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Sintesi

Nascita degli Stati Uniti d'America



Le colonie inglesi



Le prime fasi della colonizzazione in America settentrionale



All’inizio del Seicento, l’America Settentrionale era abitata da circa un milione di “indiani” (così chiamati dagli europei di allora). Queste popolazioni erano divise in diverse tribù, in prevalenza nomadi: a seconda da dove si erano stanziati, traevano il loro sostentamento: • Dalla pesca (soprattutto salmone), nei fiumi e nei laghi settentrionali; • Dalla caccia, con i bisonti, nelle praterie centrali; • Dalla coltivazione, del mais nelle aree meridionali.
Agli occhi degli europei lo stile di vita di queste popolazioni era considerato primitivo in quanto, non conoscevano la scrittura, non costruivano città e adoravano spiriti della natura e degli antenati. Se già gli spagnoli e i portoghesi non avevano esitato a impadronirsi delle ricchezze e delle terre delle evolute civiltà del Centro e Sud America, a maggior ragione mercanti e coloni francesi, spagnoli, olandesi e inglesi consideravano un loro diritto naturale fondare basi mercantili e avamposti militari lungo le coste atlantiche del continente. E, a differenza di quanto era accaduto per l’America meridionale, spartita tra Spagna e Portogallo con il trattato di Tordesillas del 1494, per tutto il XVI secolo queste terre non furono dichiarate proprietà esclusiva di nessuno Stato europeo. Tra 1590 e 1620 europei di diverse nazionalità si insediarono sulle coste nordamericane e ampliarono i loro possedimenti nell’entroterra. Nel 1607 alcuni mercanti inglesi fondarono una colonia che prese il nome di Virginia (in onore della regina Elisa-betta I, conosciuta anche con il soprannome di Regina Vergine). Nel 1626 gli olandesi fondarono sul fiume Hudson la città di Nuova Amsterdam: presto conquistata dagli inglesi, in onore di Carlo Stuart, duca di York e re d’Inghilterra dal 1685, venne ribattezzata New York. In quegli anni i francesi occuparono territori sempre più vasti del Canada, mentre gli spagnoli, risalendo dal Messico, si impadronirono di alcune regioni interne.
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Estratto del documento

CAPITOLO 1

LE COLONIE INGLESI IN AMERICA

LE PRIME FASI DELLA COLONIZZAZIONE IN AMERICA SETTENTRIONALE

All’inizio del Seicento, l’America Settentrionale era abitata da circa un milione di “indiani” (così chiamati dagli

europei di allora). Queste popolazioni erano divise in diverse tribù, in prevalenza nomadi: a seconda da dove si

erano stanziati, traevano il loro sostentamento:

• Dalla pesca (soprattutto salmone), nei fiumi e nei laghi settentrionali;

• Dalla caccia, con i bisonti, nelle praterie centrali;

• Dalla coltivazione, del mais nelle aree meridionali.

Agli occhi degli europei lo stile di vita di queste popolazioni era considerato primitivo in quanto, non

conoscevano la scrittura, non costruivano città e adoravano spiriti della natura e degli antenati. Se già gli

spagnoli e i portoghesi non avevano esitato a impadronirsi delle ricchezze e delle terre delle evolute civiltà

del Centro e Sud America, a maggior ragione mercanti e coloni francesi, spagnoli, olandesi e inglesi

consideravano un loro diritto naturale fondare basi mercantili e avamposti militari lungo le coste atlantiche

del continente. E, a differenza di quanto era accaduto per l’America meridionale, spartita tra Spagna e

Portogallo con il trattato di Tordesillas del 1494, per tutto il XVI secolo queste terre non furono dichiarate

proprietà esclusiva di nessuno Stato europeo. Tra 1590 e 1620 europei di diverse nazionalità si insediarono

sulle coste nordamericane e ampliarono i loro possedimenti nell’entroterra. Nel 1607 alcuni mercanti inglesi

fondarono una colonia che prese il nome di Virginia (in onore della regina Elisa-betta I, conosciuta anche con

il soprannome di Regina Vergine). Nel 1626 gli olandesi fondarono sul fiume Hudson la città di Nuova

Amsterdam: presto conquistata dagli inglesi, in onore di Carlo Stuart, duca di York e re d’Inghilterra dal

1685, venne ribattezzata New York. In quegli anni i francesi occuparono territori sempre più vasti del

Canada, mentre gli spagnoli, risalendo dal Messico, si impadronirono di alcune regioni interne.

LA NASCITA DELLE 13 COLONIE INGLESI

Per un lungo periodo gli europei cercarono semplicemente di incrementare i propri scambi con gli indiani: si

trattava di un commercio molto vantaggioso per i mercanti, che in cambio di semplici prodotti delle industrie

del nostro continente ricevevano pellicce, legname, oro e argento. Nel corso del Seicento, invece, francesi e

inglesi cominciarono a emigrare in America in gruppi sempre più numerosi in cerca di terre in cui trasferirsi e

iniziare una nuova vita. Dall’Inghilterra partirono intere famiglie di contadini o borghesi che fuggivano verso il

Nuovo Mondo per sottrarsi alla povertà o alle tormentate vicende politiche del loro paese. L’11 novembre 1620

sbarcarono sul suolo americano dalla nave Mayflower 102 cittadini inglesi: sono considerati i primi veri coloni

americani (chiamati per questo i Padri Pellegrini), poiché fino a quel momento si erano creati solamente avam-

posti governativi e militari o puramente commerciali. Tra 1620 e 1630 giunsero in America settentrionale

dall’Inghilterra molti puritani, cioè protestanti calvinisti che in patria avevano sofferto la supremazia della

Chiesa anglicana e volevano ora creare in America delle

comunità basate sulla propria fede religiosa. Costoro erano alla

ricerca di una terra di completa libertà dove costruire un mondo

nuovo basato sulla giustizia e sull’autentico spirito religioso.

L’emigrazione crebbe nel periodo del dominio di Cromwell

sull’Inghilterra (cioè verso la metà del secolo): ai puritani e agli

esponenti più estremisti della contestazione anti-episcopaliana

(spesso animati da sentimenti antimonarchici e repubblicani) si

unirono infatti molti cavalieri filomonarchici sconfitti nella

guerra civile. Questa umanità composita, organizzata

inizialmente in comunità chiuse, ciascuna delle quali

caratterizzata dall’appartenenza a un movimento religioso o a

una comune ideologia politica, fondò le colonie del cosiddetto

New England («Nuova Inghilterra»): Massachusetts, New

Hampshire, Connecticut e Rhode Island. Non si trattava dunque

di coloni guidati e assistiti nei loro nuovi insediamenti dal-le

Compagnie commerciali o dalle autorità dello Stato inglese:

anzi, l’interesse del go-verno nei confronti di queste colonie

crebbe solo in un secondo tempo, cioè man mano che esse si

strutturarono. Solo nella seconda metà del XVII secolo Londra fece davvero valere la propria autorità su queste

comunità. Da allora altri immigrati si insediarono più a sud e sorsero altre colonie abitate in grande prevalenza

da inglesi. Alla metà del Settecento esse erano diventate tredici: a quelle del New England si erano aggiunte

New York, Pennsylvania, New Jersey, Delaware, Maryland, Virginia, North Carolina, South Carolina e

Georgia. I RAPPORTI CON LA MADREPATRIA

I sovrani inglesi si limitarono a riconoscere di volta in volta la nascita delle diverse colonie. Essi concessero agli

abitanti il privilegio dell’appartenenza alla comunità dei sudditi sottoposti alla corona. Perciò, in modo formale, i

cittadini inglesi che vivevano in America, avevano gli stessi diritti di chi risiedeva nelle isole britanniche. A

rappresentare gli interessi della corona e del Parlamento inglese in ciascuna colonia era un governatore, nominato

da Londra. Ciascun governatore nominava i propri consiglieri e formava con uomini di sua scelta un’assemblea

di notabili in rappresentanza dei coloni. Non si poteva, tuttavia, ignorare l’autonoma organizzazione che gli

emigranti si era-no dati nel fondare le loro nuove comunità. Essi, infatti, si ispiravano allo stesso principio che

trionfò in patria con la Gloriosa rivoluzione del 1689: la giusta forma dello Stato deve essere stabilita attraverso

un accordo tra i cittadini e un «contratto» con i loro go-vernanti, che esercitano i propri poteri con il consenso dei

governati. Perciò le colonie si erano date, sul modello parlamentare, delle autonome assemblee rappresentative

(dette «Camere basse» per distinguerle dalle «Camere alte», quelle composte da notabili scelti dal governatore).

Queste assemblee, di gran lunga le più influenti, erano elette democraticamente dai coloni stessi. Qui si

esercitava il vero potere legislativo: i rappresentanti che vi sedevano venivano eletti dai coloni più ricchi, come

avveniva per la Ca-mera dei Comuni del Parlamento inglese. La percentuale di abitanti che avevano diritto di

voto nelle colonie era tuttavia più ampia di quella prevista in patria: costituivano, in-fatti, nelle diverse colonie,

tra il 50 e il 70% della popolazione adulta maschile. Ogni colonia si dava quindi le proprie leggi e godeva di una

certa libertà politica. Questa veniva rispettata da Londra, dove tuttavia non era prevista l’elezione di

rappresentanti dei coloni americani nel Parlamento inglese. La maggiore democraticità e la più intensa

partecipazione politica che si registrava nel-le colonie americane si basavano su modelli che risalivano ai tempi

della prima fase delle emigrazioni dalla madrepatria. I Padri Pellegrini, per esempio, avevano stipulato tra loro un

libero patto tra eguali detto Mayflower Compact («accordo del Mayflower»), nel quale dichiaravano la loro

unione per motivi religiosi, la loro fedele appartenenza al regno inglese, la loro volontà di creare (nella colonia

che fu poi detta Massachusetts) una società libera fondata sull’accordo e sulla partecipazione di tutti al bene

comune. Un analogo patto era fissato nei Fundamental Orders («Ordinamenti fondamentali») sotto-scritti dagli

emigranti che nel 1639 avevano fondato la colonia del Connecticut. Questi liberi patti federativi erano l’ani-ma

ispiratrice delle istituzioni e delle tradizioni politiche delle colonie americane. E Londra non poteva che

riconoscere le libere istituzioni che traevano ispirazione da questi principi. Nel corso del Settecento, quindi,

l’America settentrionale sottoposta alla corona inglese era una società quasi del tutto priva della divisione in

classi tipica dell’Ancien régime : ordinamenti e consuetudini riconoscevano pari diritti e doveri a tutti i cittadini,

ciascuno dei quali doveva a se stesso la propria fortuna (una concezione fortemente motivata dall’etica del lavoro

calvinista ) e si vedeva riconosciuta dalle autorità loca-li pari dignità con qualsiasi altro cittadino della colonia.

DINAMISMO SOCIALE E DEMOGRAFICO

Sfruttando le straordinarie risorse naturali del territorio e facendo leva sullo spirito di intraprendenza degli

abitanti, l’economia delle tredici colonie inglesi registrò un co-stante progresso. Basti pensare che all’ini-zio del

Settecento gli abitanti erano circa 250.000, mentre intorno al 1775 erano di-ventati quasi due milioni e mezzo.

Questa crescita impressionante era in parte dovuta al costante flusso di immigrazione prove-niente dall’Europa

(ancora inglesi, ma an-che irlandesi, tedeschi e ugonotti francesi, e non bisogna dimenticare i circa 500.000

schiavi deportati dall’Africa, concentrati quasi esclusivamente nelle colonie più meridionali), ma era ormai

sostenuta soprattutto dall’incremento naturale della popolazione residente. L’economia della regione, insomma,

poteva sostenere una popolazione in continuo aumento, e garantire alla classe sociale più agiata, cioè ai medi e

grandi proprietari di terre e di aziende, livelli di benessere molto elevati. Numerosi erano gli individui di più

recente immigrazione, spesso molto poveri e disposti a ogni impiego, che in America occupavano nuovi

appezzamenti negli sconfinati territori ancora da conquistare o trovavano lavoro salariato nelle città, per poi

cominciare a salire una scala sociale ben più mobile di quella che si erano lasciati alle spalle in Europa. All’élite

dei grandi proprietari e imprenditori si affiancava inoltre un’attiva classe media cittadina di artigiani, mercanti e

professionisti e una orgogliosa classe me-dia di contadini liberi che con il loro lavoro avevano conquistato la

proprietà della terra che lavoravano. Nelle città vi erano poi i ceti più poveri (dai salariati a chi viveva ancora di

espedienti), ma anche chi apparteneva a questa classe poteva aspirare ad arrivare con il proprio lavoro a un

miglioramento e persino alla completa trasformazione del-la propria posizione sociale. Non era raro che persone

di umile nascita e senza mezzi riuscissero a risparmiare, ad avviare una propria attività, a sviluppare una propria

idea per diventare protagonisti nella produzione di beni, nel commercio, nel mondo della cultura e nella politica.

Nella mentalità americana, il merito personale e l’etica del lavoro costituivano la vera fonte della dignità di ogni

persona.

L’ECONOMIA DELLE COLONIE

Mentre la particolare storia delle colonie giustificava il rispetto dell’Inghilterra per la loro autonomia politica, la

madrepatria interveniva con molta più decisione in campo economico: i coloni potevano vendere le merci più

preziose (tabacco, pelli, legname, cotone, ferro) solo alla madre patria e non potevano sviluppare industrie che

facessero concorrenza a quelle inglesi. Tuttavia, i coloni non pagavano tasse e potevano incrementare

liberamente le proprie attività. L’economia della regione era suddivisa grosso modo in tre diverse aree:

• Al Nord (New Hampshire, Massachusetts, Connecticut, Rhode Island) si coltivava-no cereali e legumi in

aziende agricole piccole e medie – di proprietà di agricoltori liberi – dove la maggioranza della popolazione

produceva soprattutto per il proprio sostentamento. Vi era tuttavia una grande disponibilità di pelli e

soprattutto di legname, che aveva permesso di sviluppare nelle città della costa nume-rosi cantieri navali. I

commerci con l’Inghilterra (pelli, metalli, legname) erano molto sviluppati e davano lavoro a una classe di

attivi mercanti;

• Al Centro (New York, Pennsylvania, New Jersey, Delaware) l’agricoltura poteva es-sere ancor più sviluppata

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