ImmaFer
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lezione di nuoto in età scolastica

Un’ora di nuoto a scuola potrebbe salvare vite. È questa, in estrema sintesi, la proposta avanzata dai pediatri italiani che, in occasione della Giornata internazionale per la prevenzione dell’annegamento, rilanciano l’idea di introdurre il nuoto come disciplina curriculare nell’ambito dell’educazione fisica.

Un’iniziativa nata dalla constatazione di un dato allarmante: in Italia, solo un bambino su tre sa nuotare in sicurezza.

Una carenza che, ogni anno, contribuisce a un bilancio tragico. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità relativi al quinquennio 2017-2021, si registrano in media 41 decessi annui per annegamento tra i minori di 19 anni. In totale, 206 vittime, con una netta prevalenza maschile: l’81% dei casi riguarda bambini e ragazzi. Le fasce d’età più a rischio sono quella tra 1 e 4 anni e quella adolescenziale.

Indice

  1. Il nuoto come “assicurazione sulla vita”
  2. Disparità economiche e rischio in acqua
  3. La scuola, un alleato

Il nuoto come “assicurazione sulla vita”

“Italia fanalino di coda in Europa per educazione natatoria”, avverte il pediatra Italo Farnetani, come riporta "Orizzontescuola", che promuove l’idea di una vera e propria alfabetizzazione acquatica. “Saper nuotare bene può rappresentare una vera assicurazione sulla vita”, ha dichiarato il pediatra.

Secondo lui, il luogo ideale per iniziare è proprio la scuola, l’unico ambiente in grado di garantire pari opportunità di accesso a tutti i bambini, indipendentemente dal contesto socioeconomico di partenza.

Il concetto è semplice: imparare a nuotare non è un lusso, ma una misura di prevenzione primaria. Un’abilità che dovrebbe essere alla base della formazione motoria, tanto quanto lo sono la corsa, la ginnastica o i giochi di squadra. E, proprio per questo, la proposta prevede l’attivazione di convenzioni tra scuole e impianti natatori del territorio, con l’obiettivo di inserire il nuoto nel piano didattico annuale delle ore di educazione fisica.

Disparità economiche e rischio in acqua

Oggi, accedere a un corso di nuoto è ancora un privilegio. Le famiglie a basso reddito spesso non possono permettersi lezioni private. “La carenza di capacità natatorie espone a rischi maggiori chi non può permettersi lezioni private”, ha sottolineato Farnetani.

A conferma di ciò, più della metà degli incidenti in piscina coinvolge bambini sotto i 12 anni, con un'incidenza significativa tra i più fragili dal punto di vista sociale.

La prevenzione, però, non può essere affidata soltanto alla responsabilità delle famiglie. Le principali associazioni di pediatria – tra cui la Società Italiana di Pediatria – chiedono un intervento sistemico, che includa non solo informazione e vigilanza, ma anche una formazione attiva, fin dalla scuola primaria. Il nuoto viene così definito uno “sport salvavita”, da insegnare come si insegna a leggere o a scrivere.

La scuola, un alleato

La scuola è vista come il primo alleato: “Introdurre il nuoto come disciplina curriculare può colmare le disparità sociali e aumentare la sicurezza in acqua già dalla tenera età”, ha ribadito Farnetani. Una proposta che punta a rendere l’educazione motoria più completa e funzionale, in grado di rispondere anche a bisogni di sicurezza oltre che di benessere.

La sfida ora è costruire un sistema capace di garantire l’accesso universale, superando le differenze tra aree urbane e periferiche, tra Nord e Sud, tra scuole dotate di impianti e territori dove le piscine non esistono. Una sfida che chiama in causa Ministero dell’Istruzione, enti locali e società sportive.

Ma il punto di partenza è sempre lo stesso: un bambino che sa nuotare ha una possibilità in più di salvarsi. E imparare dovrebbe essere un diritto.

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