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Italia liberale
1. La Sinistra al potere
Negli anni ’70 ci furono alcuni mutamenti significativi in Italia:
- aumentò il numero dei deputati di centro o indipendenti
- la Destra si divise in gruppi a base regionale
- la Sinistra assunse posizioni più moderate. Essa era divisa in:
o sinistra piemontese guidata da Depretis
o sinistra storica degli ex garibaldini
o sinistra giovane (moderna) espressione della borghesia moderata (meridionale) poco sensibile alla tradizione democratico-risorgimentale e attenta alla tutela dei propri interessi
nel 1876 la Destra fu divisa nella discussione alla Camera per il passaggio alla gestione statale delle ferrovie. Il governo Minghetti (in minoranza) presentò le dimissioni e il re affidò il governo a Depretis (Sinistra). Nelle elezioni la Sinistra (radical-moderati, moderati e conservatori) riportò un grande successo (declino della Destra sostituita dai borghesi e moderati). Con la rivoluzione parlamentare si aprì una nuova fase nella storia politica dell’Italia unita: un ceto dirigente inesperto nel governo dello stato e diverso per formazione ed estrazione sociale dal precedente era al potere. Morirono Mazzini, Vittorio Emanuele II (a cui successe Umberto I), Pio IX e Garibaldi [protagonisti delle lotte risorgimentali]. La Sinistra tentò di allargare le basi dello Stato e andò incontro alle esigenze della crescente borghesia. Il protagonista di questa fase politica fu Depretis (leader della Sinistra e capo del governo per più di 10 anni, mazziniano in gioventù e poi di posizioni più moderate, parlamentare espertissimo) che riuscì ad unire le spinte progressiste e le tendenze conservatrici che coesistevano nella nuova maggioranza. Il programma della Sinistra si basava su alcuni punti fondamentali:
- riforma dell’istruzione elementare che ne assicurasse obbligo e gratuità: prima riforma attuata (1877), nota come legge Coppino e ribadiva l’obbligo della frequenza scolastica stabilito dalla legge Casati (fino a 9 anni + sanzioni per i genitori che non la rispettavano). Questa legge fu solo formale poiché non venivano dati i soldi ai comuni e le famiglie al Sud erano molto poverepur diminuendo la percentuale degli analfabeti rimase molto alta.
- diminuzioni fiscali nel settore delle imposte indirette (abolizione tassa sul macinato)
- decentramento amministrativo (accantonato)
- allargamento del suffragio elettorale: era legato al problema dell’istruzione (problema centrale). La nuova legge elettorale (1882) concedeva il diritto al voto a tutti i cittadini di 21 anni che avessero superato l’esame elementare obbligatorio o dimostrassero di saper leggere e scrivere. Il censo era in alternativa all’istruzione e abbassato della metà. Per l’alto tasso di analfabetismo il numero dell’elettorato era sempre molto basso ma triplicato e modificato nella composizione (piccola borghesia urbana, artigiani e operai del Nord). Questa fu il coronamento della stagione di riforme della Sinistra.
le prime elezioni a suffragio allargato fecero accedere alla Camera il socialista Andrea Costa. Preoccupati dall’allargamento del suffragio e dal rafforzamento dell’estrema Sinistra Depretis (sinistra) e Minghetti (destra) fecero un accordo elettorale chiamato “trasformismo” che veniva meno alle tradizionali distinzioni ideologiche tra Destra e Sinistra (che rinunciava ad una rigida caratterizzazione). Ciò cambiò la fisionomia della Camera e la lotta politica: a un modello bipartitico se ne sostituiva uno basato sul grande centro che inglobava le opposizioni moderate ed emarginava le ali estreme e la maggioranza veniva costruita tramite compromessi (immobilismo nell’azione di governo e scadimento della vita politica). Ciò provocò il distacco dei democratici più avanzati chiamati radicali (vs trasformisti) sotto la guida di Bertani (poi Cavallotti) che si battevano per:
- il suffragio universale
- una politica estera antiaustriaca
- una politica ecclesiastica più anticlericale
- più forte impegno in favore delle classi povere
2. Crisi agraria e sviluppo industriale.
Il malcontento della politica economica della Destra aveva causato la sua caduta. La Sinistra tentò di andare incontro alle esigenze dei ceti popolari (meno imposte indirette) e della borghesia produttiva (incoraggiare investimenti e ricchezze). Con l’abolizione della tassa sul macinato (‘84) e le spese militari fu aumentata la spesa pubblica. Questa politica favorì l’avvio di un nuovo processo di industrializzazione ma fece ricomparire un deficit nel bilancio statale senza riuscire a superare le difficoltà economiche a causa dell’arretratezza agricola. Con la caduta delle barriere doganali si era incrementata la produzione ma non migliorata [solo leggermente nelle zone più progredite (Lombardia, colture specializzate Mezzogiorno, Bassa PadanaFerrarese: bonifiche promosse da imprenditori capitalisti)]. Ma nel resto d’Italia la situazione non era cambiata né erano migliorate le condizioni di vita dei lavoratori che venivano sottopagati ed erano malnutriti e analfabeti. Il Parlamento decise di aprire un’Inchiesta agraria (1877-84) presieduta da Jacini dove emerse un quadro drammatico dell’agricoltura italiana e vennero indicati come rimedi:
- estensione delle opere di bonifica e irrigazione
- più razionale avvicendamento e diversificazione delle colture.
Tutto ciò richiedeva abbondanza di capitali e disponibilità all’investimento dei privati (mancanti soprattutto nel Mezzogiorno). Nel 1881 in Italia si manifestò la crisi agraria con un brusco abbassamento dei prezzi (dei cereali e della produzione agricola eccetto quelle esportate) che portò al calo della produzione e al conseguente disagio per le categorie agricole e provocò l’aumento delle conflittualità nelle campagne e l’incremento di flussi migratori all’estero (verso i paesi transoceanici). Ciò indebolì la produzione italiana e rallentò il processo di trasformazione capitalistica dell’agricoltura impedendone lo sviluppo ma indirizzò i capitali in altri impieghi e fece cadere le illusioni di chi credeva che lo sviluppo economico si fondasse solo sull’agricoltura. La Sinistra non voleva intervenire nell’economia ma dovettero ripensarci in seguito all’andamento disastroso dell’economia nazionale e approvò vari dazi doganali che offrivano protezione ai prodotti industriali (tessile) con effetti molto limitati. Le Acciaierie di Terni (complesso siderurgico) furono costruite col contributo finanziario delle varie banche nazionali e con l’aiuto dello Stato che voleva raggiungere l’autosufficienza negli armamenti (indispensabili per essere una grande potenza). Vennero introdotti dazi doganali anche sulle industrie siderurgiche volute da industriali e proprietari terrieri (favorevoli al liberismo ma colpiti dalla crisi). Nel 1887 venne introdotta una nuova tariffa generale che proteggeva l’industria nazionale (siderurgica, laniera, cotoniera e zuccheriera) dalla concorrenza straniera (alti dazi d’entrata sulle merci di importazione) e venne triplicato il dazio sui cereali. Finì la tradizione liberoscambista e nacque un nuovo blocco di potere economico fondato sull’alleanza tra i maggiori gruppi di interesse e il potere. La scelta protezionistica accentuò gli squilibri tra i vari settori economici e le varie zone del paese (i dazi non proteggevano uniformemente il paese: forte nel campo siderurgico, laniero cotoniero; basso in quello meccanico, della seta). L’introduzione del dazio sul grano aumentò i prezzi giovando le aziende in crisi e danneggiando i consumatori e mantenne l’arretratezza del Mezzogiorno. L’agricoltura meridionale veniva colpita nelle colture specializzate (settore più moderno) che si reggeva sulle esportazioni. Da ciò nacque una guerra doganale con la Francia (principale partner economico) andando a scapito del Mezzogiorno.
3. La politica estera: la Triplice alleanza e l’’espansione coloniale.
Nel 1882 Depretis stipulò con la Germania e l’Austria la Triplice alleanza (sgradita all’opinione pubblica) abbandonando la linea seguita dagli altri governi basata sulle buone relazioni con tutte le potenze. Ciò avvenne poiché l’Italia voleva uscire da una situazione di isolamento diplomatico che non le aveva permesso di ottenere vantaggi nel congresso di Berlino né dall’affare tunisino: l’Italia voleva la colonizzare la Tunisia ma la Francia ebbe la meglio peggiorando i rapporti italo-francesi. La Triplice era un’alleanza di carattere difensivo che consisteva nel reciproco aiuto in caso di attacco delle altre potenze. Da ciò l’Italia non ebbe vantaggi (aiuto in caso di un’improbabile attacco della Francia) ma dovette rinunciare alla conquista del Trentino e della Venezia Giulia che era problema tenuto vivo dalle associazioni “irredentiste” della sinistra repubblicana e radicale (Oberdan: impiccato per aver cercato di uccidere l’Imperatore austriaco). La situazione diplomatica italiana migliorò col rinnovo della Triplice alleanza e l’introduzione di 2 nuove clausole:
- le modifiche territoriali nei Balcani sarebbero avvenute di comune accordo tra Austria e Italia e che i vantaggi sarebbero stati bilanciati.
- la Germania sarebbe intervenuta a fianco dell’Italia in caso di conflitto contro la Francia in Marocco e Tripolitania
Nel frattempo, l’Italia, aveva intrapreso un’iniziativa coloniale in Africa orientale di facile espansione e concorrenza meno agguerrita ma con pochi interessi economici e strategici. Nel 1882 acquistò la baia di Assab (costa meridionale del Mar Rosso) che confinava con l’Impero etiopico (più forte e vasto tra gli Stati africani) e inviò un corpo di spedizione. L’Etiopia era molto arretrato economicamente con una popolazione cristiana dedita alla pastorizia con un’organizzazione feudale dove l’imperatore era limitato rispetto ai signori locali che avevano propri eserciti. Inizialmente l’Italia cercò di stabilire buoni rapporti con l’Etiopia e di avviare una penetrazione commerciale, ma quando tentò di allargarsi verso l’interno si scontrò con l’imperatore Giovanni IV e nel 1887 l’esercito italiano venne massacrato vicino Dogali che suscitò proteste in Italia (gruppi di estrema sinistra che si erano opposti a questa impresa) ma la Camera consolidò la presenza italiana sul territorio.
4. Movimento operaio e organizzazioni cattoliche.
La crescita di un movimento operaio fu rallentata dal ritardo dello sviluppo industriale e dall’assenza di un proletariato di fabbrica moderno e consistente. La maggioranza degli addetti all’industria erano lavoranti di botteghe artigiane, molti operai erano anche contadini e nel settore tessile era molto diffuso il lavoro a domicilio. Negli anni ‘70 l’unica organizzazione operaia di consistenza era la società di mutuo soccorso (associazioni mazziniane organizzate da esponenti moderati). Queste organizzazioni avevano scopi di solidarietà, rifiutavano la lotta di classe e consideravano dannoso il ricorso allo sciopero. Perciò persero terreno man mano che lo scontro sociale si faceva più aspro e si diffondeva l’internazionalismo socialista (ispirato alle teorie anarchiche di Bakunin e Marx). La crescita del movimento internazionalista fu esortato da agitatori (fedeli a Bakunin) che si concentrarono nell’organizzazione di moti insurrezionali facendo leva sul proletariato e sulle campagne. Il fallimento di questi tentativi convinse Costa ad elaborare un programma concreto impegnandosi nelle lotte giornaliere e dando vita al Partito socialista rivoluzionario di Romagna (’81) (poteva diventare il primo nucleo di un partito rivoluzionario italiano ma rimase sempre regionale) e che rese possibile la sua elezione. Agli inizi degli anni ’70 erano sorte in numerosi centri industriali: circoli operai, società di miglioramento e leghe di resistenza che avevano dato forte impulso all’azione rivendicativa dei lavoratori. Alcune associazioni operaie milanesi formarono il Partito operaio italiano (associazione politica autonoma) rigidamente classista (federazione di associazioni operaie, non vero partito). Gli operaisti cercarono di stabilire un contatto con il proletariato rurale della Bassa Padana (protagonista dei primi grandi scioperi agricoli dell’Italia unita). Nel 1887-93:
- nacquero le prime federazioni di mestiere nazionali
- furono fondate le Camere del lavoro (sindacali a base locali)
- si accelerò la penetrazione del socialismo fra i lavoratori della terra grazie all’unione di braccianti e contadini
- nacque il problema di un’organizzazione politica unitaria capace di guidare le lotte nazionali (non di facile soluzione per la frammentazione organizzativa del movimento operaio e dello scarso grado della maturazione ideologica)
Labriola (filosofo napoletano, teorico marxista e socialista grazie ad Hegel) contribuì alla conoscenza del pensiero marxista in Italia ma rimase una figura isolata tra i leader socialisti. Filippo Turati fu il principale protagonista della nascita del Partito socialista italiano. Esso fu intellettuale milanese di formazione positivistica, nacque da una famiglia dell’alta borghesia lombarda e da giovane fu nella democrazia radicale; fu decisivo per la sua formazione politica l’incontro con Anna Kuliscioff (esule russa) e il contatto con l’ambiente operaio di Milano. La sua posizione fu molto chiara nelle scelte politiche di fondo:
- affermazione dell’autonomia del movimento operaio dalla democrazia borghese
- rifiuto dell’insurrezionismo anarchico
- riconoscimento del carattere prioritario delle lotte economiche
- esigenza di collegare queste lotte con quelle politiche e inquadrarle in un progetto generale che mirava alla socializzazione dei mezzi di produzione.
Nel 1892 a Genova si riunirono i delegati di 300 società operaie, leghe contadine, circoli politici e varie associazioni; e si delineò la frattura tra maggioranza favorevole alla costituzione di un partito e una minoranza contraria (anarchici e aderenti al Partito operaio). Non potendo trovare un accordo i delegati di Turati abbandonarono il congresso e dichiararono il Partito dei lavoratori italiani che avevano come scopo la gestione sociale dei mezzi di produzione e come mezzo l’azione del proletariato organizzato in partito e mostrato in 2 aspetti:
- lotta di mestieri per i miglioramenti immediati della vita operaia
- lotta più ampia volta a conquistare i poteri pubblici
l’anno seguente il partito venne chiamato Partito socialista italiano.
Oltre alla minaccia del partito socialista c’era quella dei cattolici militanti fedeli al papa che non organizzavano scioperi ma erano comunque ribelli e non riconoscevano la legittimità del nuovo Stato. Essi si dividevano in :
- cattolici intransigenti: non erano disposti a una via di incontro con lo Stato (“né eletti né elettori”) privi di strategia politica (continuatori della missione dell’800 e combattono il cattolicesimo liberale)
- cattolici transigenti: costruzione partito cattolico conservatore
In un convegno a Venezia esponenti cattolici diedero vita a un’organizzazione nazionale chiamata Opera dei congressi controllata dal clero (convocare periodicamente i congressi) e mirava a contrastare il liberalismo laico, della democrazia e del socialismo e a prestare fedeltà al papa e alla dottrina cattolica. Dopo il 1878 divenne papa Leone XIII che accentuò il suo impegno sociale: nascita di società di mutuo soccorso, cooperative agricole e artigiane controllate dal clero. Con la nascita di queste associazione la classe dirigente ebbe atteggiamenti incerti:
- portati a combattere l’associazionismo cattolico in tutte le sue forme
- indotti a riconsiderare l’importanza di un accordo con la Chiesa per la stabilità politica e sociale del paese che ma si scontò con l’intransigenza del papa sulla questione della sovranità su Roma.
5. La democrazia autoritaria di Francesco Crispi.
Alla morte di Depretis (1887) successe Crispi (ministro degli Interni, sinistra parlamentare primo meridionale al Consiglio. Mazziniano e garibaldino da giovane) appoggiato dalla sinistra e dai conservatori e riuscì a cambiare il governo:
• accentuò le spinte autoritarie e repressive
• riorganizzò e razionalizzò lo Stato
• nel 1888 fu approvata una legge comunale e provinciale:
- estendeva il diritto di voto per le elezioni amministrative (maschi maggiorenni che sapessero leggere e scrivere o pagassero 5 lire di imposte l’anno)
- rendeva elettivi i sindaci dei comuni con più di 10.000 abitanti
• nel 1889 fu introdotto un nuovo codice penale (Zanardelli) che:
- aboliva la pena di morte
- non negava il diritto di sciopero riconoscendone la legittimità
- legge di pubblica sicurezza (contraddice ↑) che limitava la libertà sindacale e lasciava alla polizia ampi poteri (a domicilio elementi pericolosi senza l’autorizzazione della magistratura)
Crispi voleva anche affermare il ruolo dell’Italia come grande potenza coloniale e decise di rafforzare i rapporti con l’Impero tedesco [inasprimento dei rapporti italo-francesi (guerra doganale)] e la Triplice alleanza che doveva preservare l’Italia da nuove iniziative francesi e servire da base in Africa (nuova spedizione a Massaua: i possedimenti furono ampliati e riorganizzati nella Colonia Eritrea e venne organizzata una spedizione in Somalia). Questa politica coloniale suscitò perplessità perché troppo costosa in crisi. In minoranza Crispi si dimise (’91), prese il potere Rudinì (destra conservatrice VS politica coloniale).
6. Giolitti, i Fasci siciliani e la Banca romana.
Poi successe Giolitti (1842, non partecipò alle lotte risorgimentali, critico della politica economica di Sinistra, carriera nell’amministrazione statale). Mirava a una più equa ripartizione del carico fiscale (più alto ai ricchi)(politica finanziaria), e si asteneva dalla repressione dei movimenti operai (politica interna). Nel ’92-3 in Sicilia si sviluppò un movimento di protesta sociale dei Fasci (lega) dei lavoratori nelle città e nelle campagne contro le tasse troppo pesante, il malgoverno locale e chiedevano terre da coltivare per i contadini (no movimento rivoluzionario o socialista) e la classe dirigente convinse Giolitti ad adottare misure eccezionali. La Banca romana era uno dei maggiori istituti di credito d’Italia che poteva stampare moneta (su autorizzazione del ministero del Tesoro). Quando Roma era in espansione fu attraversata da una febbre speculativa impegnando somme nell’edilizia e nell’80 ci fu una crisi economica che fece fallire molte imprese debitrici, per uscire da questa crisi la Banca romana cominciò a stampare monete false. Nell’89 un’inchiesta giornalistica mostrò l’intreccio tra mondo politico e speculazione edilizia e bancaria (anche Giolitti e Crispi furono finanziati da questa per le campagne elettorali). Giolitti (ministro del Tesoro), accusato di aver coperto queste irregolarità, si dovette dimettere nel ’93 ma le prove furono manovrate dai gruppi conservatori e Crispi per sbarazzarsene e venne richiamato quest’ultimo alla sostituzione (ancora più colpevole).
7. Il ritorno di Crispi e la sconfitta di Adua.
Crispi inasprì le tasse per risanare il bilancio statale, introdusse la Banca d’Italia (1926: monopolio di emissione) e proclamò lo stato d’assedio in Sicilia in cui ci furono repressioni dure e sanguinose. A tutto il paese vennero estese operazioni di polizia contro leghe del Partito socialista. Nel 1894 vennero introdotte leggi antianarchiche che limitavano (ma volevano limitare il partito socialista dichiarato fuori legge) le libertà di stampa e di riunione (come Bismark). Ma questi provvedimenti fecero aumentare le simpatie verso i socialisti nella sinistra democratica e negli ambienti intellettuali e si decise di attenuare l’intransigenza elettorale e di intraprendere alleanze con i partiti progressisti (’95: furono eletti 12 candidati socialisti) che aumentò le difficoltà del governo Crispi. Crispi aveva cercato di stabilire un protettorato n Etiopia firmando con Menelik (negus = imperatore) il trattato di Uccialli che conteneva forti ambiguità:
- gli italiani lo videro come un riconoscimento del loro protettorato sull’Etiopia
- Menelik lo vide come un patto di amicizia e collaborazione
risolto l’equivoco i rapporti tra i 2 paesi si deteriorarono e gli italiani ripresero la loro penetrazione nell’Eritrea e vennero sconfitti ad Amba Alagi e 3 mesi dopo attaccarono l’esercito etiopico. Nel 1896 l’Italia fu sconfitta ad Adua e ci furono violente manifestazioni contro questa guerra (mostrando quanto le guerre coloniali fossero poco sentite dalla massa) e il governo si dimise (mostrò quanto illusorio fosse il tentativo di Crispi di portare al successo un paese privo di premesse politiche ed economiche per farlo). A Crispi (uscito definitivamente) successe Rudinì che concluse con l’Etiopia una pace che garantiva la presenza italiana in Eritrea e Somalia.
22. L'ITALIA LIBERALE
1. La Sinistra al potere
Negli anni ’70 ci furono alcuni mutamenti significativi in Italia:
- aumentò il numero dei deputati di centro o indipendenti
- la Destra si divise in gruppi a base regionale
- la Sinistra assunse posizioni più moderate. Essa era divisa in:
sinistra piemontese guidata da Depretis
o sinistra storica degli ex garibaldini
o sinistra giovane (moderna) espressione della borghesia moderata (meridionale) poco
o sensibile alla tradizione democratico-risorgimentale e attenta alla tutela dei propri interessi
nel 1876 la Destra fu divisa nella discussione alla Camera per il passaggio alla gestione statale delle
ferrovie. Il governo Minghetti (in minoranza) presentò le dimissioni e il re affidò il governo a Depretis
(Sinistra). Nelle elezioni la Sinistra (radical-moderati, moderati e conservatori) riportò un grande
rivoluzione parlamentare
successo (declino della Destra sostituita dai borghesi e moderati). Con la si
aprì una nuova fase nella storia politica dell’Italia unita: un ceto dirigente inesperto nel governo dello
stato e diverso per formazione ed estrazione sociale dal precedente era al potere. Morirono Mazzini,
Vittorio Emanuele II (a cui successe Umberto I), Pio IX e Garibaldi [protagonisti delle lotte
risorgimentali]. La Sinistra tentò di allargare le basi dello Stato e andò incontro alle esigenze della
crescente borghesia. Il protagonista di questa fase politica fu Depretis (leader della Sinistra e capo
del governo per più di 10 anni, mazziniano in gioventù e poi di posizioni più moderate, parlamentare
espertissimo) che riuscì ad unire le spinte progressiste e le tendenze conservatrici che coesistevano
nella nuova maggioranza. Il programma della Sinistra si basava su alcuni punti fondamentali:
- riforma dell’istruzione elementare che ne assicurasse obbligo e gratuità: prima riforma
legge Coppino
attuata (1877), nota come e ribadiva l’obbligo della frequenza scolastica
stabilito dalla legge Casati (fino a 9 anni + sanzioni per i genitori che non la rispettavano).
Questa legge fu solo formale poiché non venivano dati i soldi ai comuni e le famiglie al Sud
erano molto poverepur diminuendo la percentuale degli analfabeti rimase molto alta.
- diminuzioni fiscali nel settore delle imposte indirette (abolizione tassa sul macinato)
- decentramento amministrativo (accantonato)
- allargamento del suffragio elettorale: era legato al problema dell’istruzione (problema
centrale). La nuova legge elettorale (1882) concedeva il diritto al voto a tutti i cittadini di 21
anni che avessero superato l’esame elementare obbligatorio o dimostrassero di saper leggere
e scrivere. Il censo era in alternativa all’istruzione e abbassato della metà. Per l’alto tasso di
analfabetismo il numero dell’elettorato era sempre molto basso ma triplicato e modificato
nella composizione (piccola borghesia urbana, artigiani e operai del Nord). Questa fu il
coronamento della stagione di riforme della Sinistra.
le prime elezioni a suffragio allargato fecero accedere alla Camera il socialista Andrea Costa.
Preoccupati dall’allargamento del suffragio e dal rafforzamento dell’estrema Sinistra Depretis
(sinistra) e Minghetti (destra) fecero un accordo elettorale chiamato “trasformismo” che veniva meno
alle tradizionali distinzioni ideologiche tra Destra e Sinistra (che rinunciava ad una rigida bipartitico
caratterizzazione). Ciò cambiò la fisionomia della Camera e la lotta politica: a un modello
grande centro
se ne sostituiva uno basato sul che inglobava le opposizioni moderate ed emarginava
le ali estreme e la maggioranza veniva costruita tramite compromessi (immobilismo nell’azione di
governo e scadimento della vita politica). Ciò provocò il distacco dei democratici più avanzati
chiamati radicali (vs trasformisti) sotto la guida di Bertani (poi Cavallotti) che si battevano per:
- il suffragio universale
- una politica estera antiaustriaca
- una politica ecclesiastica più anticlericale
- più forte impegno in favore delle classi povere
2. Crisi agraria e sviluppo industriale.
Il malcontento della politica economica della Destra aveva causato la sua caduta. La Sinistra tentò di
andare incontro alle esigenze dei ceti popolari (meno imposte indirette) e della borghesia produttiva
(incoraggiare investimenti e ricchezze). Con l’abolizione della tassa sul macinato (‘84) e le spese
militari fu aumentata la spesa pubblica. Questa politica favorì l’avvio di un nuovo processo di
deficit nel bilancio statale
industrializzazione ma fece ricomparire un senza riuscire a superare le
difficoltà economiche a causa dell’arretratezza agricola. Con la caduta delle barriere doganali si era
incrementata la produzione ma non migliorata [solo leggermente nelle zone più progredite
(Lombardia, colture specializzate Mezzogiorno, Bassa PadanaFerrarese: bonifiche promosse da
imprenditori capitalisti)]. Ma nel resto d’Italia la situazione non era cambiata né erano migliorate le
condizioni di vita dei lavoratori che venivano sottopagati ed erano malnutriti e analfabeti. Il
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un’Inchiesta agraria Jacini
Parlamento decise di aprire (1877-84) presieduta da dove emerse un
quadro drammatico dell’agricoltura italiana e vennero indicati come rimedi:
- estensione delle opere di bonifica e irrigazione
- più razionale avvicendamento e diversificazione delle colture.
Tutto ciò richiedeva abbondanza di capitali e disponibilità all’investimento dei privati (mancanti
soprattutto nel Mezzogiorno). Nel 1881 in Italia si manifestò la crisi agraria con un brusco
abbassamento dei prezzi (dei cereali e della produzione agricola eccetto quelle esportate) che portò
al calo della produzione e al conseguente disagio per le categorie agricole e provocò l’aumento delle
conflittualità nelle campagne e l’incremento di flussi migratori all’estero (verso i paesi transoceanici).
Ciò indebolì la produzione italiana e rallentò il processo di trasformazione capitalistica dell’agricoltura
impedendone lo sviluppo ma indirizzò i capitali in altri impieghi e fece cadere le illusioni di chi
credeva che lo sviluppo economico si fondasse solo sull’agricoltura. La Sinistra non voleva
intervenire nell’economia ma dovettero ripensarci in seguito all’andamento disastroso dell’economia
nazionale e approvò vari dazi doganali che offrivano protezione ai prodotti industriali (tessile) con
Acciaierie di Terni
effetti molto limitati. Le (complesso siderurgico) furono costruite col contributo
finanziario delle varie banche nazionali e con l’aiuto dello Stato che voleva raggiungere
l’autosufficienza negli armamenti (indispensabili per essere una grande potenza). Vennero introdotti
dazi doganali anche sulle industrie siderurgiche volute da industriali e proprietari terrieri (favorevoli
nuova tariffa generale
al liberismo ma colpiti dalla crisi). Nel 1887 venne introdotta una che
proteggeva l’industria nazionale (siderurgica, laniera, cotoniera e zuccheriera) dalla concorrenza
straniera (alti dazi d’entrata sulle merci di importazione) e venne triplicato il dazio sui cereali. Finì la
nuovo blocco di potere economico
tradizione liberoscambista e nacque un fondato sull’alleanza tra i
maggiori gruppi di interesse e il potere. La scelta protezionistica accentuò gli squilibri tra i vari settori
economici e le varie zone del paese (i dazi non proteggevano uniformemente il paese: forte nel
campo siderurgico, laniero cotoniero; basso in quello meccanico, della seta). L’introduzione del dazio
sul grano aumentò i prezzi giovando le aziende in crisi e danneggiando i consumatori e mantenne
colture specializzate
l’arretratezza del Mezzogiorno. L’agricoltura meridionale veniva colpita nelle
(settore più moderno) che si reggeva sulle esportazioni. Da ciò nacque una guerra doganale con la
Francia (principale partner economico) andando a scapito del Mezzogiorno.
3. La politica estera: la Triplice alleanza e l’’espansione coloniale.
Nel 1882 Depretis stipulò con la Germania e l’Austria la Triplice alleanza (sgradita all’opinione
pubblica) abbandonando la linea seguita dagli altri governi basata sulle buone relazioni con tutte le
potenze. Ciò avvenne poiché l’Italia voleva uscire da una situazione di isolamento diplomatico che
non le aveva permesso di ottenere vantaggi nel congresso di Berlino né dall’affare tunisino: l’Italia
voleva la colonizzare la Tunisia ma la Francia ebbe la meglio peggiorando i rapporti italo-francesi. La
Triplice era un’alleanza di carattere difensivo che consisteva nel reciproco aiuto in caso di attacco
delle altre potenze. Da ciò l’Italia non ebbe vantaggi (aiuto in caso di un’improbabile attacco della
Francia) ma dovette rinunciare alla conquista del Trentino e della Venezia Giulia che era problema
tenuto vivo dalle associazioni “irredentiste” della sinistra repubblicana e radicale (Oberdan:
impiccato per aver cercato di uccidere l’Imperatore austriaco). La situazione diplomatica italiana
rinnovo della Triplice alleanza
migliorò col e l’introduzione di 2 nuove clausole:
- le modifiche territoriali nei Balcani sarebbero avvenute di comune accordo tra Austria e Italia e
che i vantaggi sarebbero stati bilanciati.
- la Germania sarebbe intervenuta a fianco dell’Italia in caso di conflitto contro la Francia in
Marocco e Tripolitania
Nel frattempo, l’Italia, aveva intrapreso un’iniziativa coloniale in Africa orientale di facile espansione
e concorrenza meno agguerrita ma con pochi interessi economici e strategici. Nel 1882 acquistò la
baia di Assab (costa meridionale del Mar Rosso) che confinava con l’Impero etiopico (più forte e
vasto tra gli Stati africani) e inviò un corpo di spedizione. L’Etiopia era molto arretrato
economicamente con una popolazione cristiana dedita alla pastorizia con un’organizzazione feudale
dove l’imperatore era limitato rispetto ai signori locali che avevano propri eserciti. Inizialmente
l’Italia cercò di stabilire buoni rapporti con l’Etiopia e di avviare una penetrazione commerciale, ma
quando tentò di allargarsi verso l’interno si scontrò con l’imperatore Giovanni IV e nel 1887 l’esercito
italiano venne massacrato vicino Dogali che suscitò proteste in Italia (gruppi di estrema sinistra che
si erano opposti a questa impresa) ma la Camera consolidò la presenza italiana sul territorio.
4. Movimento operaio e organizzazioni cattoliche.
La crescita di un movimento operaio fu rallentata dal ritardo dello sviluppo industriale e dall’assenza
di un proletariato di fabbrica moderno e consistente. La maggioranza degli addetti all’industria erano
lavoranti di botteghe artigiane, molti operai erano anche contadini e nel settore tessile era molto
lavoro a domicilio.
diffuso il Negli anni ‘70 l’unica organizzazione operaia di consistenza era la
società di mutuo soccorso (associazioni mazziniane organizzate da esponenti moderati). Queste
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organizzazioni avevano scopi di solidarietà, rifiutavano la lotta di classe e consideravano dannoso il
ricorso allo sciopero. Perciò persero terreno man mano che lo scontro sociale si faceva più aspro e si
diffondeva l’internazionalismo socialista (ispirato alle teorie anarchiche di Bakunin e Marx). La
movimento internazionalista
crescita del fu esortato da agitatori (fedeli a Bakunin) che si
concentrarono nell’organizzazione di moti insurrezionali facendo leva sul proletariato e sulle
campagne. Il fallimento di questi tentativi convinse Costa ad elaborare un programma concreto
Partito socialista rivoluzionario di Romagna
impegnandosi nelle lotte giornaliere e dando vita al (’81)
(poteva diventare il primo nucleo di un partito rivoluzionario italiano ma rimase sempre regionale) e
che rese possibile la sua elezione. Agli inizi degli anni ’70 erano sorte in numerosi centri industriali:
circoli operai, società di miglioramento e leghe di resistenza che avevano dato forte impulso
Partito
all’azione rivendicativa dei lavoratori. Alcune associazioni operaie milanesi formarono il