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Sintesi
Campagna d’Africa
(1940-1943)



L’Africa a partire dal 1940 divenne una delle colonie più importanti per l’Italia. Troppo distante dalla madrepatria per essere rifornita in modo corretto, tale continente venne definito da alcuni fascisti come una fastidiosa appendice che avrebbe dovuto essere in grado di prendere provvedimenti in modo autonomo in caso di una guerra.
Nel 1939 il nuovo viceré d’Etiopia, Amedeo d’Aosta, inviò a Roma un piano per raggiungere la tanto desiderata indipendenza; l’operazione essendo molto costosa non venne approvata, ma venne concessa solo una piccola parte del costo che era ben poca cosa rispetto all’esigenze dell’intera colonia; infatti vista la grave crisi si ipotizzò una durata delle scorte per gli autocarri di appena due mesi. Almeno dal punto di vista numerico le nostre truppe furono senz’altro notevoli, il 10 giugno 1940 l’esercito italiano poté contare circa 90 mila uomini nazionali e 200 mila coloniali; le condizioni delle armi corazzate, dell’aviazione, delle navi e dei sottomarini erano miserevoli e la loro modernità lasciava molto a desiderare.
Tra i generali più importanti ci furono Bertoldi, de Simone e Scala, la marina fu affidata all’ammiraglio Carlo Balsamo mentre l’aeronautica al comandate superiore Pietro Pinna. Molti storici anglosassoni sottolineano il fatto che la situazione fosse tutt’altro che favorevole nei confronti dell’Italia; la nostra superiorità numerica fu schiacciante, ma la miseria di mezzi e materiali fu un ostacolo terribile per le forze italiane.
Le truppe indigene mostrarono molta fedeltà e motivazione nei confronti della nostra bandiera e diventarono un punto cardine del sistema coloniale dell'Italia; gli Eritrei furono i più fedeli e motivati “compagni d’avventura”, ma è importante ricordare che i Somali e Arabi mostrarono una grande prova di eroismo e sacrificio e che molte tribù locali si schierano dalla parte del nemico man mano che si profilava la vittoria delle truppe inglesi.
La prima azione offensiva dell’esercito italiano si registrò il 4 luglio 1940 con l’attacco alla frontiera del Sudan; con molta cautela il contingente italiano, composto da due brigate coloniali ( 4800 uomini ca.) , avanzò per circa 20 Km; si oppose al nostro timido tentativo l’esercito britannico . Il comandante inglese della regione, William Platt, decise di non sprecare uomini rimanendo in attesa per esaminare le azioni del nemico.
Il nostro attacco si articolò su tre colonne e dopo una piccola battaglia sul fiume Gasc, che costò al nostro esercito una quarantina di vittime, riuscimmo ad entrare a Cassala . In questo periodo altri gruppi armati a noi fedelissimi si impossessarono del confine con il Kenya; solo all’inizio di Agosto il nostro esercito intraprese una seria offensiva optando per la Somalia inglese ,un territorio sabbioso che si affacciava sul Golfo di Aden. Nonostante, per molti storici anche questa fu solo una piccola operazione di alleggerimento, fu lo stesso duca d’Aosta a pianificare questo attacco secondo alcune ragioni che si dimostrarono poco prudenti: Questo territorio avrebbe potuto diventare una base di fondamentale importanza per il nemico nel corso della guerra. Inoltre, conquistando questo territorio, si sarebbe ridotta la frontiera terrestre e si sarebbe estesa quella marittima.
Il porto della Somalia francese avrebbe potuto costituire una base di fondamentale importanza nel tentativo dell’ espansione inglese verso l’ Etiopia, per questo il viceré decise di occupare il più vasto territorio della Somalia inglese con i suoi due porti, circondando in questo modo il territorio transalpino.
Il nostro contingente si suddivise in due colonne: una raggiunse in pochi giorni la Somalia francese bloccandone la guarnigione che la difendeva, l’altra impiegò due giorni per raggiungere Hargeisa dove sostò alcuni giorni permettendo così all’esercito inglese di predisporre le difese. Dopo una lunga battaglia caratterizzata da un pesante bombardamento i nostri soldati riuscirono a conquistare la posizione e a mantenerla anche dopo due violentissimi attacchi indiani.
I combattimenti continuarono senza ulteriori cambiamenti: si combatté per altri tre giorni sostenendo il peso di continui attacchi frontali che non previdero mai la possibilità di un aggiramento. Questo macroscopico errore ci costò oltre 2000 vittime mentre gli Inglesi persero 250 uomini.
In assenza di ulteriori rinforzi e con la possibilità di essere accerchiati dalle truppe italiane, il corpo inglese decise di ritirarsi ed evacuare da Berbera via mare andando così ad ingrossare le file del contingente che si stava preparando in Kenya.
Con la conquista del Somaliland in poco più di una settimana l’esercito italiano vide segnata la propria sorte: nonostante la grande euforia d’ora in avanti l’iniziativa passò nelle mani degli Inglesi maggiormente riforniti ed equipaggiati per una guerra che non poté più essere solo difensiva ma che per essere vinta necessitava di azioni che le nostre truppe non poterono mettere in pratica per la scarsità cronica di mezzi.

La conquista dell’Eritrea italiana
Dopo la conquista italiana della Somalia inglese appare ormai chiaro quanto la situazione sia disperata per le truppe coloniali dell’Africa Orientale Italiana: da un lato il ritardo delle operazioni e dall’altro la carenza degli attacchi in Africa Occidentale resero chiaro a tutti, in prima persona al duca d’Aosta, che la madrepatria non sarà in grado di rifornire le forze coloniali a differenza di un esercito che invece ricevette con continuità aiuti e rifornimenti di truppe e mezzi.
Una delle prime azioni dell’esercito inglese si registrò nel Novembre del 1940 quando, un duro bombardamento aereo diede inizio alla controffensiva italiana che portò alla riconquista del primo forte. Dopo tre giorni di aspri combattimenti gli uomini italiani riuscirono a respingere tutti gli attacchi dei reparti inglesi; fu a questo punto che il generale commise un gravissimo errore di valutazione, le truppe inglesi riuscirono ad attaccare separatamente le due colonne: la prima colonna, dopo essere stata dissanguata dall’attacco, dovette sostenere durissimi combattimenti; l’altra colonna, invece dovette distruggere tutto il materiale dopo essere stata isolata.

La battaglia di Cheren
Cheren era una delle posizioni meglio difese nel territorio eritreo. Questa battaglia, fondamentale per le sorti dell’intera campagna e per il destino della stessa colonia, ebbe inizio il 2 febbraio 1940. Grazie alle intuizioni del nuovo generale il nemico fu impegnato in 56 giorni di combattimenti furenti e sanguinosi che entrarono nella leggenda dell’ esercito italiano e nella storia della Seconda Guerra mondiale.
I primi tentativi inglesi furono intrapresi dalla IV Divisione indiana che attaccò la colonia con più riprese ma i contrattacchi italiani riuscirono a riportare la situazione in equilibrio. La V Divisione indiana sferrò un massiccio attacco, nonostante il terreno impervio la quota fu conquistata ma, in seguito a feroci contrattacchi, le truppe italiane riuscirono a riconquistarlo. Come detto le condizioni ambientali del teatro di guerra furono terribili: Franco Bandini le descrive così: “sole a picco, quaranta gradi di temperatura, le truppe abbarbicate a roventi sassi vulcanici di montagne erte come colonne”. Condizioni veramente estreme in cui uomini, spesso screditati in patria, diedero la vita per una speranza che a noi appare irrealizzabile.
Nei giorni successivi le truppe inglesi attaccarono nuovamente in entrambi i settori cercando i medesimi obiettivi degli attacchi precedenti che furono presi e persi e ogni volta il prezzo da pagare fu altissimo per entrambe le parti in lotta. La situazione si stabilizzò fino alla metà di del mese di marzo quando, inaspettatamente, le due divisioni indiane piombarono nuovamente all’assalto. L’attacco, preceduto da un violentissimo bombardamento di preparazione, anche in questa circostanza non fece registrare particolari progressi. Furono giorni di combattimenti sanguinosi, all’arma bianca, sasso dopo sasso, quota dopo quota. Intorno alla fine di marzo gli Italiani furono ridotti ad un terzo delle loro truppe mentre gli Inglesi continuarono a ricevere rifornimenti.
La notte del 25 iniziò quella che sarebbe stata la fase conclusiva della più grande battaglia dell’Africa Orientale: la IV Divisione, divisa su più colonne attaccò le posizioni italiane, mentre la V Divisione piombò sulle due quote bombardate per travolgere le difese anticarro.
L’attacco ebbe successo: già in mattinata gli alpini furono sopraffatti e dovettero arretrare, nonostante ciò si continuò a combattere per tutti e due i giorni successivi con il generale sempre in prima linea a combattere ed a incoraggiare i propri uomini. Fu il generale Frusci a diramare l’ordine di ritirata che fu effettuata in un ordine quasi perfetto. Questa decisione fu molto criticata dagli uomini del regime ma anche da molti storici moderni; va però ricordato che egli prese questa decisone quando fu informato che una colonna britannica stava giungendo alle spalle delle sue truppe che non avrebbero potuto opporre alcuna resistenza a d un suo attacco.
In otto settimane di combattimenti gli Italiani ebbero oltre 3000 caduti: i 7 battaglioni nazionali furono ridotti a poco più di 400 uomini ciascuno.

Dopo la sconfitta di Cheren ormai anche la fine della nostra colonia d’Eritrea fu segnata. L’ultimo tentativo di difesa fu vano, poiché i nostri scarsi mezzi furono presto sopraffatti da quelli del West Yorkshire. Il 31 marzo, in mattinata, avvenne la fine ufficiale della colonia d’Eritrea; solo una fu la città che continuò a resistere fino alla prima settimana di Aprile quando, in seguito ad un ennesimo attacco, l’ammiraglio si arrese al generale inglese. A questo punto la campagna d’Eritrea poté dirsi ufficialmente conclusa, in questo modo le eventuali minacce verso il Mar Rosso e i territori orientali inglesi furono definitivamente scongiurati tanto che gran parte delle truppe inglesi fu trasferita in Egitto per combattere la “Volpe del Deserto”.

La Somalia italiana
Dopo la conquista italiana della Somalia inglese le truppe britanniche si concentrarono in Kenya agli ordini del generale di corpo d’armata, fratello minore dell’ammiraglio comandate la squadra navale nel Mediterraneo, che ne assunse il comando nel novembre del 1940.
Viste le ingenti forze a disposizione fu lo stesso Churchill a sollecitare azioni offensive contro la Somalia italiana che venne considerata come una vera e propria minaccia per i possedimenti territoriali inglesi in Kenya. A seguito di queste pressioni il comandante in capo per il Medio Oriente propose un attacco alla nostra colonia nel il mese di Maggio o in quello di Giugno al termine della stagione delle piogge; a causa delle urgenti necessità del fronte Occidentale di uomini e mezzi si decise di anticipare l’offensiva a Febbraio.
Il confine tra Kenya e Somalia fu attraversato dalle truppe inglesi in tre punti in modo da raggiungere gli obiettivi che furono considerati essenziali per il prosieguo della campagna.
Il 10 Febbraio, in seguito ai pesanti bombardamenti dell’ aeronautica sudafricana, la città di Afmadu venne abbandonata dalle truppe italiane e il giorno successivo la XII Divisione Africana fece il suo ingresso in una città ormai abbandonata.
Il Duca d’Aosta avrebbe voluto concentrare le nostre forze in due città della Somalia, le difese vennero perfezionate nel corso degli anni proprio per questo genere di attacchi e il generale De Simone, comandante le truppe in Somalia, decise di abbandonare una delle due città per cercare di resistere il più a lungo possibile sulla linea del fiume Giuba, un fronte facilmente attraversabile vista la modesta quantità di acqua che lo attraversa. Una delle brigate dell’ Africa orientale entrò nella città portuale in cui la trascurabile resistenza italiana non creò nessun problema alle truppe avversarie.
Gli Italiani cercarono di resistere il più a lungo possibile nei pressi del fiume, distruggendo tutti i passaggi per l’altra sponda; indubbiamente la scarsità delle acque del fiume rese semplice il passaggio delle truppe inglesi, che riuscirono ad attraversarlo poco più a monte. Dopo alcuni giorni di combattimenti i Sudafricani riuscirono a controllare un largo tratto di fiume tanto che con una rapida puntata verso nord si unirono ad una brigata della Costa d’Oro.
Il generale, a causa della scarsa protezione dell’ aviazione italiana e della mancanza cronica di mezzi di trasporto per le sue truppe, non poté far altro che subire le iniziative del comandante inglese; le nostre truppe italiche, già molto provate, dovettero anche fronteggiare il tradimento di molti raparti etiopi che con il passare dei giorni decisero di abbandonare il nostro esercito sempre più alla deriva.
Fu proprio la mancanza di una concreta resistenza che colse di sorpresa le truppe inglesi che sopravvalutarono enormemente le nostre capacità di offesa. Un elemento di fondamentale importanza per il successo dell’ operazione fu proprio la presa di Chisimaio che fu conquistata senza particolari danni alle strutture portuali e quindi permise ai rifornimenti di giungere via mare migliorando la situazione logistica.
La sorprendente facilità di questa conquista indusse i vertici inglesi a continuare nell’avanzata per scacciare definitivamente dalla Somalia gli Italiani e per utilizzare come base di lancio questa terra per invadere anche l’Etiopia.
Nei giorni successivi una brigata dell’ Africa orientale e una della Costa d’Ora si occuparono del rastrellamento delle truppe italiane mentre le altre si preoccuparono della ormai imminente azione contro l’ Etiopia: a questo punto le valutazioni contro gli Italiani erano completamente capovolte, le grave carenze di mobilità e le scerse risorse disponibili avevano convinto gli Inglesi a chiudere nel minor tempo possibile la partito contro l’esercito italiano.

Etiopia
Il generale britannico, visto l’andamento della guerra, decise di proseguire nella sua avanzata occupando anche l’ Etiopia italiana: una ghiotta occasione per chiudere prima del previsto le operazioni in Africa orientale. Due ragioni lo spinsero ad accelerare i tempi della sua azione: l’incertezza del futuro, poiché egli non sapeva quando avrebbe dovuto cedere parte delle sue truppe per la imminenti operazioni in Africa occidentale e le condizioni atmosferiche: tra aprile e maggio sarebbe iniziata la stagione delle piogge che avrebbe reso impraticabile le poche strade adatte al passaggio delle sue truppe. Per questi motivi la marcia delle truppe inglesi si svolse in maniera estremamente rapida.
Gli Italiani decisero di recarsi tra le pianure somale e le vette etiopi; in questa zona montuosa la strada si inerpica fino a quota 3000 metri di altitudine. La rincorsa inglese fu così fulminea che questa posizione dovette essere abbandonata pochi giorni dopo.
L’arrivo delle truppe nigeriane fu così improvviso che le difese del Passo di Babile non furono nemmeno approntate, tanto che i nostri soldati dovettero retrocedere di molti chilometri fino a ritirarsi nuovamente per raggiungere la città di Harrar. Intanto in molti centri si verificarono gravi scontri tra la popolazione etiope e i molti Italiani che ancora vivevano e lavoravano nel paese africano: molti cittadini del nostro paese furono massacrati e molte violenze vennero commesse. La capitale Addis Abeba ormai distava solamente 250 Km.
Vista l’impossibilità di poterla difendere il Viceré Amedeo d’ Aosta decise di favorire l’ingresso delle truppe inglesi nella città etiope affinché non si verificassero le atrocità commesse a nell’altra città etiope. Le prime truppe nemiche entrarono nel centro abitato all’alba il 5 Aprile. Per l’esercito italiano dopo la caduta di Adis Abeba e delle altre città non si prospettò più la possibilità di una vittoria ma la necessità di resistere il più a lungo possibile, sia per salvaguardare il proprio onore e quello del paese, sia per mantenere impegnate quelle truppe che altrimenti saranno inviare a combattere i “propri compagni” nel deserto libico. Nonostante tutto alcune sacche di resistenza continuano a combattere.
Le speranze i vittoria delle ultime sacche di resistenza italiana erano ormai ridotte al lumicino: dopo la sconfitta in Eritrea che permise alle truppe nemiche di invadere l’Etiopia da nord e la caduta di Addis Abeba ad opera delle forze sudafricane, la “tenaglia inglese” stava per chiudere la morsa contro le nostre stanche e sfiduciate truppe. La stampa del regime cercò di minimizzare l’entità delle sconfitte ma per gli uomini dell’Africa orientale non c’erano più speranze.

Amba Alagi
Il nome di questo ridotto è diventato uno dei simboli della lotta italiana nella Seconda Guerra mondiale: situata sulla strada che congiunge Massaua ad Addis Abeba questa fortezza naturale venne considerata dal Duca d’ Aosta ideale per l’ultima eroica resistenza delle sue povere forze. Egli infatti poté contare su poco meno di 4 mila uomini, fra i quali due compagnie di Carabinieri e un plotone di marinai giunti da Assab. Il comandante delle truppe, insieme al Viceré fu il generale Volpini.
Mentre l’avanzata dei Sudafricani continuò da sud, dall’ Eritrea la V Divisione indiana iniziò la propria discesa seguita da folte schiere di guerrieri abissini; dopo alcuni giorni di consolidamento l’avanzata verso le posizioni italiane prese il via il 3 maggio.
Solo nei giorni seguenti la 29.ima Brigata indiana sostenuta da una massiccia artiglieria riuscì a conquistare le cime più occidentali.
Il giorno 9 maggio gli Inglesi ripresero le proprie azioni, il combattimento proseguì fino a quando non furono esaurite le munizioni dopo di che venne presa la decisione di ripiegare sul monte Corarsi che verrà abbandonato poche ore dopo dalla guarnigione ormai ridotta a 150 uomini. Da questa posizione gli inglesi mutarono tattica: avanti la “carne da cannone”, cioè gli Abissini mentre le truppe regolari si limitarono ad assicurare l’appoggio dell’artiglieria.
Si combatté così fino al 17 Maggio giorno in cui venne concordata la resa con l’onore delle armi di tutto il presidio dell’ Amba Alagi . Il Giorno 19 i generali inglesi arrestarono il Duca e gli uomini della truppa obbligandolo alla prigionia in Kenya o in India.
Dopo due settimane di violentissimi combattimenti terminò l’ultima grande battaglia della campagna in Africa orientale: per l’esercito inglese fu un grande successo, nei tre mesi di guerra fece prigionieri oltre 230 mila uomini ma ancora in alcune zone la resistenza italiana continuava e avrebbe dovuto essere debellata.
Il bollettino di guerra 348 del 19 Maggio diede, anche in Italia, la notizia della caduta dell’Alagi e la cattura del Duca e del suo seguito dopo “ una resistenza oltre ogni limite”.
Mussolini, dopo la cattura del Viceré, decise di nominare comandante in capo delle truppe italiane in Africa orientale il generale Gazzera che dovette preoccuparsi di coordinare la difese delle ultime sacche di resistenza ancora presenti nella nostra ormai “ ex colonia”.
Nel territorio del Gimma, nel cuore dell’ Etiopia con i nostri soldati impossibilitati a ricevere qualsiasi tipo di aiuti, le operazioni si protrassero fino al 10 Luglio momento in cui si arrese l’ultimo battaglione italiano a Dembidollo, dopo che anche la stessa città di Gimma cadde il 17 Giugno.
La resistenza fu accanita come sempre ma le nostre truppe mancano di ogni cosa: munizioni, viveri e qualsiasi sorta di approvvigionamento.
Il 27 Novembre anche la piazza di Gondar dovette ammainare il tricolore e definitivamente concludere la nostra avventura nell’Africa orientale. il generale Nasi riuscì a salvare poco più di 22 mila uomini.
Estratto del documento

prudenti: Questo territorio avrebbe potuto diventare una base di fondamentale importanza per

il nemico nel corso della guerra. Inoltre, conquistando questo territorio, si sarebbe ridotta la

frontiera terrestre e si sarebbe estesa quella marittima.

Il porto della Somalia francese avrebbe potuto costituire una base di fondamentale importanza

nel tentativo dell’ espansione inglese verso l’ Etiopia, per questo il viceré decise di occupare il

più vasto territorio della Somalia inglese con i suoi due porti, circondando in questo modo il

territorio transalpino.

Il nostro contingente si suddivise in due colonne: una raggiunse in pochi giorni la Somalia

francese bloccandone la guarnigione che la difendeva, l’altra impiegò due giorni per

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raggiungere Hargeisa dove sostò alcuni giorni permettendo così all’esercito inglese di

predisporre le difese. Dopo una lunga battaglia caratterizzata da un pesante bombardamento i

nostri soldati riuscirono a conquistare la posizione e a mantenerla anche dopo due

violentissimi attacchi indiani.

I combattimenti continuarono senza ulteriori cambiamenti: si combatté per altri tre giorni

sostenendo il peso di continui attacchi frontali che non previdero mai la possibilità di un

aggiramento. Questo macroscopico errore ci costò oltre 2000 vittime mentre gli Inglesi

persero 250 uomini.

In assenza di ulteriori rinforzi e con la possibilità di essere accerchiati dalle truppe italiane, il

corpo inglese decise di ritirarsi ed evacuare da Berbera via mare andando così ad ingrossare le

file del contingente che si stava preparando in Kenya.

Con la conquista del Somaliland in poco più di una settimana l’esercito italiano vide segnata

la propria sorte: nonostante la grande euforia d’ora in avanti l’iniziativa passò nelle mani degli

Inglesi maggiormente riforniti ed equipaggiati per una guerra che non poté più essere solo

difensiva ma che per essere vinta necessitava di azioni che le nostre truppe non poterono

mettere in pratica per la scarsità cronica di mezzi.

La conquista dell’Eritrea italiana

Dopo la conquista italiana della Somalia inglese appare ormai chiaro quanto la situazione sia

disperata per le truppe coloniali dell’Africa Orientale Italiana: da un lato il ritardo delle

operazioni e dall’altro la carenza degli attacchi in Africa Occidentale resero chiaro a tutti, in

prima persona al duca d’Aosta, che la madrepatria non sarà in grado di rifornire le forze

coloniali a differenza di un esercito che invece ricevette con continuità aiuti e rifornimenti di

truppe e mezzi.

Una delle prime azioni dell’esercito inglese si registrò nel Novembre del 1940 quando, un

duro bombardamento aereo diede inizio alla controffensiva italiana che portò alla riconquista

del primo forte. Dopo tre giorni di aspri combattimenti gli uomini italiani riuscirono a

respingere tutti gli attacchi dei reparti inglesi; fu a questo punto che il generale commise un

gravissimo errore di valutazione, le truppe inglesi riuscirono ad attaccare separatamente le due

colonne: la prima colonna, dopo essere stata dissanguata dall’attacco, dovette sostenere

durissimi combattimenti; l’altra colonna, invece dovette distruggere tutto il materiale dopo

essere stata isolata.

La battaglia di Cheren

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Cheren era una delle posizioni meglio difese nel territorio eritreo. Questa battaglia,

fondamentale per le sorti dell’intera campagna e per il destino della stessa colonia, ebbe inizio

il 2 febbraio 1940. Grazie alle intuizioni del nuovo generale il nemico fu impegnato in 56

5 Citta della Somalia e situata in una valle racchiusa degli Altipiani Galgodon nella parte occidentale dello Stato.

6 sorge a quota 1400 metri nel mezzo di una vasta e fertile pianura circondata da montagne.

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giorni di combattimenti furenti e sanguinosi che entrarono nella leggenda dell’ esercito

italiano e nella storia della Seconda Guerra mondiale.

I primi tentativi inglesi furono intrapresi dalla IV Divisione indiana che attaccò la colonia con

più riprese ma i contrattacchi italiani riuscirono a riportare la situazione in equilibrio. La V

Divisione indiana sferrò un massiccio attacco, nonostante il terreno impervio la quota fu

conquistata ma, in seguito a feroci contrattacchi, le truppe italiane riuscirono a riconquistarlo.

Come detto le condizioni ambientali del teatro di guerra furono terribili: Franco Bandini le

descrive così: “sole a picco, quaranta gradi di temperatura, le truppe abbarbicate a roventi

sassi vulcanici di montagne erte come colonne”. Condizioni veramente estreme in cui uomini,

spesso screditati in patria, diedero la vita per una speranza che a noi appare irrealizzabile.

Nei giorni successivi le truppe inglesi attaccarono nuovamente in entrambi i settori cercando i

medesimi obiettivi degli attacchi precedenti che furono presi e persi e ogni volta il prezzo da

pagare fu altissimo per entrambe le parti in lotta. La situazione si stabilizzò fino alla metà di

del mese di marzo quando, inaspettatamente, le due divisioni indiane piombarono nuovamente

all’assalto. L’attacco, preceduto da un violentissimo bombardamento di preparazione, anche

in questa circostanza non fece registrare particolari progressi. Furono giorni di combattimenti

sanguinosi, all’arma bianca, sasso dopo sasso, quota dopo quota. Intorno alla fine di marzo gli

Italiani furono ridotti ad un terzo delle loro truppe mentre gli Inglesi continuarono a ricevere

rifornimenti.

La notte del 25 iniziò quella che sarebbe stata la fase conclusiva della più grande battaglia

dell’Africa Orientale: la IV Divisione, divisa su più colonne attaccò le posizioni italiane,

mentre la V Divisione piombò sulle due quote bombardate per travolgere le difese anticarro.

L’attacco ebbe successo: già in mattinata gli alpini furono sopraffatti e dovettero arretrare,

nonostante ciò si continuò a combattere per tutti e due i giorni successivi con il generale

sempre in prima linea a combattere ed a incoraggiare i propri uomini. Fu il generale Frusci a

diramare l’ordine di ritirata che fu effettuata in un ordine quasi perfetto. Questa decisione fu

molto criticata dagli uomini del regime ma anche da molti storici moderni; va però ricordato

che egli prese questa decisone quando fu informato che una colonna britannica stava

giungendo alle spalle delle sue truppe che non avrebbero potuto opporre alcuna resistenza a d

un suo attacco.

In otto settimane di combattimenti gli Italiani ebbero oltre 3000 caduti: i 7 battaglioni

nazionali furono ridotti a poco più di 400 uomini ciascuno.

Dopo la sconfitta di Cheren ormai anche la fine della nostra colonia d’Eritrea fu segnata.

L’ultimo tentativo di difesa fu vano, poiché i nostri scarsi mezzi furono presto sopraffatti da

quelli del West Yorkshire. Il 31 marzo, in mattinata, avvenne la fine ufficiale della colonia

d’Eritrea; solo una fu la città che continuò a resistere fino alla prima settimana di Aprile

quando, in seguito ad un ennesimo attacco, l’ammiraglio si arrese al generale inglese. A

questo punto la campagna d’Eritrea poté dirsi ufficialmente conclusa, in questo modo le

eventuali minacce verso il Mar Rosso e i territori orientali inglesi furono definitivamente

scongiurati tanto che gran parte delle truppe inglesi fu trasferita in Egitto per combattere la

“Volpe del Deserto”.

La Somalia italiana

Dopo la conquista italiana della Somalia inglese le truppe britanniche si concentrarono in

Kenya agli ordini del generale di corpo d’armata, fratello minore dell’ammiraglio comandate

la squadra navale nel Mediterraneo, che ne assunse il comando nel novembre del 1940.

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Viste le ingenti forze a disposizione fu lo stesso Churchill a sollecitare azioni offensive contro

la Somalia italiana che venne considerata come una vera e propria minaccia per i

possedimenti territoriali inglesi in Kenya. A seguito di queste pressioni il comandante in capo

per il Medio Oriente propose un attacco alla nostra colonia nel il mese di Maggio o in quello

di Giugno al termine della stagione delle piogge; a causa delle urgenti necessità del fronte

Occidentale di uomini e mezzi si decise di anticipare l’offensiva a Febbraio.

Il confine tra Kenya e Somalia fu attraversato dalle truppe inglesi in tre punti in modo da

raggiungere gli obiettivi che furono considerati essenziali per il prosieguo della campagna.

Il 10 Febbraio, in seguito ai pesanti bombardamenti dell’ aeronautica sudafricana, la città di

Afmadu venne abbandonata dalle truppe italiane e il giorno successivo la XII Divisione

Africana fece il suo ingresso in una città ormai abbandonata.

Il Duca d’Aosta avrebbe voluto concentrare le nostre forze in due città della Somalia, le difese

vennero perfezionate nel corso degli anni proprio per questo genere di attacchi e il generale

De Simone, comandante le truppe in Somalia, decise di abbandonare una delle due città per

cercare di resistere il più a lungo possibile sulla linea del fiume Giuba, un fronte facilmente

attraversabile vista la modesta quantità di acqua che lo attraversa. Una delle brigate dell’

Africa orientale entrò nella città portuale in cui la trascurabile resistenza italiana non creò

nessun problema alle truppe avversarie.

Gli Italiani cercarono di resistere il più a lungo possibile nei pressi del fiume, distruggendo

tutti i passaggi per l’altra sponda; indubbiamente la scarsità delle acque del fiume rese

semplice il passaggio delle truppe inglesi, che riuscirono ad attraversarlo poco più a monte.

Dopo alcuni giorni di combattimenti i Sudafricani riuscirono a controllare un largo tratto di

fiume tanto che con una rapida puntata verso nord si unirono ad una brigata della Costa

d’Oro.

Il generale, a causa della scarsa protezione dell’ aviazione italiana e della mancanza cronica di

mezzi di trasporto per le sue truppe, non poté far altro che subire le iniziative del comandante

inglese; le nostre truppe italiche, già molto provate, dovettero anche fronteggiare il tradimento

di molti raparti etiopi che con il passare dei giorni decisero di abbandonare il nostro esercito

sempre più alla deriva.

Fu proprio la mancanza di una concreta resistenza che colse di sorpresa le truppe inglesi che

sopravvalutarono enormemente le nostre capacità di offesa. Un elemento di fondamentale

importanza per il successo dell’ operazione fu proprio la presa di Chisimaio che fu conquistata

senza particolari danni alle strutture portuali e quindi permise ai rifornimenti di giungere via

mare migliorando la situazione logistica.

La sorprendente facilità di questa conquista indusse i vertici inglesi a continuare nell’avanzata

per scacciare definitivamente dalla Somalia gli Italiani e per utilizzare come base di lancio

questa terra per invadere anche l’Etiopia.

Nei giorni successivi una brigata dell’ Africa orientale e una della Costa d’Ora si occuparono

del rastrellamento delle truppe italiane mentre le altre si preoccuparono della ormai

imminente azione contro l’ Etiopia: a questo punto le valutazioni contro gli Italiani erano

completamente capovolte, le grave carenze di mobilità e le scerse risorse disponibili avevano

convinto gli Inglesi a chiudere nel minor tempo possibile la partito contro l’esercito italiano.

Etiopia

Il generale britannico, visto l’andamento della guerra, decise di proseguire nella sua avanzata

occupando anche l’ Etiopia italiana: una ghiotta occasione per chiudere prima del previsto le

operazioni in Africa orientale. Due ragioni lo spinsero ad accelerare i tempi della sua azione:

l’incertezza del futuro, poiché egli non sapeva quando avrebbe dovuto cedere parte delle sue

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truppe per la imminenti operazioni in Africa occidentale e le condizioni atmosferiche: tra

aprile e maggio sarebbe iniziata la stagione delle piogge che avrebbe reso impraticabile le

poche strade adatte al passaggio delle sue truppe. Per questi motivi la marcia delle truppe

inglesi si svolse in maniera estremamente rapida.

Gli Italiani decisero di recarsi tra le pianure somale e le vette etiopi; in questa zona montuosa

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