
prima infanzia a causa di impulsi sessuali repressi restò a lungo circoscritta in una
divulgazione scientifica. Anzi, fu in questo ambito che subì gli attacchi denigratori più
forti. I tre saggi sulla teoria sessuale sono del 1905, ma dopo quattro anni la prima
edizione in mille copie era ancora lontana dall’essere esaurita. Negli anni Dieci, e ancora
negli anni Venti, Freud era considerato poco scientifico, insomma un mezzo ciarlatano,
colui che aveva osato calunniare la pura innocenza infantile.
Tuttavia, rispetto all’Ottocento, il nuovo secolo sostituisce alle pruderie del passato una
certa disinvoltura dei comportamenti, soprattutto tra le donne delle classi elevate. La
donna emancipata dei primi del Novecento non è più la suffragetta attenta a rivendicare
solo i suoi diritti politici. E’ una donna cosciente di sé e della propria sessualità,
consapevole della propria parità con l’uomo e convinta che i privilegi maschili prima o
poi sarebbero venuti meno. La donna comincia a darsi attivamente alla politica, a sedere
nelle aule delle Università, nei laboratori, a fare sport, ad andare in bicicletta e a tirare di
scherma. L’industrializzazione italiana di inizio secolo contribuisce alla promiscuità sul
posto di lavoro e quindi rende più facili gli approcci sentimentali e sessuali.
L’Italia giolittiana esprime al meglio l’essenza dello spirito borghese del primo
Novecento. L’automobile, il tram, l’illuminazione elettrica contribuiscono a fare delle
città italiane dei centri di svago e di divertimento. Aumentano le occasioni mondane
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Amor Sacro & Amor Profano
offerte da balli, avvenimenti sportivi, café-chantant, teatri. All’opera si preferisce
l’operetta o le canzoni piccanti delle chanteuses. Anche in materia sessuale lo spirito è
tipicamente borghese, con pesanti contaminazioni di tipo religioso. In pratica nel
rapporto tra i due sessi si chiedeva un comportamento adeguato alle esigenze della
società dell’epoca. Ad esempio, non era permesso che due fidanzati dormissero sotto lo
stesso tetto o che rimanessero a lungo soli. Del resto a tenere banco nella famiglia
borghese di inizio secolo erano ancora i rigorosi precetti cattolici, che imponevano la più
assoluta morigeratezza. Ogni passione sessuale era per la Chiesa un “peccato mortale”.
Le parti decenti erano il volto, le spalle, le braccia e la schiena, mentre i genitali e le
zone circostanti rientravano nella categoria dell’indecenza. Fino a Paolo VI, inoltre, il
matrimonio sarà sempre visto come una funzione esclusivamente biologica, giustificata
al fine della procreazione e non della sessualità.