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Sintesi
Pittura - Vincent Van Gogh
Letteratura - Pirandello
Estratto del documento

rimpiange la giovinezza perduta e sa che la sua caduta da cavallo fu

causata da Belcredi. E ancora innamorato: non della Matilde attuale,

ormai invecchiata, bensì di Frida, che per lui è come la Matilde di un

tempo. Si avventa sulla giovane, rivelando di aver simulato;

Belcredi tenta di fermarlo, ed egli lo ferisce a morte, D’ora in poi

non gli resterà che ritornare ad essere per sempre l’imperatore

Enrico IV.

La follia di Enrico IV è anche una follia recitata. Essa pone perciò un

problema: esiste un legame fra teatro e pazzia? A teatro la pazzia

acquista un significato particolare? Perché? Anzitutto, nelle opere

drammaturgiche non esiste un autore che, come in narrativa

coordini e commenti dall’alto stabilendo una verità univoca. Gli atti

e i discorsi del folle sono dunque oggetto di giudizio al pari di tutti

gli altri. Perciò non si può stabilire nell’Enrico IV sino a che punto il

protagonista sia malato o guarito. In questo modo, la nozione di

verità viene decostruita; e in secondo luogo la follia non viene

neutralizzata da subito come un discorso che, in quanto pronunciato

da un folle, non vale la pena di prendere in considerazione.

In secondo luogo, pazzo e attore possono essere accostati. Il pazzo

è, in un certo senso, uno che recita, poiché si rappresenta come

qualcuno che non è. Chi si crede Napoleone, o il papa, o qualsiasi

altro personaggio illustre ne assume gli atteggiamenti,

trasformando la propria vita in una recita e rinunciando alla propria

identità per assumerne un’altra.

E appunto quanto accade nell’Enrico IV. In questo dramma la follia

non mette più solo in questione la verità, ma l’identità personale.

Questa si disgrega e viene sostituita da una maschera: l’uomo

reale scompare (nell’elenco dei personaggi, al posto del suo nome

compaiono dei puntini di sospensione) e resta solo il travestimento

assunto nella festa di carnevale. Il folle è dunque uno che, per

esistere, ha preso un’identità diversa dalla propria, ma non meno

convenzionale di tutte le altre.

La follia è una fuga dallo scorrere del tempo e, dunque, dalla vita:

una forma disperata di difesa contro il flusso dell’esistenza e della

morte. Dapprima è l’impazzimento che allontana Enrico dagli altri;

poi è Enrico stesso a scegliere di fissarsi nella maschera

dell’imperatore eternamente ventiseienne, imbellettandosi e

nascondendo maldestramente i capelli ormai grigi.

La fuga è dunque inutile, ma senza vie d’uscita. Grazie a questa

consapevolezza, il personaggio pirandelliano acquista una nuova

pienezza umana e una statua tragica più piena; mentre la follia

diventa un’esperienza radicale della vita, giacchè ne scuote i

fondamenti: il senso dell’identità e del tempo.

SINTESI INTERPRETATIVA:

Enrico IV è il personaggio più disperato, più tragico di Pirandello.

Quando è rinsavito, Enrico IV si è accorto di aver perduto dodici

anni della sua esistenza, e non per un’incidente ma per colpa di un

falso amico, Tito Belcredi. Ha quindi maturato un’aspro desiderio di

riscatto e di vendetta contro quanti sono stati causa della sua

rovina. Si è accorto di essere stato escluso dalla giovinezza,

dall’amore, dalle malattie: questo lo ha indotto, per otto anni, a

rimanere dentro la maschera della malattia, ad accettare come

propria una condizione da cui non poteva più evadere, perché ormai

gli era impossibile rientrare in quella vita normale che era andata

avanti senza di lui, che per lui era crollata.

Il protagonista ha scelto allora di recitare ancora la parte

dell’imperatore: ha assunto lucidamente la propria pazzia, ha

portato la propria maschera consapevolmente, ha identificato per

scelta, la sua mascherata con la realtà. In questo modo ha fatto la

“caricatura” della vita reale, in cui tutti recitano una parte, portano

la loro maschera senza saperlo, sono dunque dei “pagliacci

involontari”. Quando è costretto ad assistere alla messinscena

farsesca di chi è venuto a visitarlo dopo tanto tempo, Enrico IV

viene provocato nei suoi affetti e reagisce, allucinato e violento.

Ritenuto ancora folle, accusa la sanità degli altri, scrolla dalle

fondamenta la loro logica fittizia e malvagia e uccide il suo antico

rivale.

SIGMUND FREUD (Isteria e nevrosi)

Ai tempi di Freud, l’isteria aveva attirato l’attenzione di un gruppo di

medici, tra cui spiccavano Charcot e Breuer. Il primo usava l’ipnosi

come metodo terapeutico, Breuer, andando oltre Charcot, utilizzava

l’ipnosi come mezzo per richiamare alla memoria avvenimenti

penosi dimenticati. Per fare un’esempio, nel caso di Anna O.,

un’isterica gravemente ammalata, curata da Breuer, tra gli altri

sintomi ( paralisi motorie, tosse nervosa, anoressia, ecc.) vi era pure

una caratteristica idrofobia acuta (paura di bere). Mediante l’ipnosi,

Breuer aveva scoperto che la paziente, avendo scorto da bambina il

cane della governante (verso il quale nutriva sentimenti di ostilità)

bere in un bicchiere, aveva provato un forte senso di repulsione. Pur

avendo rimosso quell’episodio, la paziente manifestava sintomi

idrofobici, che erano spariti soltanto quando Breuer, in virtù

dell’ipnosi, li aveva portati alla coscienza.

Grazie allo studio di questo caso Breuer e Freud mettono a punto il

cosiddetto “metodo catartico”, consistente appunto nel tentativo di

provocare una “scarica emotiva” (abreazione) capace di liberare il

malato dai suoi disturbi. Ponendosi il problema dell’eziologia, ovvero

delle ragioni dell’isteria, Freud arriva alla scoperta che la causa

delle psico nevrosi è da ricercarsi in un conflitto tra forze psichiche

inconsce. La scoperta dell’inconscio segna l’atto di nascita della

psicoanalisi.

Freud afferma che la psiche è un’unità complessa.

La prima “topica” psicologica viene elaborata da Freud nel capitolo

dell’interpretazione dei sogni

VII e distingue tre sistemi: il conscio,

l’inconscio, e il preconscio. La seconda topica viene elaborata da

Freud a partire dal 1920 e distingue tre “istanze”: l’Es, l’Io e il

Super-io.

L’Es costituisce la matrice originaria della nostra psiche, non

conosce “né il bene, né il male, né la moralità”, ma obbedisce

unicamente al principio del piacere.

Il Super-io è ciò che comunemente si chiama coscienza morale,

ovvero l’insieme delle proibizioni che sono state instillate all’uomo

nei primi anni di vita, e che poi lo accompagnano sempre, anche in

forma inconsapevole.

L’Io è la parte organizzata della personalità che si trova a dover

equilibrare pressioni disparate e per lo più in contrasto fra di loro.

L’io si trova a dover fare i conti con le esigenze di quei tre “padroni

severi” che sono l’Es, il Super-io e il mondo esterno.

Il tipo di rapporto tra l’io e i suoi padroni rappresenta un

fondamentale criterio di discriminazione tra “normalità” e “nevrosi”.

Infatti, nell’individuo normale l’io riesce abbastanza bene a

padroneggiare la situazione. Ma se da un lato le esigenze dell’Es

sono eccessive, o se il Super-io è troppo debole, o invece troppo

rigoroso, può accadere che l’Es abbia il sopravvento e travolga un

Super-io troppo debole, e l’io è condotto allora a comportamenti

asociali o proibiti: il soggetto diventa un delinquente, oppure

qualche volta un perverso. Oppure può accadere che il Super-io

troppo rigido provochi la rimozione, o altri processi di difesa, le

istanze dell’Es divenute inconsce si manifestano allora con i sintomi

nevrotici.

Per quanto concerne i sintomi nevrotici, Freud sostiene che il

sintomo rappresenta il punto d’incontro tra le tendenze rimosse

dell’Es e le forze dell’Io e del Super-io.

La legge italiana del 1904 sui

manicomi

La prima legge italiana sui manicomi ebbe un’iter abbastanza lento

(dal 1902 al 1904): fu Giolitti, allora ministro degli interni, a farla

passare. Rimase in vigore fino al 1978, quando fu sostituita dalla

legge Basaglia.

Nei primi quattro articoli, vengono trattati i seguenti argomenti: il

manicomio non è solo un luogo di cura, ma anche di segregazione.

Il folle è un’individuo pericoloso, o che dà scandalo: perciò la

società deve allontanarlo. A chiedere l’internamento può essere

chiunque: il medico agisce in seconda istanza, mentre la decisione

definitiva spetta all’autorità giudiziaria. La malattia di mente è

dunque una questione di ordine pubblico. In manicomio, l’alienato è

privato dei suoi diritti (non può amministrare i suoi beni). Qui, ogni

potere sanitario, amministrativo, disciplinare spetta al Direttore. Più

che di fronte a un ospedale, siamo di fronte a un carcere.

Legge N.36 del 14 Febbraio 1904. Disposizioni sui manicomi

e sugli alienati. Custodia e cura degli alienati.

Articolo 1.

Debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette

per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano

pericolose a sé o agli altri o riescano di pubblico scandalo e non

siano e non possano essere convenientemente custodite e curate

fuorchè nei manicomi. Sono compresi sotto questa denominazione,

agli effetti della presente legge, tutti quegli istituti, comunque

denominati, nei quali vengono ricoverati alienati di qualunque

genere […]

Articolo 2.

L’ammissione degli alienati nei manicomi deve essere chiesta dai

parenti, tutori o protutori, e può esserlo da chiunque altro

nell’interesse degli infermi e della società. Essa è autorizzata, in via

provvisoria, dal pretore sulla presentazione di un certificato medico

e di un atto di notorietà, redatti in conformità delle norme stabilite

dal regolamento, ed in via definitiva dal tribunale in camera di

consiglio sull’istanza del pubblico ministero in base alla relazione

del direttore del manicomio e dopo un periodo di osservazione che

non potrà eccedere in complesso un mese.

Ogni manicomio dovrà avere un locale distinto e separato per

accogliere i ricoverati in via provvisoria, in base a certificato

medico, ma è obbligata a riferirne entro tre giorni al procuratore del

Re, trasmettendogli il cennato documento. […]

Articolo 3.

Il licenziamento dal manicomio degli alienati guariti, è autorizzato

con Decreto del presidente del tribunale sulla richiesta o del

Direttore del manicomio, o delle persone menzionate nel primo

comma dell’articolo precedente o della deputazione provinciale.

Negli ultimi due casi dovrà essere sentito il Direttore. Sul reclamo

degli interessati il presidente potrà ordinare una perizia. In ogni

caso contro il Decreto del presidente è ammesso il reclamo al

tribunale. Il Direttore del manicomio può ordinare il licenziamento,

in via di prova, dell’alienato che abbia raggiunto un notevole grado

di miglioramento e ne darà immediatamente comunicazione al

procuratore del Re e all’autorità di pubblica sicurezza.

Articolo 4.

Il direttore ha piena autorità sul servizio interno sanitario e l’alta

sorveglianza su quello economico per tutto ciò che concerne il

trattamento dei malati, ed è responsabile dell’andamento del

manicomio e della esecuzione della presente legge nei limiti delle

sue attribuzioni. Esercita pure il potere disciplinare nei limiti del

seguente articolo. […]

LA LEGGE “BASAGLIA”

E questa una parte della Legge 13 maggio 1978, n. 180, più nota

come “legge basaglia”, dal nome del suo ispiratore. Essa prevede

l’abolizione dei manicomi: i reparti psichiatrici degli ospedali

possono accogliere i malati di mente solo per brevi periodi, mentre

le cure devono essere impartite al di fuori di essi. La legge è

profondamente diversa da quella del 1904, che viene abrogata.

Prima, il malato era qualcuno da cui la società doveva difendersi;

ora, è un cittadino di cui vanno tutelati i diritti, affinchè tutto

avvenga “nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e

politici garantiti dalla Costituzione”. Prima era l’autorità civile a

decidere, ora il medico; prima, chiunque poteva proporre

l’internamento, ora, chiunque può chiedere la revoca dei

provvedimenti sanitari. E mentre prima il malato era come

incarcerato, ora è libero di avere rapporti con chi crede.

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