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Gabriele D’Annunzio.

La vita di D’Annunzio può essere considerata una delle sue opere più

interessanti:secondo i principi dell’estetismo bisognava fare della vita un’

opera d’arte, e D’Annunzio fu costantemente teso alla ricerca di questo

obiettivo. Nato nel 1863 a Pescara da agiata famiglia borghese, studiò in una

delle scuole più aristocratiche dell’Italia, il collegio di Cicognini di Prato. Esordì

nel 1879 con un libretto di versi Primo vere, che suscitò una certa risonanza

ed ottenne benevola attenzione anche da parte di letterati di fama. Raggiunta

la licenza liceale si trasferì a Roma per frequentare l’università, ma

abbandonò presto gli studi, preferendo vivere tra i salotti m0ondani di

giornali. Acquisto subito notorietà una copiosa produzione di versi che spesso

suscitavano scandalo per i loro contenti erotici, per i principi morali

dell’epoca. Sono gli anni in cui D’Annunzio si crea la maschera dell’esteta,

dalla squisita sensibilità, che rifiuta la mediocrità borghese, rifugiandosi in un

mondo di pura arte, e che disprezza la morale corrente, accettando come

regola di vita solo i bello. Questa fase estetizzante attraversò una crisi alla

svolta degli anni Novanta, lo scrittore cercò così nuove soluzioni, e le trovò in

un nuovo mito, quello del superuomo, ispirato approssimativamente alle

teorie del filosofo tedesco Nietzsche, un mito soltanto di bellezza, ma di

energia eroica, attivistica. Comunque, per il momento, all’azione si

accontentava di sostituire la letteratura. Nella realtà, D’Annunzio puntava

creare l’immagine di una vita eccezionale dove conduceva una vita da

principe rinascimentale, tra oggetti d’arte, stoffe preziose, cavalli e levrieri di

razzi. A creargli intorno un alone di mito contribuivano anche i suoi amori,

specie quello, lungo e tormentato, che lo legò alla grandissima attrice

Eleonora Duse. In realtà, in questo disprezzo per la vita comune D’ Annunzio

era strettamente legato alle esigenza del sistema economico del suo tempo:

con le sue esibizioni clamorose e i suoi scandali lo scrittore voleva mettersi in

primo piano nell’attenzione pubblica, per vendere meglio la sua immagine.

Gli editori gli pagavano somme favolose, ma quel fiume di denaro non era

mai sufficiente alla sua vita lussuosa. Quindi , paradossalmente, il culto della

bellezza ed il “vivere inimitabile”, supero mistico, risultavano essere finalizzati

al loro contrario, a ciò che D’Annunzio ostentava di disprezzare, il denaro e le

esigenze di mercato. Tentò l’avventura parlamentare, come deputato

dell’estrema destra, in coerenza con le idee affidate ai libri, in cui esponeva

con veemenza il suo disprezzo per principi democratici ed egualitari, il suo

sogno di una restaurazione della grandezza di Roma. Creando uno strumento

con cui agire più direttamente sulle fole per imporre il suo verbo di “vate”,

D’Annunzio a partire dal 1898 si rivolse anche al teatro, che poteva

raggiungere un più vasto pubblico che non i libri. Nell’esilio si adatto al

nuovo ambiente in Francia, scrivendo persino opere teatrali in francese, pur

senza interrompere i legami con la patria “ingrata” che aveva respinto il suo

figlio d’eccezione. Allo scoppio del conflitto D’annunzio tornò in Italia e d

inizia un’intensa campagna interventistica , che ebbe un peso notevole nello

spingere l’ Italia in guerra, galvanizzando l’opinione pubblica. Nel dopoguerra

D’annunzio si fece interprete dei rancori per la vittoria “mutilata”che

fermentavano tra i reduci capeggiando una marcia di volontari su fiume, dove

instaurò un domino personale sfidando lo Stato italiano. Scacciato con le armi

nel 1920, sperò di proporsi come “duce” dii una ù”rivoluzione” reazionaria,

che riportasse ordine nel caos sociale del dopoguerra, ma fu scalzato da un

più abile politico, Benito Mussolini. Il fascismo poi lo esaltò come padre della

patria, ma lo guardò anche con sospetto, confinandolo praticamente in una

sontuosa villa di Gardone, che D’Annunzio trasformò in un mausoleo eretto a

se stesso ancora vivente, ”il vittoriale degli Italiani”. Qui trascorse lunghi anni

ossessionato dalla decadenza fisica morì nel 1938.

L’estetismo e la sua crisi

L’esordi letterario di D’Annunzio avviene sotto il segno dei due

scrittori che in Italia, a cavallo degli anni Ottanta, suscitanomaggior

eco, Carducci e Verga. Se si esclude Primo vere che è poco più di un

esercizio di apprendistato, il Canto nove offre già indicazioni molto

interessanti. Oltre alla metrica barbara, D’Annunzio ricavava da

Carducci il senso tutto “pagano” delle cose sane e forti, della

comunione con una natura solare e vitale. Ma in questi temi sono

portati al limite estremo e toccano i vertici di una fusione ebbra tra

io e natura che fa già presentire il futuro panismo supero mistico.

Terra vergine è il corrispettivo del Canto novo. Il mondo di Terra

vergine è sostanzialmente idillico , non problematico: in una natura

rigogliosa e sensuale esplodono passioni primordiali, soprattutto

sotto forma di un erotismo vorace, irrefrenabile, ma anche di una

violenza sanguinaria. La stessa matrice è evidente nella copiosa

produzione in versi degli anni Ottanta, che abbandona la linea del

vitalismo “pagano” del Canto novo e rivela l’influenza profonda dei

poeti decadenti francesi ed inglesi. L’Intermezzo di rime, Isorra

Guttadauro, la Chimera, queste opere sono il frutto della fase

dell’estetismo dannunziano, che si esprime nella formula “il Verso è

tutto”. L’arte è il valore supremo. E ad essa devono essere

subordinati tutti gli altri valor. L avita si sottrae alle leggi del bene e

del male e si sottopone solo alla legge del bello, trasformandosi in

opera d’arte. La poesia non sembra nascere dall’esperienza vissuta,

ma da altra letteratura. Questo personaggio dell’esteta che si isola

dalla realtà meschina della società borghese contemporanea in un

mondo rarefatto e sublimato pura arte e bellezza, e la cui maschera

D’Annunzio indossa nella vita come nella produzione letterari è a

ben vedere una risposta ideologica a i processi sociali in atto

nell’Italia dopo L’unità, i quali, in conseguenza dello sviluppo

capitalistico in senso moderno, tendevano a declassare e ad

marginare l’artista, togliendogli quella posizione privilegiata e di

grande prestigio di cui aveva goduto nelle epoche precedenti,

oppure lo costringevano a subordinati alle esigenze della

produzione e del mercato. Il personaggio dell’esteta, costruito

nell’opera letteraria è una forma di risarcimento immaginario da

una condizione reale di degradazione. Ben presto D’Annunzio si

rende conto dell’intima debolezza di questa figura e della

costruzione ideologica che essa presuppone:l’esteta non ha forza di

opporsi realmente alla borghesia in ascesa, che a fine secolo si avvia

sulla strada dell’industrialismo, del capitalismo monopolistico,

dell’imperialismo aggressivo, colonialistica e militarista. La

corruzione dell’estetismo entra allora in crisi. Il primo romanzo

scritto da D’Annunzio, il piacere in cui confluisce tutta l’esperienza

mondana e letteraria da lui vissuta sino a quel momento, ne è la

testimonianza più esplicita. Al centro del romanzo si pone la figura

di un’ estetismo è Andrea Sperelli, il quale nome non è che un

doppio di D’Annunzio stesso , in cui l’autore obiettiva la sua crisi e la

sua insoddisfazione. Andrea è un giovane aristocratico provenite da

una famiglia di artisti. Il principio “fare la propria vita, come si fa

un’opera d’arte”, in un uomo dalla volontà debolissima quale è

Andrea,diviene una forza distruttrice, che lo priva di ogni energia

morale e creativa, lo svuota e lo isterilisce. La crisi trova il suo

banco di prova nel rapporto con la donna. L’eroe è diviso tra due

immagini femminili, Elena Muti, la donna fatale che incarna

l’erotismo assoluto e della lussuria, e Maria Ferres, la donna pura,

che rappresenta ai suoi occhi l’occasione di un riscatto e di una

elevazione spirituale. Ma in realtà l’esteta libertino mente a se

stesso: la figura della donna angelo è solo oggetto di un gioco

erotico più sottile e perverso, fungendo da sostituto di Elena Muti,

che Andrea continua a desiderare e che lo rifiuta. Andrea finisce per

tradire la sua menzogna con Maria, ed è abbandonato da lei

restando solo con il suo vuoto e la sua sconfitta. Nei confronti di

questo suo “doppio” letterario D’Annunzio ostenta un

atteggiamento impietosamente critico, sono evidenti le ambizioni a

costruire un quadro sociale, di costume, popolato di figure tipiche di

aristocratici oziosi e corrotti. Però, subendo l’influenza di tendenze

che in quegli anni in Francia andavano soppiantando la moda

naturalistica, D’Annunzio mira soprattutto a creare un romanzo

psicologico, in cui, più che gli eventi esteriori dell’intreccio, contano

i processi interiori del personaggio, complessi e tortuosi, indagati

con sottile indugio analitico, sul modello proposto dal capofila di

quella tendenza. Immanuel Kant.

Immanuel Kant è uno dei filosofi più importanti di tutta la tradizione

occidentale: non esiste campo del sapere umano nel quale il pensiero di Kant

non abbia esercitato sia direttamente che indirettamente una certa influenza.

Egli nasce nell’attuale Russia; fu educato secondo i dettami della tradizione

del pietismo, una corrente religiosa di origine luterana che valorizzava il ruolo

preminente del senso morale e del rispetto dei precetti interiori. Dopo gli

studi superiori dove studiò filosofia si iscrisse all’università della propria città

approfondendo la conoscenza delle discipline scientifiche. Quella di Kant fu

una vita tranquilla, per alcuni anni Kant fu precettore presso famiglie private;

ottenne in seguito la libera docenza all’università di Konigsberg e infine la

cattedra ufficiale di logica e metafisica: da quel momento si dedico alla

stesura delle opere del periodo critico.

L’obbiettivo principale della filosofia di Kant è costruire una visione del mondo

e delle relazioni umane che sia dotata dello stesso grado di certezza e di

validità raggiunto dalle scienze, in particolare la matematica e la fisica. La

Critica della Ragion pura analizza la possibilità dell’intelletto di raggiungere

conoscenze universali e necessarie, fondate sull’esperienza. Prima di Kant, in

campo gnoseologico erano due le tipologie di giudizio riconosciute valide, i

giudizi analitici a priori e giudizi sintetici posteriori. Secondo Kant, però,

nessuno dei due garantisce ala conoscenza il valore che le è proprio. I giudizi

sintetici a posteriori raggiungono una conoscenza non universale, per

esempio: “questa penna è rossa” è un giudizio sintetico non applicabile alle

penne in generale, mentre i giudizi analitici a priori non apportano alcuna

conoscenza ulteriore:per esempio “il corpo è esteso” è un giudizio analitico a

priori in quanto l’estensione è una caratteristica del corpo gia contenuta nel

concetto. Kant unifica i giudizi sintetici a posteriori con i giudizi analitici a

priori nei giudizi sintetici a priori: essi hanno la ricchezza proveniente dai dati

empirici che si fondano sull’esperienza e l’universalità formale dei secondi.

Sono di questo genere i giudizi che hanno consentito il grande sviluppo delle

scienze contemporanee. Nell’estetica trascendentale invece Kant analizza le

forme a priori della sensibilità che operano nel processo della conoscenza

umana. Tali forme sono la spazio e il tempo, che si configurano come

intuizioni pure, cioè non provenienti dall’esperienza. Infatti, affinché sia

possibile per l’uomo riferire determinate sensazioni a qualcosa di esterno a sé

è necessario che egli possieda preventivamente la rappresentazione dello

spazio e del tempo, come “cornici” formali dei fenomeni.

Nell’Analitica trascendentale che è la seconda parte della Critica della Ragion

pura, Kant studia l’attività dell’intelletto umano che nel processo della

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