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Concetti Chiave

  • Lo sviluppo industriale tra il XIX e XX secolo in Italia ha fortemente influenzato la crescita economica, con un focus speciale sul Nord-Ovest, coinvolgendo settori come la siderurgia, la cantieristica e l'automobilismo.
  • La questione sociale emerse con forza, caratterizzata dalla nascita di una classe operaia organizzata e supportata da sindacati e partiti socialisti, nonostante le divisioni interne tra riformisti e massimalisti.
  • Il Mezzogiorno d'Italia rimase arretrato, innescando una significativa emigrazione verso l'America che, seppur impoverendo il sud, portò benefici economici attraverso le rimesse degli emigrati.
  • Giovanni Giolitti, con la sua politica di trasformismo, cercò di stabilizzare il paese attraverso riforme sociali e l'ingresso dei cattolici in politica, culminando nel Patto Gentiloni per ottenere voti.
  • Nonostante i successi interni, l'inefficacia dell'intervento di Giolitti nel Sud e la sua controversa politica coloniale in Libia portarono alla sua caduta e alla successiva instabilità politica che condusse l'Italia verso la Prima Guerra Mondiale.

Indice

  1. Sviluppo industriale in Italia
  2. Lotta operaia e divisioni sociali
  3. Questione meridionale e migrazione
  4. Dottrina sociale della chiesa
  5. Assassinio del re e cambiamenti politici
  6. Età giolittiana e riforme
  7. Politica estera e guerra di Libia
  8. Conseguenze della guerra di Libia

Sviluppo industriale in Italia

La crescita del settore industriale fu decisiva per aumentare la ricchezza ed il prestigio del paese.

Inizialmente si svilupparono l'industria siderurgica, cantieristica e gli impianti idroelettrici ma un grande sviluppo lo conobbe anche l'industria meccanica, sia quella pesante, che fabbricava locomotive e macchine per l'agricoltura, sia quella leggera, in cui invece spiccava la produzione delle nuove automobili, come la Fiat, che fu fondata a Torino da Giovanni Agnelli nel 1899.

Ebbero infine uno sviluppo anche il settore tessile, in particolar modo il cotone, ma anche il settore chimico, alimentare ed estrattivo. Lo sviluppo industriale però riguardò soprattutto le regioni nord-occidentali d'Italia e, in particolar modo, il triangolo industriale, cioè Lombardia, Liguria e Piemonte.

Nel mentre il centro dava segni di crescita mentre il sud, sotto questo punto di vista, rimase molto indietro.

Lotta operaia e divisioni sociali

In questo periodo si inizia a diffondere anche la classe sociale degli operai, che lottavano per ottenere migliori condizioni lavorative e un ruolo nella vita pubblica italiana.

Erano ben organizzati e venivano rappresentati dal Partito Socialista che era nato nel 1892 e guidato da Filippo Turati.

Nel 1906 si era inoltre formata la CGL, cioè la confederazione generale del lavoro, ovvero un grande sindacato nazionale degli addetti in fabbrica.

Inoltre in molte città operavano le camere del lavoro, che erano strettamente legate al mondo sindacale e al Partito Socialista, mentre i braccianti agricoli si erano organizzati nel 1901 con la fondazione della federterra, ovvero la federazione dei lavoratori della terra.

Ciò però aumentò la conflittualità sociale, in quanto il numero degli scioperi e delle ore di astensione dal lavoro aumentò.

Nonostante ciò il movimento operaio non era unito perché lo stesso Partito Socialista era diviso nella corrente riformista, che sosteneva l'aumento della partecipazione delle masse popolari alla vita pubblica del paese, e nella corrente massimalista, che invece aveva idee più rivoluzionarie.

Questione meridionale e migrazione

Più importante ancora è la questione meridionale, che riguardava lo stato di arretratezza economica e sociale del sud Italia.

Qui l'agricoltura era ancora basata sui latifondi e sullo sfruttamento estensivo della terra e non si erano affermate le innovazioni che in quegli stessi anni avevano avvantaggiato il nord.

Le pesanti carenze delle infrastrutture inoltre costituivano un ostacolo per lo sviluppo di una moderna economia, in quanto erano quasi completamente assenti industrie di medie o grandi dimensioni e, soprattutto, tecnologicamente avanzate, cosa che portò alla mancanza di una borghesia capitalista.

Inoltre l'amministrazione pubblica era arretrata, la disoccupazione era frequente, l’analfabetismo era molto diffuso e le diverse forme di criminalità organizzata acquistavano sempre maggior potere.

Le precarie condizioni igieniche causavano la diffusione di varie malattie.

Per tutti questi problemi circa 8 milioni di persone iniziarono a lasciare l'Italia, migrando soprattutto in America.

Questo processo determinò l’impoverimento umano, ma ebbe anche dei risvolti positivi perché alleggerì la pressione demografica ed inoltre le rimesse, cioè l'invio di denaro in patria da parte degli emigrati, divennero fondamentali per le entrate italiane e contribuirono al sostentamento delle famiglie.

Dottrina sociale della chiesa

Il Regno d'Italia nasce con Papa Pio IX, che si trova in aperta rivolta con il nuovo stato italiano, ed aveva emanato nel 1868 il "non expedit", con cui vietava ai cattolici italiani di partecipare alla vita pubblica nazionale.

All'inizio del 1900 le cose però cambiarono, in quanto Leone XIII pubblicò la "rerum novarum", con la quale da un lato riprendeva le idee di Pio IX, in quanto condannò il socialismo e la lotta di classe, ma dall’altro invitò i fedeli ad occuparsi dei lavoratori che vivevano nella miseria, formando così delle associazioni di mutuo soccorso, cioè di soccorso reciproco.

Ciò porta alla nascita della dottrina sociale della chiesa, in quanto i cattolici si aiutavano tra di loro mostrando solidarietà, soprattutto per la classe cittadina.

È proprio in questi anni che nascono le leghe bianche, ovvero dei sindacati cattolici ad opera di Guido Miglioli.

Tale dottrina venne promossa da Romolo Murri, che si batté anche per la nascita di un movimento democratico cristiano autonomo rispetto alle autorità religiose e, proprio per questo, fu giudicato troppo avanzato e quindi scomunicato da Papa Pio X.

Le gerarchie cattoliche dovettero però fare i conti con l'avanzare del modernismo teologico, cioè la tendenza a cercare punti di contatto tra dottrina, pensiero filosofico, progresso ed evoluzione.

Assassinio del re e cambiamenti politici

L'Italia all'inizio del 900 parte con l’uccisione del re Sicilia, ovvero il Re Umberto I, che viene ucciso da Gaetano Bresci, ovvero un anarchico che manifestò contro il re.

Questo perché il re aveva appoggiato la svolta autoritaria imposta dalla politica italiana, prima da Crispi e poi dal Marchese di Rudinì e da Luigi Pelloux, che aveva proposto al parlamento l'approvazione di una serie di leggi che limitavano le libertà costituzionali. Il parlamento aveva bocciato la proposta ma le gravi tensioni sociali non si erano spente e per questo nel 1898 a Milano il generale Beccaris aveva preso a cannonate la folla e Bresci aveva ucciso Umberto I per vendicare proprio quelle morti. Il nuovo re Vittorio Emanuele III, consapevole della situazione, abbandonò l'autoritarismo e tornò all'osservanza dello Statuto, affidando il compito di guidare l'esercito a Giuseppe Zanardelli, che concesse l'amnistia qui condannati politici e garantì la libertà d'espressione. Si ebbe così un arretramento delle forze conservatrici e l’avanzata di quelle più aperte.

Età giolittiana e riforme

Dalle 1901 al 1903 Giolitti fu ministro dell'interno del governo di Zanardelli. Lui era stato precedentemente capo dell'esecutivo per un breve periodo e, dopo esser tornato al potere, poté realizzare il suo progetto politico, che divenne così importante tanto che questo periodo prese il nome di età giolittiana. Lui era un liberale di tendenze riformiste e nella sua visione le concessioni al popolo costituivano lo strumento migliore per allargare le basi democratiche ed evitare un clima negativo all'interno dello stato. Tra le sue più importanti riforme troviamo quella del suffragio universale maschile del 1912, con la quale il diritto di voto venne dato a tutti i cittadini maschi maggiorenni che sapessero leggere e scrivere o che avessero compiuto il servizio militare altrimenti avrebbero dovuto aspettare il raggiungimento dei 30 anni.

Lui promuove anche una legislazione sociale, cioè leggi che riguardano le classi più povere, come l'istruzione elementare obbligatoria. Forma l'Ina, che garantiva allo stato il controllo delle assicurazioni sulla vita, incrementò i salari, diede anche ai lavoratori il diritto al riposo settimanale e soprattutto il diritto di sciopero.

Giolitti fu un uomo politico attivo e seppe costruire un potere basato sul trasformismo, cioè di cambiare di volta in volta orientamento e alleanze per creare maggioranze parlamentari, andando oltre le tradizionali distinzioni tra destra e sinistra.

Lui inizia così a cercare voti là dove ci sono, alleandosi così con i cattolici.

In questi anni Gentiloni era il presidente della società cattolica, che fino a quel momento si era astenuta dal voto se non per le amministrative.

Giolitti quindi per vincere le elezioni aveva bisogno dei voti dei cattolici e, per questo, si instaura tra i due il Patto Gentiloni, cioè il sostegno di Giolitti nelle elezioni del 1913 in cambio di alcune riforme, cioè che lo stato si impegna a non promuovere i divorzi, a favorire le operazioni delle leghe bianche e ad esaltare le scuole private, in quanto guidate da preti. Giolitti spera quindi in una vittoria elettorale che però sarà breve perché l'Europa sta per entrare nella prima guerra mondiale.

L'azione di Giolitti però si mostrò inefficace di fronte alle grandi difficoltà del Mezzogiorno d'Italia.

Gli interventi promossi a Roma per migliorare il Meridione furono limitati e il malcontento della società fu spesso represso con le armi.

Giolitti fu addirittura definito "ministro della malavita" da Gaetano Salvemini, che lo accusava di considerare il Mezzogiorno come un serbatoio di voti, in quanto il sud Italia non ottenne alcun vantaggio dalla politica di Giolitti ed infatti l'industrializzazione non venne promossa.

Gli investimenti nel mezzogiorno furono pochi e la società fu costretta a sfruttarli per rimediare alle conseguenze del terremoto che si ebbe a Reggio Calabria e Messina nel 1908.

Per questo durante questi anni il Meridione non migliorò ma anzi la sua situazione lo separava sempre di più dal nord Italia.

Secondo Salvemini quindi Giolitti non esitava a servirsi della corruzione, promettendo vantaggi in cambio del voto delle comunità, facendo spesso ricorso all’intimizzazione degli avversari.

Questi metodi gli assicuravano una maggioranza stabile alla Camera dei Deputati, che era controllata in modo così saldo tanto da iniziare a chiamarla dittatura parlamentare.

Giolitti fu inoltre accusato del trasformismo che mise in atto.

Nel complesso il governo di Giolitti portò grandi benefici e in particolar modo uno sviluppo economico e sociale, in quanto la vita pubblica appariva fortemente democratizzata e il paese si trovava sulla strada della modernizzazione.

Politica estera e guerra di Libia

Giolitti praticò una politica estera prudente, in quanto conservò l'impegno della triplice alleanza assieme a Germania ed austria-ungheria e, in prospettiva di un'eventuale ripresa della politica coloniale, cercò di avviare rapporti più stretti con altre potenze europee, soprattutto con la Francia, in quanto Roma era disposta ad accettare l'espansione di Parigi in Marocco, in cambio del suo aiuto per la conquista di due regioni della Libia.

Giolitti così decise di riprendere la politica coloniale, che si può riassumere con la guerra di Libia in quanto lui porta avanti il colonialismo.

Giolitti mirò così alla Libia, approfittando della debolezza dell'impero ottomano.

Inoltre, decise di puntare proprio ad essa perché era l'unico territorio non ancora sottoposto al dominio di una nazione europea e di conseguenza la sua conquista avrebbe garantito all'Italia un ruolo internazionale di rilievo.

L'occupazione della Libia avrebbe però soddisfatto anche le richieste del movimento nazionalista ed inoltre avrebbe fornito terre da coltivare verso le quali dirottare parte dell”emigrazione.

Conseguenze della guerra di Libia

Giolitti parte quindi per l'impresa di Libia dal 1911 al 1912.

La guerra fu uno sforzo caratterizzato da un successo veloce perché gli italiani riuscirono a conquistare vari territori dopo essere sbarcati a Tripoli.

L'anno dopo decise di partire con la marina e di occupare l'Isola di Rodi e del Dodecaneso.

A luglio un comando di navi piccole e veloci violò lo stretto dei Dardanelli, dimostrando la debolezza delle difese turche.

Il sultano chiese allora l'armistizio e la guerra si chiuse con il patto di Losanna, che sanci la vittoria dell'Italia, che diventa una forza coloniale.

Tale conquista non portò vantaggi economici ma favori un clima politico diverso perché si rafforzarono i nazionalisti, che avevano una politica di supremazia, e si scinsero i socialisti, che formarono il partito socialista riformista italiano.

Giolitti ottenne quindi vari consensi ma non poter godere a lungo di questo trionfo.

Nel 1912 Giolitti aveva promosso una nuova legge elettorale, che dava il diritto di voto a tutti i cittadini maschi.

La nuova legge fu applicata nel 1913 e le elezioni furono un successo per Giolitti, che poté contare su un'ampia maggioranza parlamentare. Il nuovo governo però si mostrò molto instabile, tanto che Giolitti fu costretto a dimettersi.

Al suo posto venne nominato presidente del consiglio Antonio Salandra, appoggiato da Giolitti stesso, con il quale l'Italia tornò a una politica conservatrice. A causa di alcune manifestazioni che portarono alla morte di varie persone, la situazione si ribaltò, tanto che poco dopo il 28 giugno 1914 a Sarajevo inizia la prima guerra mondiale.

Domande da interrogazione

  1. Quali furono i settori industriali che contribuirono alla crescita economica dell'Italia tra il XIX e il XX secolo?
  2. La crescita economica dell'Italia fu trainata dallo sviluppo dell'industria siderurgica, cantieristica, meccanica, tessile, chimica, alimentare ed estrattiva, con un particolare focus sul triangolo industriale del nord-ovest.

  3. Quali furono le principali sfide sociali affrontate dagli operai italiani durante questo periodo?
  4. Gli operai italiani lottarono per migliori condizioni lavorative e un ruolo nella vita pubblica, rappresentati dal Partito Socialista e dalla CGL, ma affrontarono divisioni interne tra riformisti e massimalisti.

  5. In che modo la "questione meridionale" influenzò l'emigrazione dall'Italia?
  6. La "questione meridionale" causò un'emigrazione massiccia di circa 8 milioni di persone, principalmente verso l'America, a causa dell'arretratezza economica e sociale del sud Italia.

  7. Come si evolse il rapporto tra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano all'inizio del 1900?
  8. Il rapporto si evolse con la pubblicazione della "rerum novarum" da parte di Leone XIII, che condannò il socialismo ma incoraggiò i cattolici a formare associazioni di mutuo soccorso, portando alla nascita della dottrina sociale della Chiesa.

  9. Quali furono le conseguenze della guerra di Libia per l'Italia?
  10. La guerra di Libia portò all'Italia un ruolo internazionale di rilievo e soddisfò le richieste nazionaliste, ma non portò vantaggi economici significativi e contribuì a divisioni politiche interne.

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