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divari scolastici

C'è un momento cruciale nella vita di ogni studente: la scelta della scuola superiore. Ma questa scelta, nonostante l’impegno, oltre a essere influenzata dalle proprie capacità e dalla motivazione, è condizionata anche dei fattori esterni. Alcuni dei quali inaspettati e, per certi versi, inconcepibili. 

Uno studio recente condotto sui docenti delle scuole medie in Veneto ha sollevato un velo su una realtà scomoda: a parità di rendimento, gli studenti con un background meno fortunato vengono visti dai prof come meno propensi ad avere successo, soprattutto nei licei. 

Non solo: il carattere dell'insegnante può amplificare o ridurre drasticamente questo divario. Ciò vuol dire che lo status socio-economico della famiglia e la personalità dei prof incidono sul percorso degli studenti.

Indice

  1. Aspettative ridotte per gli studenti svantaggiati
  2. L'analisi: l'esperimento che ha svelato il divario
  3. Cosa dicono i dati: un gap enorme nei licei
  4. Le spiegazioni: estroversione, apertura e timore di esclusione
  5. Le soluzioni: tra intelligenza artificiale e consapevolezza
  6. Lo psicologo Paolo Albiero: il ruolo delle aspettative

Aspettative ridotte per gli studenti svantaggiati

Lo studio “Teacher personality and the perceived socioeconomic gap in student outcomes”, condotto da un team di economisti delle Università Bocconi di Milano e dell'ateneo di Padova, ha messo dunque in luce un aspetto nuovo e importante per il futuro dei giovani.

Basandosi su un’indagine del 2023 su 235 docenti del Veneto, ha rivelato che gli insegnanti tendono a dare meno chance agli studenti provenienti da un contesto socio-economico svantaggiato.

Una tendenza, questa, che si manifesta anche se le capacità, la motivazione e il rendimento scolastico degli alunni sono identici a quelli dei compagni più fortunati.

Secondo Pamela Giustinelli della Bocconi, una delle autrici dell'indagine, le "opinioni degli insegnanti, cruciali nei processi di orientamento, non sono neutre: riflettono anche tratti soggettivi della loro personalità". 

L'esperimento che ha svelato il divario

Per arrivare a questa conclusione, i ricercatori hanno condotto un esperimento a vignette. Ai docenti sono stati presentati profili realistici di studenti di terza media, che variavano per genere, rendimento, origine migratoria, personalità, preferenze e, in particolare, contesto familiare.

Ai prof è stato chiesto di stimare la probabilità di successo di questi studenti nei diversi percorsi delle superiori: licei, istituti tecnici e professionali. Contemporaneamente, è stata misurata la personalità degli insegnanti stessi, usando il modello dei "Big five" (estroversione, apertura all’esperienza, coscienziosità, amicalità e nevroticismo).

Giorgio Brunello, responsabile scientifico del progetto, precisa che si tratta di un lavoro pilota all'interno di un progetto europeo più ampio, volto a capire quanto "conta il mercato del lavoro per gli insegnanti che si occupano di orientamento".

Cosa dicono i dati: un gap enorme nei licei

I risultati fanno riflettere. In media, gli insegnanti attribuiscono agli studenti con basso status socio-economico una probabilità inferiore del 20,7% di concludere con successo un liceo rispetto ai coetanei provenienti da famiglie più agiate. Il divario si riduce, ma resta "significativo" (6,5%), nei percorsi tecnico-professionali.

Ma il dato più sorprendente arriva incrociando lo status sociale con la personalità dei docenti. I prof "più estroversi e aperti all’esperienza" tendono ad avere aspettative ancora più basse per gli studenti svantaggiati: in questi casi, il gap percepito sale al 46,8% nei licei e all’8,1% nei tecnici e professionali. Praticamente una fiducia quasi dimezzata nelle chance di successo.

Al contrario, gli insegnanti "coscienziosi e amichevoli" sembrano credere di più nel potenziale di questi studenti, con previsioni addirittura superiori del 17,2% rispetto alla media per i percorsi tecnici o professionali.

Le spiegazioni: estroversione, apertura e timore di esclusione

Per spiegare queste differenze legate al carattere, la ricerca avanza alcune ipotesi. I docenti più aperti all’esperienza, che spesso apprezzano stimoli culturali e astratti, potrebbero vedere gli studenti meno abbienti come "meno preparati per affrontare l’impegno teorico dei licei".

Gli insegnanti estroversi, più sensibili alla dimensione sociale, potrebbero temere invece che gli alunni "privi di una rete familiare solida fatichino a integrarsi in ambienti scolastici più elitari".

Pamela Giustinelli ha voluto precisare un aspetto fondamentale: "Questo non significa che gli insegnanti trattino gli studenti in modo ingiusto". Solo che, se gli viene chiesta una previsione, "tengono ragionevolmente conto di queste caratteristiche", come il fatto che le famiglie più ricche possono permettersi "un aiuto per lo studio".

Il punto cruciale, però, è il fatto che le aspettative variano sistematicamente in base alla personalità del prof, "a parità di ogni altro fattore", facendo nascere dubbi sull’oggettività dell’orientamento. Gli autori, relativamente a questo passaggio, ammoniscono: si corre il rischio che "studenti con caratteristiche simili finiscano in percorsi diversi solo perché assegnati a insegnanti con personalità differenti". Una dinamica che "potrebbe compromettere l’equità del sistema educativo".

Le soluzioni: tra intelligenza artificiale e consapevolezza

Se l'orientamento è così importante e "ha conseguenze di lungo periodo", come sottolinea Brunello, e la personalità del docente ha un peso "naturale, ma problematico", i ricercatori hanno alcune idee su come si può fare per rendere il processo più equo.

Le contromisure ipotizzate mirano a ridurre l'impatto della soggettività, introducendo strumenti standardizzati o tecnologie come l’intelligenza artificiale per affiancare e bilanciare il giudizio dei docenti. Oppure si possono comporre i consigli di classe in modo da bilanciare i diversi profili di personalità degli insegnanti, o ancora valutare i tratti di personalità degli aspiranti prof già all’università o all’inizio della professione, per renderli più consapevoli dell’influenza che esercitano sul futuro degli alunni.

La strada è ancora lunga: come conclude Giustinelli, "serve parecchia evidenza empirica per arrivare a conclusioni su questo punto" e ci vuole "la volontà politica e dall’altra la disponibilità degli insegnanti a essere misurati non solo su aspetti cognitivi ma anche sulla personalità".

Il ruolo delle aspettative

Il risultato di questo studio, secondo Paolo Albiero, professore associato di Psicologia dello sviluppo e di Psicologia dell’adolescenza all’Università di Padova, come riporta 'ilnordest.it', sono fenomeni già noti alla psicologia sociale: “In particolare parliamo del famoso “effetto Pigmalione”. I ragazzi in età evolutiva tendono a introiettare i giudizi e le aspettative che ricevono dagli adulti di riferimento, a farli propri. Durante l’adolescenza, un periodo cruciale per la costruzione dell’identità, il ruolo dei modelli adulti - genitori, insegnanti - è fondamentale”.

Il professore spiega, dunque, che non è solo questione di rendimento scolastico: “Non si tratta solo di competenze disciplinari, ma anche di life skills - capacità trasversali, relazionali ed emotive - che spesso si sviluppano al di fuori della scuola, attraverso attività extra-curriculari”, come “attività culturali, sportive, artistiche, di volontariato”.

Infine, per garantire un buon rendimento scolastico: “Occorre costruire reti sociali di supporto. È importante chiedersi cosa si può fare per creare contesti che favoriscano lo sviluppo di capacità, talenti e conoscenze. E questo vale anche per i processi di orientamento scolastico, che sono estremamente complessi”.

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