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Sintesi
Italiano: L'Enrico IV di Pirandello
Latino: Le follie dell'imperatore Nerone negli Annales di Tacito
Storia: Hitler e la follia nazista
Filosofia: Nietzsche, La sua malattia e il racconto dell'uomo folle
Fisica: L'elettroshock, la corrente elettrica
Francese: Maupassant, Lettre d'un fou
Inglese: Stevenson, The strange case of Dr Jekyll and Mr Hyde
Tedesco: Goethe, Mephiosto in der Tragödie Faust
Estratto del documento

giovane Frida. Belcredi interviene per difendere la fanciulla, ma Enrico IV lo uccide con

la sua spada. Così, da quel momento, sarà costretto a chiudersi di nuovo, per sempre,

nella sua pazzia.

“Sono guarito signori: perché so perfettamente di fare il pazzo qua;… Il guaio è per voi

che la vivete agitatamente, senza saperla e senza vederla, la vostra pazzia!!!”

Enrico con la sua recita, costringe anche gli altri a mascherarsi, a recitare, per

assecondarlo, ma proprio così mette in luce la finzione di cui sono prigionieri nella vita

quotidiana. Verso la sua maschera l’eroe ha un atteggiamento ambivalente: da un lato

ne prova fastidio, sentendo la nostalgia della vita; dall’altro però la commedia sociale

lo disgusta, e la maschera che lo isola dal mondo costituisce una sorta di rifugio da

quella realtà ormai intollerabile. Il gesto finale, che lo chiude nuovamente nel guscio

protettivo della follia, può essere allora letto come la manifestazione di una debolezza,

la confessione di un’immaturità, di un’incapacità di vivere.

L’Enrico IV è un testo molto denso, che esprime la convinzione che tutti siano pazzi e

che la pazzia sia una scelta quasi obbligata dalla necessità di avere un posto in un

mondo che non è fatto per noi : non a caso Enrico IV affermerà, parlando con i suoi

servitori, di aver finto di essere ancora pazzo perché, rinsavito, aveva scoperto

amaramente di essere arrivato “con una fame da lupo ad un banchetto già bell’e

sparecchiato”, riferendosi a quei dodici anni mai esistiti per lui e goduti dagli altri . La

decisione, dunque, di ritornare nel limbo - prigione della pazzia è dettata dalla

constatazione che nel mondo non c’è più posto per lui .

TACITO:LE FOLLIE DELL’IMPERATORE NERONE

Un esempio di follia ci viene presentato da Tacito attraverso la descrizione del principe

Nerone negli Annales: che in origine dovevano essere diciotto libri, ma ora ne

rimangono solo,con qualche lacuna i libri I-VI(dedicati a Tiberio) e XI-XVI(da Claudio a

Nerone).

Dalle pagine dei libri XIII-XVI degli "Annales" ,emerge chiaramente il progressivo

svelarsi della natura folle e malvagia di Nerone, principe dai 54 al 66 d.C.

Tale degenerazione procede di pari passo con l'emancipazione dal controllo delle

madre Agrippina e con il venir meno della positiva influenza di Afranio Burro, prefetto

dei pretorio, e di Seneca, il filosofo suo precettore.

La morte della madre toglie ogni freno alla degenerazione dei costumi privati

dell'imperatore che si abbandona a ogni sorta di dissolutezza e sempre più

deliberatamente manifesta la suo sconveniente passione per le gare ippiche, la musica

e il canto.

L'emancipazione avviene attraverso uno serie terribile di atti folli :

* L'UCCISIONE DI BRITANNICO (Annales, XIII, 15-16)

Il giovinetto Britannico è la prima vittima dei perfido Nerone, che vede in lui un

pericoloso aspirante all'impero in quanto figlio di Messalina, la prima moglie di

Claudio. Egli era invece figlio di Agrippina e del primo marito di lei, Domizio Nerone,

ed era stato adottato da Claudio, che si era unito in seconde nozze con la stessa

Agrippina. La stessa possiamo dire che è la causa scatenante della morte di

Britannico, poiché ella sentendo sempre più indebolita la sua autorità presso il figlio, si

servì di Britannico per intimorire Nerone, minacciandolo di appoggiare il giovane che

secondo molti era stato illegittimamente privato dei diritto di succedere al padre

naturale. Britannico viene ucciso da Nerone durante un banchetto. Egli grazie all’aiuto

di personaggi loschi e senza scrupoli, riesce ad ucciderlo utilizzando un potente

veleno.

* LA MORTE DI AGRIPPINA (Annales, XIV, 7)

Nel 59 d.C., Nerone che era già da tempo in rotto con la madre, di cui non sopportava

più le ingerenze e che si opponeva al suo matrimonio con Poppea Sabina, la fece

uccidere affidando l'incarico di sopprimerla ad alcuni suoi uomini. Famosa è la scena

della morte di Agrippina. Lei ferita e colpita con una mazza, si rivolse ai suoi assassini

gridando: “colpite al ventre che lo ha generato.”

Forse l’episodio più famoso della follia di Nerone è:

* INCENDIO DI ROMA (Annales, XV, 38-39)

Nel 64 d.C. Nerone è sospettato di aver provocato deliberatamente l'incendio di Roma.

Tacito non esclude a priori che questo incendio possa avere un’origine fortuita ma

accusa Nerone di voler approfittare della distruzione della città per dei suoi scopi

personali, rimpiazzare gli antichi edifici con nuove e moderne costruzioni, in primo

luogo con la grandiosa residenza imperiale detta "domus aurea". Famosa è la scena di

Nerone che nello stesso momento in cui la città bruciava salì sul palco del suo palazzo

e cantò la caduta di Troia paragonando le disgrazie presenti alle sventure antiche.

Collegata all’incendio di Roma vi è anche:

* PERSECUZIONI DEI CRISTIANI (Annales, XV, 44-45)

Nerone decide di addossare la colpa del rovinoso incendio ai Cristiani, dando così

inizio alla prima persecuzione per troncare la diceria che lo vedeva colpevole. Arrestò

tutti quelli che professavano la dottrina e li fece dilaniare dai cani, inchiodare sulle

croci o addirittura gli dava fuoco.

Episodi altrettanto importanti sono:

* LA FINE DI SENECA (Annales, XV, 45)

Si sparse la voce che Seneca, il vecchio precettore di Nerone, avesse chiesto di potersi

ritirare a vita privata in una campagna lontana ma, poiché non lo ottenne, non uscì più

dalla propria camere fingendosi malato di nervi. Nerone, a quanto narrano alcuni, fece

anche preparare un veleno, da cui questi si salvò grazie alla sua vita ascetica. Nel 62

a.C. finalmente arrivò il ritiro di Seneca, ma questi non riuscì tuttavia a mettersi al

riparo dalle ostilità dell'imperatore. Quando, infatti, nel 65 d.C. fu scoperto una

congiura di un gruppo di senatori capeggiati da Calpurnio Pisone, il filosofo fu

considerato fra i colpevoli e fu costretto al suicidio da Nerone. Egli affrontò la morte

con serenità, nobiltà e coraggio, secondo l'esempio di Socrate e dei grandi sapienti del

passato.

*UCCISIONE DI POPPEA (Annales, XVI, 6-7)

Poppea per ottenere definitivamente il potere, facendosi sposare era arrivata a far

uccidere la madre di lui Agrippina e la precedente moglie Ottavia, ma sbarazzatasi

delle rivali, appena dopo tre anni, a causa di un'improvvisa collera del marito Nerone,

un atto di pura follia, Poppea morì, colpita da un calcio.

NIETZSCHE

“Meglio esser pazzo per conto proprio, anziché savio secondo la volontà altrui!”

Friedrich Nietzsche

Nel passato la malattia di Nietzsche ha rappresentato un argomento di cui si è servita

certa critica per screditare il suo pensiero. Una sola era l’alternativa presa in

considerazione: o si interpretava la filosofia di Nietzsche come “risultato” della sua

malattia, o la sua malattia come “risultato” della sua filosofia. In ogni caso, la malattia

gettava un’ombra funesta sui prodotti della sua speculazione, a causa del pregiudizio

positivistico secondo cui una filosofia dovuta a una mente malata è anch’essa malata.

In seguita la situazione è cambiata, si è teso a valorizzare la malattia, scorgendo in

essa una condizione favorevole alla sua creatività. Ma possiamo dire che come quella

di ogni altro filosofo la sua filosofia va giudicata per quello che oggettivamente dice.

Nella filosofia di Nietzsche si parla della così detta “morte di Dio” e nella Gaia scienza,

in uno dei passaggi più significativi di tutta l’opera di Nietzsche, l’autore

“drammatizza” il messaggio della morte di Dio con il noto racconto dell’”uomo folle”:

Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino,

corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E

poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò

grandi risa. “È forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un

altro. “0ppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” –

gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li

trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo

stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto

questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte

la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa

terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi?

Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in

avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando

come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più

freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere

lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non

udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli

dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci

consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più

possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi

detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti

espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la

grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire

almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione più grande: tutti coloro che verranno

dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto

mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle uomo tacque, e

rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano

stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense.

“Vengo troppo presto – proseguì– non è ancora il mio tempo. Questo enorme

avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato

fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle

costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state

compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancora sempre più lontana

da loro delle più lontane costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”. Si

racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse

chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e

interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo:

“Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”.

Egli racconta che un uomo “folle”dopo aver acceso una lanterna durante il mattino,

andò al mercato gridando che egli stava cercando Dio; al mercato però trovo

numerose persone che non credevano nell’esistenza di Dio, che gli risero in faccia e si

presero gioco di lui, dando risposte sciocche. A questo punto egli, indignato disse loro

che erano stati loro o meglio gli uomini ad uccidere Dio, e che quindi lui e tutti loro

erano degli assassini. E uccidendo Dio, hanno provocato la loro stessa infelicità. Perché

citando alcuni esempi, egli afferma che da quando Dio è morto si è fatto più freddo, la

stessa luce del mattino si è affievolita e gli uomini sono condannati ad un continuo

peregrinare, che non ha alcun senso. E dice che gli uomini hanno commesso l’errore

più grande che qualcuno potesse compiere e che questo si rifletterà anche sulle

generazioni successive. Dopo aver detto ciò l’uomo tacque, davanti agli sguardi stupiti

e muti degli altri uomini, e gettò la lanterna a terra, rompendola. Come ultima cosa

disse che non era ancora giunto il suo tempo e che probabilmente era arrivato troppo

presto, in quanto gli uomini non possono ancora capire il loro errore, e che ci vuole

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