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Il nuovo volto dell’Europa
La guerra aveva provocato trasformazioni in ambito sociale:
• Le vecchie aristocrazie vennero sostituite dai ceti imprenditoriali.
• Il potere della piccola e media borghesia venne ridotto.
• I ceti operai prendevano la rivoluzione bolscevica come un modello da imitare.
• La trasformazione industriale dall’economia di guerra a quella civile portò alla chiusura di molte fabbrica e, di conseguenza, il licenziamento di molti operai.
• Bisognava ripagare gli Stati Uniti dei prestiti in guerra.
• Vi era poi il problema dei reduci, i quali trovavano difficoltà a trovare lavoro e a reinserirsi nella vita civile. Tale malcontento fu sfruttato dai partiti ultra-nazionalistici e anti-democratici.
Inoltre vi furono radicali cambiamenti geopolitica a causa dei trattati di pace, formando così un quadro politico fragile e adatto all’affermazione di stati autoritari.
Europa centro-orientale Austria Venne ridotta ad un piccolo stato, divenne una repubblica governata dal partito cristiano-sociale e con l’opposizione del partito socialdemocratico. Il partito comunista provò ad affermarsi ma senza successo.
Ungheria Repubblica ricca di problemi economici e di tensioni tra i governi. Nel 1919 divenne ministro il leader comunista Kun che cercò di esportare il modello sovietico all’interno e ai paesi vicini; ciò porto all’intervento della Romania e della Cecoslovacchia che invasero l’Ungheria e misero al potere l’ammiraglio Horthy, il quale instaurò un regime conservatore destinato ad evolversi, nel 1932, in senso fascista.
Paesi Baltici e Polonia Polonia Ricostruita come Stato dei trattati di Versailles, vi si insediò un governo conservatore. Nel 1919 venne eletto presidente della repubblica il nazionalista Pilsudski, che con un colpo di stato instaurò una dittatura repressiva nei confronti delle rivendicazioni operaie e contadine.
Lituania Si instaurarono regimi dittatoriali.
Estonia
Lettonia
Balcani Regno di Jugoslavia Costituito da Serbia, Montenegro, Croazia e Slovenia con al potere re Pietro I. Nel 1928 il successore Alessandro I sciolse il Parlamento e instaurò una dittatura che concentrava i poteri nelle sue mani.
Albania Il presidente della repubblica Zogu si autoproclamò re e trasformò il paese in una monarchia autoritaria e repressiva.
Penisola Iberica Spagna Pur non partecipando alla guerra subirono entrambe un’involuzione in senso autoritario.
Portogallo
Impero Ottomano Uscito sconfitto dal primo conflitto mondiale:
1. Gli alleati avevano assunto il controllo degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli.
2. Le forze greche avevano occupato le zone di confine.
3. Armeni e Curdi premevano l’indipendenza da Istanbul.
Tornò il leader dei “Giovani Turchi” Mustafa Kemal e si pose come obiettivo la salvaguardia dell’unità territoriale del Paese, la resistenza alle politiche straniere e la sconfitta dell’indipendentismo di curdi e armeni. Grazie all’appoggio dell’’URSS avviò una resistenza nazionalistica, seguita da una guerra civile conclusasi nel 1922 con la cacciata delle forze straniere ed il soffocamento delle rivolte curde e armene. Il 1° Ottobre il parlamento trasformò la Turchia in Repubblica con capitale Ankara, di cui Kemal ne divenne presidente l’anno seguente.
Il dopoguerra nelle democrazie europee
Francia Avendo sistemi politici ormai stabili e consolidati non si ebbe la nascita di governi dittatoriali. Nel 1919 si affermò una coalizione di centro-destra che attuò una politica economica favorevole allo sviluppo dell’iniziativa imprenditoriale, ma poco attenta agli interessi ed ai bisogni dei ceti più deboli. Le elezioni del 1924 portarono al potere i cartelli delle sinistre, che portarono ad una crisi economica e finanziaria per via del boicottaggio degli esponenti del grande capitale francese nei confronti delle iniziative del governo. Dal 1926 al 1929 il paese fu guidato da Poincarè che stabilizzò l’economia del Paese.
Gran Bretagna Dopo la guerra vi furono molte difficoltà economiche; dal 1918 al 1929 i conservatori erano al potere (nel 1924 i laburisti). Ormai il partito liberale era in netta minoranza rispetto agli altri due raggruppamenti. Si riacutizzò la questione irlandese: il compromesso della Home Rule aveva lasciato insoddisfatti i nazionalisti irlandesi che continuavano a chiedere l’indipendenza raccolti nel partito di Fein. La rivolta di Pasqua vene repressa violentemente dagli inglesi, allora Fein nel 1919 proclamò l’indipendenza irlandese e creò un parlamento nazionale (ovviamente non riconosciuto da Londra). La seguente guerra civile si concluse nel 1921 con la divisione dell’isola in due parti:
1. al Regno Unito: 9 contee settentrionali (Ulster).
2. Stato di dominion alle contee meridionali (praticamente indipendenti). Nel 1949 si dichiararono completamente indipendenti dall’Inghilterra e diedero vita alla Repubblica d’Irlanda.
Gli Stati Uniti: crescita economica e fenomeni speculativi
Gli anni successivi al conflitto furono un periodo di sviluppo economico:
1. Investirono in Europa finanziando la ricostruzione ed esportando i loro prodotti.
2. La riscossione dei debiti di Francia e Inghilterra da parte degli USA portò i primi a sollecitare la Germania al pagamento dei danni, privandola di ogni risorsa per la ricostruzione.
3. La crescita della produzione fu inarrestabile, che portò un atteggiamento isolazionista e protezionistico con alte tariffe doganali per difendere il mercato interno.
Tale crescita non era stata però accompagnata da un aumento dei consumi interni e la ricchezza prodotta dall’espansione economica non si era distribuita equamente, ciò porto il tenore di vita della maggioranza degli statunitensi a peggiorare e quindi alla paura di far rimanere invenduti i prodotti. Nacque dunque il credito per contrastare questa paura (per esempio si poteva pagare a rate), ma per accedere ad esso i ceti medio-bassi ipotecavano le loro case, il che portava ad un’illimitata fiducia nei mercati azionari. Molte piccole imprese ora preferivano investire in titoli piuttosto che nella produzione, si diede il via allora ad una serie di interventi speculativi. Si era dunque creata una bolla speculativa (aumento dei prezzi a causa dell’aumento della domanda) ed il sistema reggeva sul costante aumento dei titoli azionari, ma ciò non sarebbe durato per sempre.
Gli USA erano però un paese creditore nei confronti dell’Europa e ciò produsse allarmanti fenomeni monetari: il declino del Gold standard, causato dalla grande quantità di cartamoneta emessa per finanziare le spese belliche, portò ad un processo svalutativo. Alla fine del 1919 le valute europee risultavano deprezzate rispetto al dollaro, ciò produsse fenomeni inflattivi in Francia, Italia e Germania. Cresceva l’importanza della Borsa di Wall Street a New York, dove dominava una logica affaristica molto diversa da quella della City e contribuiva a renderei flussi borsistici pericolosamente inaffidabili. Alla conferenza economica di Genova del 1922 venne dato l’addio definitivo al Gold standard e venne introdotto il Gold Exchange Standard che consentì una stabilizzazione delle fluttuazioni monetarie.
La crisi del ’29 ed il crollo di Wall Street
L’ottobre del 1929 crollarono i titoli della Borsa di Wall Street che portò ad una crisi economica gigantesca (la “Grande Depressione”) con conseguenze pesantissime a livello mondiale: le aziende fallirono e licenziarono gli operai, alcune banche fallirono poiché impossibilitate di riscuotere i debiti; si ebbe una grave crisi di liquidità che provocò pesanti cadute dei prezzi e dei prodotti. Inizialmente le autorità sottovalutarono la crisi ma essa si rivelò lunga e profonda e coinvolse ampi settori economici nazionali ed internazionali. Questa crisi produsse conseguenze economiche, psicologiche e politiche. La propaganda nei paesi che si dichiaravano critici nei confronti del capitalismo sfruttò la crisi per sostenere la superiorità dei sistemi alternativi e autarchici (paese senza importazioni) di produzione e organizzazione dell’economia.
Gli stati adottarono politiche protezionistiche in modo da aumentare l’intervento statale nell’economia.
Roosevelt e il New Deal
La depressione economica raggiunse il culmine nel 1931 e nei primi mesi del 1932. Venne eletto nel 1932 presidente il candidato democratico Roosevelt, proponendo un programma completo ed organico: il New Deal per sottolineare il carattere innovativo della sua politica.
1. In economia seguiva le teorie di Keynes, ritenendo necessari sostanziali correttivi alle tradizionali politiche economiche. Per far ripartire la produzione pianificò interventi statali commissionando opere pubbliche, riducendo il numero dei disoccupati e stimolando i consumi.
2. Ristrutturazione del sistema finanziario, il governo creò commissari di controllo sulle attività degli istituti di credito e si curò di vigilare sulla Borsa per tutelare gli investimenti dei piccoli risparmiatori. Inoltre svalutò il dollaro sui mercati internazionali per incoraggiare le esportazioni.
La crisi venne superata nel 1940.
IL FASCISMO ALLA CONQUISTA DEL POTERE
L’Italia in crisi del dopoguerra
L’Italia era uscita vincitrice ma si era diffuso un senso di delusione a causa della vittoria mutilata. Alla conferenza di Parigi i rappresentanti italiani Orlando e Sonnino abbandonarono polemicamente la riunione.
• Doveva essere risolta la “questione di Fiume”, la quale era stata dichiarata libera in guerra ma che venne occupata da D’Annunzio e dei volontari (“Legionari”) proclamando l’annessione di Fiume all’Italia; la Società delle Nazioni condannò tale impresa come violazione dei trattati di pace.
• Inoltre si aggiungevano disagi sociali: i reduci avevano sacrificato anni in trincea in cambio di un rinnovamento sociale e la ricostruzione di un paese più equo e progredito MA il reinserimento era difficoltoso a causa della scarsità di lavoro e delle ditte.
• Il deficit di bilancio dello Stato era spaventoso: l’inflazione e la perdita del potere di acquisto della lira portarono gravi disagi fra i piccoli risparmiatori e producevano il declassamento della piccola e media borghesia.
• Gli operai persero il lavoro a causa della conversione da industrie di guerra ad industrie di pace. Immutata invece la situazione di braccianti e contadini.
• Si inasprirono i conflitti sociali tra le classi dirigenti liberali e le forze popolari e sindacali. Il periodo tra il 1919 ed il 1920 venne definito “biennio rosso” a causa delle continue manifestazioni organizzate dal partito socialista ed i sindacati; i ceti borghesi temevano una rivoluzione sul modello di quella sovietica.
Il ritorno di Giolitti e la crisi del liberalismo
Nel 1919 si tennero le elezioni politiche, con sistema proporzionale che distribuiva i seggi ad ogni partito in proporzione ai voti ottenuti. Aumentava così il peso elettorale dei partiti di massa, come il Partito socialista ed il Partito popolare, ma il potere rimase in mano ai liberali.
Partito popolare Fondato da don Luigi Sturzo, rappresentava le forze cattoliche e proponeva un cattolicesimo democratico e si batteva per una riforma dello stato liberale nel senso di una maggior apertura alle esigenze sociali dei ceti deboli, combattendo le tendenze monopolistiche e oligarchiche del capitalismo nazionale. Si difende la piccola proprietà e c’era l’esigenza di una radicale riforma agraria che smantellasse i latifondisti al sud.
Partito socialista Il partito socialista uscì rafforzato dalle elezioni. La maggioranza riformista non condivideva l’interpretazione del marxismo offerta dalla rivoluzione bolscevica MA una minoranza fondata da Gramsci vedeva il modello sovietico l’unica concreta applicazione delle teorie marxiste.
I liberali erano però incapaci di gestire la situazione poiché faceva fatica ad adeguarsi alle novità sociali ed ideologiche del dopoguerra: i partiti di massa rappresentavano la maggioranza della popolazione. Dopo il governo di Nitti ritorno al potere Giolitti che presiedette il consiglio dei ministri dal giugno 1920 al luglio 1921; il suo governo si basava come sempre sul gestire lo scontro sociale in modo da ricomporne gli eccessi. Assume una politica attendista di fronte all’occupazione delle terre e delle fabbriche e rifiutò di impiegare l’esercito. In politica estera ricompose la frattura diplomatica causata dalla spedizione di Fiume, rinunciò al mandato italiano sull’Albania e definì i confini contesi con la Jugoslavia ottenendo Istria e Zara ma rinunciando a Fiume e parte della Dalmazia. Successivamente liberò Fiume dall’avanzata dannunziana.
La strategia Giolittiana però risultò inadeguata, ed individuando nei socialisti il pericolo maggiore per la democrazia liberale creò un fronte antisocialista cercando un’alleanza popolare ed una nuova forza politica: i Fasci di combattimento di Mussolini (in realtà più pericolosa dei socialisti ma Giolitti non se ne accorse).
I Fasci di combattimento
Mussolini fin da giovane aveva militato fra le forze socialiste massimaliste ma aveva particolarmente subito il fascino del sindacalismo anarchico di Sorel, inoltre fu un fiero oppositore della guerra di Libia e sostenne con decisione le tesi massimalistiche e rivoluzionarie al congresso socialista di Reggio Emilia (1912), ingaggiando una violenta battaglia con l’ala riformista. Divenne direttore dell’ ”Avanti!”. Allo scoppio del conflitto mondiale assunse una posizione bellicista. Espulso nel 1914 dal partito socialista a causa delle sue posizioni interventiste fondò il giornale “Il popolo d’Italia”, giornale che si definiva socialista ma che si distingueva per il suo acceso interventismo.
Benito Mussolini nel 1919 a Milano fondò i Fasci di combattimento ed ebbe molto successo tra i reduci di guerra e gli appartenenti a ceti medi delusi e colpiti dalla crisi economica poiché cercava di dare voce alle numerose manifestazioni di malcontento sociale e politico che non riuscivano a collocarsi negli schieramenti politici esistenti. Il programma:
1. Rivendicazioni sociali di stampo rivoluzionari: forti imposte sul reddito a carattere progressivo, giornata di lavoro di 8 ore e abbassamento del limite pensionistico a 55 anni.
2. Sentimenti anticapitalisti: eliminazione del senato e nuova Costituzione.
3. Anticlericalismo radicale: sequestro dei beni e fine dei privilegi.
4. Istanze nazionalistiche: nazionalizzazione delle fabbriche d’armi, suffragio universale anche a donne e voto a 18 anni.
Non ebbe successo alle elezioni del 1919, ciò portò il movimento fascista a rivedere le proprie posizioni e si schierò apertamente contro i sindacati. Nel 1920 quindi si trasformo nel “braccio armato” del capitalismo più reazionario. I fascisti, strutturati in squadre paramilitari, organizzavano spedizioni punitive ai danni di scioperanti e sindacalisti, i metodi violenti e antidemocratici dei fascisti fecero proseliti tra gli ex-legionari di Fiume, ma trovarono ampio consenso anche nelle forze armate e nella piccola e media borghesia.
Il fascismo dunque si ritrovava diviso: da un lato la parte violenta e dall’altra la forza politica capace di sedare le proteste sindacali.
La posizione di Giolitti era ambivalente ed ambigua, avvertiva il potenziale eversivo e scarsamente governabile della violenza fascista ma allo stesso tempo pensava che la violenza fascista fosse un’arma di ricatto contro i socialisti riformisti. Esso provò in parte ad arginare la violenza paramilitare ma dovette fronteggiare la disorganizzazione di reparti dello Stato, poiché i fascisti aveva ottenuto ampi consensi presso le amministrazioni locali.
Intanto che i fasci di combattimento facevano sempre più proseliti, il partito socialista si indeboliva a causa delle spaccature interne, nel 1921 Gramsci, Livorno e Bordiga lasciarono tale partito e fondarono il Partito comunista d’Italia, collocandosi nell’orbita dell’Internazionale comunista sovietica. Uscì ben presto anche Maometti, che fondò il Partito socialista unitario.
La marcia su Roma e la conquista del potere
Le elezioni del 1921 definirono gli equilibri politici: i fascisti vennero inseriti nelle liste liberali poiché Giolitti voleva sfruttarli per ristabilire l’ordine pubblico; i risultati elettorali non furono soddisfacenti per i liberali ma l’accordo frutto a Mussolini 35 deputati in parlamento, dove attuò una svolta in senso conservatore e reazionario. I fasci di combattimento divennero Partito nazionale fascista, esso proponeva obiettivi:
1. Difesa dello Stato dall’anarchia sovversiva.
2. La tutela della tradizione e della famiglia.
3. L’esaltazione nazionalistica e patriottica.
4. Il superamento dei conflitti sociali nell’interesse comune del paese.
5. Rivedere le posizioni anticlericali instaurando rapporti col Vaticano.
Il fascismo delle origini (confusionario) si era trasformato in una forza conservatrice, antisocialista e antiliberale, contraria al parlamentarismo. La confusione che regnava in Italia aiutò Mussolini, Giolitti lasciò l’incarico (poiché senza parlamento) e i suoi successori furono incapaci di affrontare la violenza fascista, ormai incontrollabile.
Nel 1922 i socialisti crearono uno sciopero in difesa della legalità, mai fascisti si sostituirono agli operai ed agli impiegati che scioperavano, in modo da rendere lo sciopero un successo per i fascisti, i quali apparivano gli unici in grado di assicurare ordine. Organizzarono la marcia su Roma con l’obiettivo di forzare la mano del governo per ottenere una maggior partecipazione fascista all’esecutivo. Mussolini affidò l’organizzazione ad un quadrunvirato, nel 1922 le “camicie nere” fasciste affluirono a Roma da tutta Italia senza incontrare alcuna resistenza. Vittorio Emanuele II non firmò il decreto per lo stato d’assedio, ma convocò Mussolini a Roma incaricandolo di creare e guidare un governo di coalizione con il sostegno di liberali e popolari. La marcia su Roma fu dunque un successo come prova di forza, tuttavia veniva conservata una parvenza di legalità poiché aveva ricevuto l’incarico dal re di costituire il nuovo governo.
Il comportamento di Vittorio Emanuele II si rivelò dunque ambiguo e, forse, incomprensibile. Ci sono possibili motivazioni che spinsero il sovrano a fare ciò:
1. Evitare uno spargimento di sangue.
2. Il re si sentiva politicamente isolato.
3. La paura per la reazione dei militari collusi con i fascisti e di quei rami dell’aristocrazia vicini alla corona.
4. L’avversione del re nei confronti di ogni altra soluzione, che lo avrebbe portato a ricorrere a uomini di cui diffidava.
Verso il Regime
Il primo governo Mussolini fu un governo di coalizione:
• Al governo vi erano fascisti, liberali popolari e nazionalisti, esponenti della gerarchia militare.
• Poteva contare sul sostegno dei ceti imprenditoriali, degli agrari, delle gerarchie militari e della burocrazia statale, della corte e di settori della Chiesa.
I “fiancheggiatori” del fascismo vedevano nel nuovo governo un male necessario per ristabilire l’ordine nel Paese e da cui sarebbe stato facile liberarsene. Mussolini:
• Manifestò un orientamento a favore della grande impresa e degli agrari (abolito il controllo fiscale sulle aziende e bloccò ogni tentativo di riforma agraria) alla quale si affiancò una rigida politica antisindacale.
• Frenò la violenza dello squadrismo fascista.
• Mantenne questo delicato equilibrio fra le diverse tendenze che rappresentava esaltando la forza originaria del movimento fascista e restringendo la libertà di espressione imponendo la propria volontà.
• Pian piano cercò di svuotare le istituzioni dell’interno con una graduale trasformazione, esautorando il Parlamento dai suoi compiti legislativi.
• Avviò una ristrutturazione del Partito: istituì nel 1922 il Gran Consiglio del fascismo che stabiliva la linea politica del partito e svolgeva un ruolo di raccordo fra partito e governo. Nel 1923 creò la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, un corpo paramilitare in cui confluirono gli elementi più violenti dello squadrismo e che aveva il compito di affiancare le forze di polizia nel mantenimento dell’ordine pubblico. Cercò il consenso della parte più conservatrice delle gerarchie cattoliche.
Nel 1923 venne approvata una nova legge elettorale (legge Acerbo) che introdusse un sistema maggioritario, alle elezioni del 1924 i partiti conservatori si coalizzarono al “listone” governativo. Le elezioni si tennero in un clima di violenza e intimidazione nei confronti degli oppositori al fascismo, il “listone” ottenne il 65% dei consensi e diede a Mussolini una maggioranza schiacciante.
Il delitto Matteotti e l’instaurazione del Regime
Matteotti (deputato socialista) denunciò in parlamento le violenze avvenute durante le elezioni, venne rapito poco dopo e ritrovato morto. Ciò portò ad una protesta popolare e l’abbandono di Montecitorio (“ritiro sull’Aventino”), ad eccezione dei comunisti. Nel 1925 Mussolini affrontò il Parlamento con un discorso dove assumeva la “responsabilità politica, morale, storica” dell’accaduto e dichiarò l’intento di porre fine ad ogni opposizione il fascismo divenne una vera e propria dittatura. Vennero emanate nel 1925 e 1926 le “Leggi fascistissime”, che distruggevano ogni libertà politica, di espressione, di associazione.
Leggi Fascitissime Accrescere i poteri del governo ed indebolire quelli del Parlamento: Nel 1925 una prima legge trasformava il presidente del Consiglio in capo del Governo, ricevendo anche il diritto di stabilire l’ordine del giorno della discussione parlamentare e di ripresentare al Parlamento le leggi che in precedenza non erano state approvate. Così l’organo legislativo veniva ridimensionato. La camera dei deputati venne sostituita dalla camera dei Fasci e delle Corporazioni, dove i membri erano nominati dagli organi del partito fascista.
Limitare le autonomie locali ed insituire la figura del podestà attraverso una serie di leggi.
Reprimere le opposizioni e sciogliere i partiti non fascisti con l’attentato a Mussolini di Bologna 1926:
1. Il governo sciolse tutti i partiti politici tranne quello fascista.
2. Gli organi di stampa dell’opposizione vennero chiusi.
3. Ristabilita la pena di morte per reati politici.
4. Istituita una polizia segreta di Stato (OVRA).
5. Si creò un Tribunale speciale per la difesa dello Stato, composto specialmente da uomini della milizia fascista.
Presto ogni opposizione venne debellata ed il partito fascista era riuscito a porre sotto il proprio potere ogni potere politico.
il fascismo regime
Lo Stato fascista e l’organizzazione del consenso
Lo Stato Fascista si basava su un processo completo di educazione e di controllo, ogni momento della vita doveva essere organizzato e controllato: Fascistizzato. Nel 1925 il filosofo Gentile col “Manifesto degli intellettuali del Fascismo” tentò di dare una struttura organica alle teorie fasciste, secondo lui lo stato fascista:
1. Subordina l’individuo a sé.
2. Esprime la totalità degli italiani.
3. Si contrapponeva allo stato liberale (subordinato all’individuo).
4. Abolisce il conflitto Stato-sindacato.
Lo Stato era l’organismo che si poneva al di sopra degli individui, idea organistica legata allo “Stato etico”: valore individuale supremo dove si identificava l’interesse della collettività. Si contrapponeva alla concezione liberale ed alle teorie socialiste. Così il Fascismo tentò di percorrere una “terza via”, alternativa al capitalismoliberale ed al socialismo marxista.
L’obiettivo della fascistizzazione del Paese (mai completamente raggiunto) si adoperò principalmente di uno strumento: il Partito nazionale fascista, da cui dipendevano una serie di organizzazioni collaterali che dovevano rendere omogeneo al Regime il tessuto sociale. Il “Duce” divenne l’oggetto di un diffuso culto di personalità, era il simbolo dell’incorrutibilità morale e della forza dello Stato; la propaganda si serviva di ogni mezzo per diffondere ed esaltare le virtù fasciste. L’educazione, la stampe, l’educazione ed il mondo del lavoro furono oggetto di particolare attenzione da parte del Regime:
• La stampa, per esempio, fu gradualmente assoggettata: nel 1928 venne creato l’Albo professionale dei giornalisti, l’Ufficio stampa e propaganda forniva le “veline” (indicava le notizie che potevano essere diffuse e come).
• L’Istituto luce monopolizzava l’informazione cinematografica.
• L’Unione radiofonica italiana controllata dal Regime nel 1924, vi era un particolare Ente Radio Rurale per i programmi di scuole e campagna.
La scuola: un potente mezzo di controllo
La scuola divenne strumento di indottrinamento e di propaganda attraverso la revisione dei programmi, ma essa avvenne in modo diseguale:
Scuola Elementare Adozione, nel 1928, di un testo scolastico unico approvato dal Regime per tutte le scuole del regno.
Scuola superiore Nel 1923 la riforma Gentile attribuì il primato alla formazione umanistica, con i licei classici come scuole d’élite della futura classe dirigente. Istituì il liceo scientifico e percorsi di formazione tecnico-professionale. Questa riforma penalizzava le classi medio-basse. Inoltre la libertà di insegnamento venne limitata attraverso la nomina governativa delle autorità scolastiche e l’obbligo di giuramento di fedeltà al fascismo per tutti i funzionari pubblici.
Università Vide la nascita di insegnamenti come “Economia corporativa” o “Storia e dottrina del Fascismo” affiancati ai corsi tradizionali. Mantenne una maggior autonomia.
Nacquero organizzazioni fasciste di carattere paramilitare e politico-ideologico che dovevano organizzare il tempo libero dei giovani (ONB) e dei lavoratori (OND), meno diffusi i Gruppi universitari fascisti (GUF).
I rapporti con la Chiesa: i Patti Lateranensi
L’11 Febbraio 1929 Mussolini firma i Patti Lateranensi, patti che avrebbero sanato la rottura tra Stato-Chiesa per la prima volta da anni. Comprendevano:
1. Trattato: reciproco riconoscimento.
2. Convenzione Finanziaria: lo Stato si impegnava a risarcire la Chiesa per la perdita dello Stato pontificio del 1870.
3. Concordato: la Chiesa consolidava la sua presenza nella vita civile degli italiani: religione di Stato, matrimonio riconosciuto, ora di religione obbligatoria.
Mussolini, pacificatore dell’Italia, afferma che ora nessuno poteva essere Italiano senza essere cattolico e senza essere fascista. Ciò però rese lo Stato Totalitario “non del tutto compiuto” (Totalitarismo incompiuto) poiché la Chiesa conservava garanzie di autonomia e indipendenza, non contrastanti il Regime. (come la grande industria, gli agrari, la monarchia e la classe dirigente).
L’opposizione al Fascismo
Nel 1931 venne approvato il nuovo Codice Penale, del ministro della Giustizia, che introdusse principi fortemente riduttivi della libertà dei cittadini. La collettività doveva essere tutelata prima e più del singolo individuo. Molti esponenti antifascisti furono costretti all’esilio, esempio Salvemini e don Sturzo; i principali partiti politici italiani, fuorilegge in patria, si ricostruirono all’estero e continuarono ad operare clandestinamente in Italia attraverso la diffusione di “fogli”. Ma non sempre l’esilio mise gli antifascisti al riparo dalla violenza del regime, per esempio:
• I fratelli Rosselli vennero assassinati da emissari di Mussolini.
• Pietro Godetti che andò contro Mussolini nella sua opera del 1924 “La rivoluzione liberale”, dove aveva definito il fascismo una sorta di malattia endemica dell’Italia. Il proletariato diveniva il soggetto politico capace di avviare la rigenerazione morale e politica dell’Italia e di far rinascere gli ideali liberali e democratici.
Anche le voci di polemica antifascista in Italia furono poche:
• Benedetto Croce, promotore del “Manifesto degli intellettuali antifascisti”. Inizialmente aveva visto nel fascismo una forza per rigenerare il panorama politico italiano e di fare ciò che i liberali non erano stati capaci di fare, restaurare l’ordine e la governabilità. Ma poi si dovette ricredere dopo la morte di Gentile e definì il fascismo una prassi di governo illiberale ed autoritaria.
• Antonio Gramsci, leader del partito comunista arrstato nel 1926 e condannato a 20 anni di prigione. Scrisse 33 “Quaderni del carcere” dove scrive che per lui il fascismo era un fenomeno di lungo periodiche aveva saputo trovare una base sociale d’appoggio nell’insoddisfatta piccola borghesia; inoltre secondo lui aveva creato un nuovo blocco di coalizione sociale.
Queste tesi vennero accolte da Lione nel congresso del Partito comunista (1926) ma continuò a rifiutare di collaborare con le altre forze antifasciste italiane. Dopo l’arresto di Gramsci il potere venne preso da Togliatti.
• All’interno del mondo cattolico vi erano sacche di resistenza al Regime.
La costruzione dello Stato Fascista: le scelte economiche
Il Regime cercò di fascistizzare anche il lavoro, nel 1927 venne approvata la Carta del lavoro, la quale instaurava il sistema corporativo (le cooperazioni erano associazioni che riunivano tutti i lavoratori e gli imprenditori di un determinato settore produttivo dove proprietari e salariati collaboravano per l’organizzazione della produzione) con lo scopo di sostituire i sindacati. Ciò non avvenne, anzi gli operai rimasero privi di ogni tutela.
Sino al 1925 Mussolini seguì una politica economica di ispirazione liberalista, con essa riuscì a rilanciare la produzione industriale ma innescò un processo inflazionistico. La strategia economica andava cambiata: con Giuseppe Volpi di Misurata venne abbandonata tale in favore di una politica economica caratterizzata dall’interventismo statale.
Mussolini tra il 1925 ed il 1927 lanciò la politica di “quota novanta”, politica finanziaria volta a rafforzare la lira sul mercato monetario. Nel 1927 il valore della lira scese alla quota prevista ed i prezzi vennero abbassati ma ciò ebbe conseguenze più dannose che positive, portando un calo delle esportazioni.
All’opera deflazionistica si unì un intervento da parte dello Stato in senso protezionistico aumentando i dazi doganali e la “battaglia del grano” (1925), con cui il Duce pretendeva di raggiungere l’autosufficienza alimentare per l’Italia attraverso l’ampliamento delle aree coltivabili e la modernizzazione delle tecnologie agricole. Le bonifiche portarono al risanamento delle terre, ma non furono del tutto completate. La battaglia del grano diede comunque risultati positivi ed aumentò la produzione cerealicola ma in realtà non fu un risanamento.
Per ovviare ai danni della crisi nel 1929 Mussolini incrementò i lavori pubblici (bonifica e creazione infrastrutture), la cosa più importante fu intervento dello Stato nel settore industriale:
1. Nacque l’IMI per finanziare le attività industriali sostituendo in questo compito le banche.
2. Nacque l’IRI che prendeva il controllo delle imprese in difficoltà, le risanava e le rivendeva ai privati.
3. Creazione di AGIP, ANIC e SNAM.
La crisi economica internazionale costrinse il Regime ad attuare una politica di bassi salari, inoltre vi erano severe sanzioni da pagare alla società delle nazioni, QUI divenne economicamente dipendente dalla Germania. Venne poi inaugurata una politica di autarchia economica (autosufficienza produttiva) per limitare le importazioni dall’estero.
Tutto ciò portò al peggioramento delle condizioni di vita.
La politica estera
Tra il 1923 ed il 1925 la politica estera di Mussolini fu:
• Tenere relazioni amichevoli con la Gran Bretagna, per espandersi nei Balcani e rilanciare la politica coloniale in Africa.
• Fra il 1922 ed il 1923 riconquistarono la Libia.
• Nel 1923 occuparono l’isola di Corfù.
• Nel 1924 il trattato di Roma assegnò definitivamente Fiume all’Italia.
• Gli inglesi concessero il via libero all’assunzione di Oltregiuba.
• Nel 1926 Mussolini firmò con l’Albania un patto di mutua assistenza.
• Inizialmente i rapporti tra la Germania nazista e l’Italia fascista furono pessimi, quando nel 1935 l’Italia invase l’Etiopia, durante la proclamazione dell’Impero Italiano. Francia e Gran Bretagna condannarono l’attacco all’Etiopia indipendente e la società delle Nazioni approvò una serie di sanzioni. L’isolamento Italiano portò l’avvicinamento di Mussolini ad Hitler, facendo nascere nel 1939 il patto d’Acciaio.
Le leggi razziali
Mussolini iniziò ad adottare leggi antisemite a causa della vicinanza ad Hitler tra il 1938 ed il 1945, avendo effetti devastanti sulle antiche comunità ebraiche della Penisola. Secondo il “Manifesto della razza” gli ebrei venivano dichiarati non appartenenti alla razza italiana e ciò ne implicava l’esclusione dalla vita pubblica e sociale.
La prima legge antisemita allontanò dalle scuole gli appartenenti alla razza ebraica, facendo perdere loro il diritto al lavoro ed allo studio, essa inoltre definiva i criteri di “ebraicità”. Vennero ben presto aggiunte al Codice civile, causando la loro perdita del lavoro,la proibizione dei matrimoni misti ed una serie di pubblicazioni razziste. Esso comunque fu un versione ammorbidita rispetto a quella della Germania, ma non è del tutto vero se si va ad analizzare il numero di persone tolte da scuole e lavoro, la presenza nei vari negozi di “vietato l’ingresso agli ebrei” e le varie “liste” redatte vennero utilizzate ai tedeschi durante la 2° Guerra Mondiale.
Col tempo le persecuzioni si fecero sempre più dure: dal giugno del 1940 gli ebrei, considerati pericolosi per il Regime, furono soggetti ad internamento e nel 1943 il lavoro forzato. Con la nascita della Repubblica di Salò il fascismo partecipò attivamente alla deportazione degli ebrei e decretò la confisca dei beni ed il concentramento degli ebrei in campi di transito, dove sarebbero poi partiti alla volta dei campi di sterminio nazisti.
EUROPA E STATI UNITI FRA DUE GUERRE
Il nuovo volto dell’Europa
La guerra aveva provocato trasformazioni in ambito sociale:
Le vecchie aristocrazie vennero sostituite dai ceti imprenditoriali.
Il potere della piccola e media borghesia venne ridotto.
I ceti operai prendevano la rivoluzione bolscevica come un modello da imitare.
La trasformazione industriale dall’economia di guerra a quella civile portò alla chiusura di molte fabbrica e, di
conseguenza, il licenziamento di molti operai.
Bisognava ripagare gli Stati Uniti dei prestiti in guerra.
Vi era poi il problema dei reduci, i quali trovavano difficoltà a trovare lavoro e a reinserirsi nella vita civile.
Tale malcontento fu sfruttato dai partiti ultra-nazionalistici e anti-democratici.
Inoltre vi furono radicali cambiamenti geopolitica a causa dei trattati di pace, formando così un quadro politico fragile e
adatto all’affermazione di stati autoritari.
Europa centro-orientale Austria Venne ridotta ad un piccolo stato, divenne una repubblica governata dal
partito cristiano-sociale e con l’opposizione del partito
socialdemocratico. Il partito comunista provò ad affermarsi ma senza
successo.
Ungheria Repubblica ricca di problemi economici e di tensioni tra i governi. Nel
1919 divenne ministro il leader comunista Kun che cercò di esportare il
modello sovietico all’interno e ai paesi vicini; ciò porto all’intervento
della Romania e della Cecoslovacchia che invasero l’Ungheria e misero
al potere l’ammiraglio Horthy, il quale instaurò un regime conservatore
destinato ad evolversi, nel 1932, in senso fascista.
Paesi Baltici e Polonia Polonia Ricostruita come Stato dei trattati di Versailles, vi si insediò un governo
conservatore. Nel 1919 venne eletto presidente della repubblica il
nazionalista Pilsudski, che con un colpo di stato instaurò una dittatura
repressiva nei confronti delle rivendicazioni operaie e contadine.
Lituania Si instaurarono regimi dittatoriali.
Estonia
Lettonia
Balcani Regno di Jugoslavia Costituito da Serbia, Montenegro, Croazia e Slovenia con al potere re
Pietro I. Nel 1928 il successore Alessandro I sciolse il Parlamento e
instaurò una dittatura che concentrava i poteri nelle sue mani.
Albania Il presidente della repubblica Zogu si autoproclamò re e trasformò il
paese in una monarchia autoritaria e repressiva.
Penisola Iberica Spagna Pur non partecipando alla guerra subirono entrambe un’involuzione in
senso autoritario.
Portogallo
Impero Ottomano Uscito sconfitto dal primo conflitto mondiale:
1. Gli alleati avevano assunto il controllo degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli.
2. Le forze greche avevano occupato le zone di confine.
3. Armeni e Curdi premevano l’indipendenza da Istanbul.
Tornò il leader dei “Giovani Turchi” Mustafa Kemal e si pose come obiettivo la salvaguardia
dell’unità territoriale del Paese, la resistenza alle politiche straniere e la sconfitta
dell’indipendentismo di curdi e armeni. Grazie all’appoggio dell’’URSS avviò una resistenza
nazionalistica, seguita da una guerra civile conclusasi nel 1922 con la cacciata delle forze
straniere ed il soffocamento delle rivolte curde e armene. Il 1° Ottobre il parlamento trasformò
la Turchia in Repubblica con capitale Ankara, di cui Kemal ne divenne presidente l’anno
seguente.
Il dopoguerra nelle democrazie europee
Francia Avendo sistemi Nel 1919 si affermò una coalizione di centro-destra che attuò una politica
politici ormai stabili e economica favorevole allo sviluppo dell’iniziativa imprenditoriale, ma poco
consolidati non si ebbe attenta agli interessi ed ai bisogni dei ceti più deboli. Le elezioni del 1924
la nascita di governi portarono al potere i cartelli delle sinistre, che portarono ad una crisi
dittatoriali. economica e finanziaria per via del boicottaggio degli esponenti del grande
capitale francese nei confronti delle iniziative del governo. Dal 1926 al 1929 il
paese fu guidato da Poincarè che stabilizzò l’economia del Paese.
Gran Bretagna Dopo la guerra vi furono molte difficoltà economiche; dal 1918 al 1929 i
conservatori erano al potere (nel 1924 i laburisti). Ormai il partito liberale era
in netta minoranza rispetto agli altri due raggruppamenti. Si riacutizzò la
questione irlandese: il compromesso della Home Rule aveva lasciato
insoddisfatti i nazionalisti irlandesi che continuavano a chiedere
l’indipendenza raccolti nel partito di Fein. La rivolta di Pasqua vene repressa
violentemente dagli inglesi, allora Fein nel 1919 proclamò l’indipendenza
irlandese e creò un parlamento nazionale (ovviamente non riconosciuto da
Londra). La seguente guerra civile si concluse nel 1921 con la divisione
dell’isola in due parti:
1. al Regno Unito: 9 contee settentrionali (Ulster).
2. Stato di dominion alle contee meridionali (praticamente
indipendenti). Nel 1949 si dichiararono completamente indipendenti
dall’Inghilterra e diedero vita alla Repubblica d’Irlanda.
Gli Stati Uniti: crescita economica e fenomeni speculativi
Gli anni successivi al conflitto furono un periodo di sviluppo economico:
1. Investirono in Europa finanziando la ricostruzione ed esportando i loro prodotti.
2. La riscossione dei debiti di Francia e Inghilterra da parte degli USA portò i primi a sollecitare la Germania al
pagamento dei danni, privandola di ogni risorsa per la ricostruzione.
3. La crescita della produzione fu inarrestabile, che portò un atteggiamento isolazionista e protezionistico con alte
tariffe doganali per difendere il mercato interno.
Tale crescita non era stata però accompagnata da un aumento dei consumi interni e la ricchezza prodotta dall’espansione
economica non si era distribuita equamente, ciò porto il tenore di vita della maggioranza degli statunitensi a peggiorare
e quindi alla paura di far rimanere invenduti i prodotti. Nacque dunque il credito per contrastare questa paura (per
esempio si poteva pagare a rate), ma per accedere ad esso i ceti medio-bassi ipotecavano le loro case, il che portava ad
un’illimitata fiducia nei mercati azionari. Molte piccole imprese ora preferivano investire in titoli piuttosto che nella
produzione, si diede il via allora ad una serie di interventi speculativi. Si era dunque creata una bolla speculativa
(aumento dei prezzi a causa dell’aumento della domanda) ed il sistema reggeva sul costante aumento dei titoli azionari,
ma ciò non sarebbe durato per sempre.
Gli USA erano però un paese creditore nei confronti dell’Europa e ciò produsse allarmanti fenomeni monetari: il
declino del Gold standard, causato dalla grande quantità di cartamoneta emessa per finanziare le spese belliche, portò ad
un processo svalutativo. Alla fine del 1919 le valute europee risultavano deprezzate rispetto al dollaro, ciò produsse
fenomeni inflattivi in Francia, Italia e Germania. Cresceva l’importanza della Borsa di Wall Street a New York, dove
dominava una logica affaristica molto diversa da quella della City e contribuiva a renderei flussi borsistici
pericolosamente inaffidabili. Alla conferenza economica di Genova del 1922 venne dato l’addio definitivo al Gold
standard e venne introdotto il Gold Exchange Standard che consentì una stabilizzazione delle fluttuazioni monetarie.
La crisi del ’29 ed il crollo di Wall Street
L’ottobre del 1929 crollarono i titoli della Borsa di Wall Street che portò ad una crisi economica gigantesca (la “Grande
Depressione”) con conseguenze pesantissime a livello mondiale: le aziende fallirono e licenziarono gli operai, alcune
banche fallirono poiché impossibilitate di riscuotere i debiti; si ebbe una grave crisi di liquidità che provocò pesanti
cadute dei prezzi e dei prodotti. Inizialmente le autorità sottovalutarono la crisi ma essa si rivelò lunga e profonda e
coinvolse ampi settori economici nazionali ed internazionali. Questa crisi produsse conseguenze economiche,
psicologiche e politiche. La propaganda nei paesi che si dichiaravano critici nei confronti del capitalismo sfruttò la crisi
per sostenere la superiorità dei sistemi alternativi e autarchici (paese senza importazioni) di produzione e
organizzazione dell’economia.
Gli stati adottarono politiche protezionistiche in modo da aumentare l’intervento statale nell’economia.
Roosevelt e il New Deal
La depressione economica raggiunse il culmine nel 1931 e nei primi mesi del 1932. Venne eletto nel 1932 presidente il
candidato democratico Roosevelt, proponendo un programma completo ed organico: il New Deal per sottolineare il
carattere innovativo della sua politica.
1. In economia seguiva le teorie di Keynes, ritenendo necessari sostanziali correttivi alle tradizionali politiche
economiche. Per far ripartire la produzione pianificò interventi statali commissionando opere pubbliche,
riducendo il numero dei disoccupati e stimolando i consumi.
2. Ristrutturazione del sistema finanziario, il governo creò commissari di controllo sulle attività degli istituti di
credito e si curò di vigilare sulla Borsa per tutelare gli investimenti dei piccoli risparmiatori. Inoltre svalutò il
dollaro sui mercati internazionali per incoraggiare le esportazioni.
La crisi venne superata nel 1940.
IL FASCISMO ALLA CONQUISTA DEL POTERE
L’Italia in crisi del dopoguerra
L’Italia era uscita vincitrice ma si era diffuso un senso di delusione a causa della vittoria mutilata. Alla conferenza di
Parigi i rappresentanti italiani Orlando e Sonnino abbandonarono polemicamente la riunione.
Doveva essere risolta la “questione di Fiume”, la quale era stata dichiarata libera in guerra ma che venne
occupata da D’Annunzio e dei volontari (“Legionari”) proclamando l’annessione di Fiume all’Italia; la Società
delle Nazioni condannò tale impresa come violazione dei trattati di pace.
Inoltre si aggiungevano disagi sociali: i reduci avevano sacrificato anni in trincea in cambio di un
rinnovamento sociale e la ricostruzione di un paese più equo e progredito MA il reinserimento era difficoltoso
a causa della scarsità di lavoro e delle ditte.
Il deficit di bilancio dello Stato era spaventoso: l’inflazione e la perdita del potere di acquisto della lira
portarono gravi disagi fra i piccoli risparmiatori e producevano il declassamento della piccola e media
borghesia.
Gli operai persero il lavoro a causa della conversione da industrie di guerra ad industrie di pace. Immutata
invece la situazione di braccianti e contadini.
Si inasprirono i conflitti sociali tra le classi dirigenti liberali e le forze popolari e sindacali. Il periodo tra il
1919 ed il 1920 venne definito “biennio rosso” a causa delle continue manifestazioni organizzate dal partito
socialista ed i sindacati; i ceti borghesi temevano una rivoluzione sul modello di quella sovietica.
Il ritorno di Giolitti e la crisi del liberalismo
Nel 1919 si tennero le elezioni politiche, con sistema proporzionale che distribuiva i seggi ad ogni partito in
proporzione ai voti ottenuti. Aumentava così il peso elettorale dei partiti di massa, come il Partito socialista ed il Partito
popolare, ma il potere rimase in mano ai liberali.
Partito popolare Fondato da don Luigi Sturzo, rappresentava le forze cattoliche e proponeva un cattolicesimo
democratico e si batteva per una riforma dello stato liberale nel senso di una maggior apertura alle
esigenze sociali dei ceti deboli, combattendo le tendenze monopolistiche e oligarchiche del
capitalismo nazionale. Si difende la piccola proprietà e c’era l’esigenza di una radicale riforma
agraria che smantellasse i latifondisti al sud.
Partito socialista Il partito socialista uscì rafforzato dalle elezioni. La maggioranza riformista non condivideva
l’interpretazione del marxismo offerta dalla rivoluzione bolscevica MA una minoranza fondata da
Gramsci vedeva il modello sovietico l’unica concreta applicazione delle teorie marxiste.
I liberali erano però incapaci di gestire la situazione poiché faceva fatica ad adeguarsi alle novità sociali ed ideologiche