Concetti Chiave
- Claudio Magris nel suo saggio esplora il dualismo tra utopia e disincanto come approcci essenziali per affrontare le sfide del nuovo millennio con maturità spirituale e consapevolezza.
- Utilizzando riferimenti letterari come Leopardi, Nietzsche e Dostoevskij, Magris analizza come la speranza e il confronto con il nichilismo siano centrali per transitare dal ventesimo al ventunesimo secolo.
- Magris sottolinea che l'utopia esorta a lottare per ciò che dovrebbe essere, mentre il disincanto offre una speranza fondata sulla consapevolezza della realtà, evocando l'equilibrio tra sogno e realtà.
- L'autore insiste sulla necessità di preservare la memoria storica e resistere al falso realismo, che non crede nel cambiamento, sostenendo una visione che combina idealismo e pragmatismo.
- La storia letteraria degli ultimi due secoli viene interpretata come una continua interazione tra utopia e disincanto, con la letteratura che spesso rivela le contraddizioni della storia come una "faccia nascosta della luna".
Utopia e disincanto -Claudio Magris - ambito umanistico-letterario
Claudio Magris basa il suo saggio, riguardante l’approccio nei confronti del mondo, su due termini: utopia e disincanto. Queste sono due modalità di porsi, di guardare e agire nel mondo. Secondo Magris, sono due ingredienti necessari all’individuo e alla collettività per affrontare le nuove sfide con consapevolezza e maturità spirituale.
Magris parla principalmente dell’inizio e della fine di un millennio come inizio e fine di una nuova vita, che cambia negli anni, e constata che esso abbia bisogno di utopia e disincanto uniti.
Il saggio inizia con Leopardi e Magris presenta la sua disperata attesa della fine di un anno per iniziarne uno nuovo, migliore, per quanto il suo timido amore per la vita e l’attesa di felicità vengano smentiti dal succedersi degli anni. Ma Leopardi continua a sperare, ogni anno che passa.
Lo stesso sentimento si ingigantisce nelle persone all’inizio del nuovo millennio.
Ci si sposta quindi su Nietsche e Dostoevskij, due scrittori che avevano previsto, in un loro futuro, l’avvento del nichilismo, ma che avevano opinioni diverse su ciò. Per Nietsche si trattava di una liberazione, mentre per Dostoevskij si trattava di una malattia. Magris riporta questo concetto all’inizio del nuovo millennio, quando la scelta tra le due posizioni sarà fondamentale: combatterlo o accettarlo?
Ma l’inizio del nuovo millennio significa anche la fine del “terribile secolo Ventesimo”, come si usava chiamarlo, pieno di stermini e mostruosità, ma allo stesso tempo di enormi progressi. Magris scrive che “credere fiduciosamente nel progresso è divenuto ridicolo, ma altrettanto ottusa è l’idealizzazione nostalgica del passato”. L’umiltà e l’autoironia ci fermano dalla tentazione di abbandonarci al pathos delle profezie, che diventano facilmente ridicole.
Il nuovo millennio si annuncia con la sconfitta dei totalitarismi politici in molti paesi. Una resistenza ad essi consiste nella preservazione della memoria storica e nel rifiuto del falso realismo, che assolutizza il presente e non crede nel suo cambiamento, considerando quindi utopisti coloro che invece ritengono sia possibile.
“Il mondo non può essere redento una volta per tutte e ogni generazione deve spingere, come Sisifo, il suo masso, per evitare che esso le rotoli addosso schiacciandolo. Questa consapevolezza è l’ingresso dell’umanità nella maturità spirituale.”
Così Magris annuncia, che c’è bisogno dell’utopia unita a disincanto per vivere al meglio il passaggio da un millennio all’altro.
Utopia significa non arrendersi alle cose così come sono, ma lottare per le cose così come dovrebbero essere. Nel saggio si fa l’esempio di don Chisciotte, grande, perché si ostina a credere contro l’evidenza. L’utopia dà senso alla vita, perché esige che la vita abbia un senso. Ma don Chisciotte da solo sarebbe patetico e pericoloso, come lo è l’utopia quando diventa realtà, scambiando il sogno per la verità.
Proprio perciò don Chisciotte ha bisogno di Sancho Panza, che segue il folle cavaliere, che vede che l’elmo di Mambrino è una bacinella e sente l’odore di stalla di Aldonza, ma capisce che il mondo non è né completo né vero se non si cerca quell’elmo fatato e quella beltà luminosa.
“La fine di utopie totalitarie è liberatoria solo se si accompagna alla consapevolezza che la redenzione, promessa e fallita da quelle utopie, deve essere cercata con più pazienza e modestia.”
Disincanto significa sapere che la parusìa non ci sarà. Il disincanto è un ossimoro, una contraddizione.
Mantenendo l’esempio di don Chisciotte, nel disincanto c’è la malinconica consapevolezza che l’elmo di Mambrino è una bacinella, ma c’è anche la consapevolezza che l’elmo di Mambrino, pur introvabile, riverbera il suo bagliore sulle pentole arrugginite. E’ stata l’ironia di Cervantes, che ha smascherato la fine e la goffaggine della cavalleria, a dimostrare il suo stesso incanto.
Il disincanto rafforza un elemento fondamentale dell’utopia: la speranza.
Essa, come dice Kant, non nasce da una visione del mondo rassicurante e ottimista, ma col male radicale, che esige di essere scrutato fino in fondo per essere affrontato con la speranza di superarlo. La speranza è la virtù più grande, è una conoscenza completa delle cose, non solo di come appaiono, ma di come debbano essere. Dietro ogni realtà vi sono altre potenzialità, che vanno liberate.
Il disincanto è quindi una forma ironica, malinconica e agguerrita della speranza.
Forse, dice Magris, non ci può essere un vero disincanto filosofico, ma solo poetico, poiché soltanto la poesia può rappresentare le contraddizioni senza risolverle concettualmente. Come esempio pone il libro di Flaubert, L’educazione sentimentale, il libro di tutte le disillusioni che è anche, nella melodia del suo fluire, il libro dell’incanto.
“La storia letteraria occidentale degli ultimi due secoli è storia di utopia e disincanto, della loro inscindibile simbiosi. La letteratura si pone spesso nei confronti della storia come l’altra faccia della luna, lasciata in ombra dal corso del mondo.”
Il disincanto si ricollega anche al disinganno, che è, anch’esso, doloroso smascheramento dell’illusione.
Magris pone come splendido esempio Ferdinand Raimund e la sua commedia La corona magica che reca sventura.
Si tratta di un racconto di una fata benevola che dona al protagonista Ewald una fiaccola, che ha il potere di trasfigurare la realtà. La fata Lucina svela a Ewald il trucco, lo avverte che la torcia gli mostrerà solo cose bellissime ma illusorie, il mondo bello ma falso.
La cosa interessante è che la consapevolezza non distrugge tuttavia la seduzione delle cose illuminate. Quella fiaccola non è falsa, ma chi la usa senza sapere la sua magia viene ingannato, chi la rifiuta è altrettanto ottuso. La vita di Ewald, che era invece consapevole del trucco della torcia, si arricchisce.
“Dietro le cose così come sono c’è anche una promessa, l’esigenza di come dovrebbero essere; c’è la potenzialità di un’altra realtà, che preme per venire alla luce.”
Tornando quindi a Leopardi, Magris conclude con una citazione dal Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere, pubblicato nell’edizione delle Operette di Giacomo Leopardi. Si tratta di un dialogo, che si ricollega all’inizio del saggio, dove il passeggere spera in un anno nuovo, più felice di quello ricorrente.
“E pur la vita è una cosa bella. Non è vero?”
Domande da interrogazione
- Quali sono i due termini centrali nel saggio di Claudio Magris e cosa rappresentano?
- Come Magris interpreta l'inizio del nuovo millennio nel contesto del suo saggio?
- Qual è il ruolo di don Chisciotte e Sancho Panza nel saggio di Magris?
- Come viene descritto il disincanto nel saggio?
- Qual è l'importanza della speranza secondo Magris?
I due termini centrali sono "utopia" e "disincanto", che rappresentano due modalità di porsi nel mondo, necessarie per affrontare le sfide con consapevolezza e maturità spirituale.
Magris vede l'inizio del nuovo millennio come un momento di transizione che richiede l'unione di utopia e disincanto per superare le sfide e abbandonare il "terribile secolo Ventesimo".
Don Chisciotte rappresenta l'utopia, la lotta per un mondo migliore, mentre Sancho Panza rappresenta il disincanto, la consapevolezza della realtà. Insieme, simboleggiano l'equilibrio necessario tra sogno e realtà.
Il disincanto è descritto come una consapevolezza malinconica e ironica che rafforza la speranza, riconoscendo le contraddizioni del mondo senza risolverle concettualmente.
La speranza è vista come la virtù più grande, una conoscenza completa delle cose che permette di affrontare il male radicale con l'obiettivo di superarlo, liberando le potenzialità nascoste dietro la realtà.