
L’Italia ha speso nel 2019 solo 8.514 euro per studente a differenza degli altri Paesi europei che si attestano su un investimento medio per studente pari a quasi 10.000 euro: è questa la fotografia del nostro Paese che arriva dal nuovo rapporto "I giovani e l’istruzione: la spesa pubblica in Italia e i divari da colmare" di Unimpresa, l’associazione che rappresenta le micro, piccole e medie imprese del nostro paese.
Il divario con gli altri Paesi europei oltre che ad essere abbastanza evidente si riflette direttamente nella spesa pubblica del nostro Paese e anche nel minor numero di studenti laureati favorendo il fenomeno della fuga dei cervelli ma, andiamo a vedere meglio dove si colloca il nostro Paese e dove questo divario si avverte maggiormente.
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La scuola in Italia è come un buco nero con poche risorse a disposizione
Il paragone più adatto per spiegare la situazione del settore scolastico in Italia è quello con il buco nero: la scuola infatti assorbe le poche risorse messe a disposizione che però vengono gestite malamente e, proprio per questo, la maggior parte finisce per perdersi. La parte della nostra spesa pubblica riservata all'istruzione è dell'8,2% e, rispetto agli altri Paesi europei si colloca all'ultima posizione quasi al pari con quella della Grecia. A svettare nelle classifiche troviamo l'Estonia con ben il 15,8% della spesa pubblica destinato all'istruzione e il 14 % della Svezia.Nel nostro paese infatti si calcola che gli investimenti nell'istruzione siano calati del 14%: a fronte di una spesa di tutto il sistema europeo di 742 miliardi di euro, l’Italia ha stanziato solo il 9% ovvero 70 miliardi di euro di risorse nel 2018 con oltre il 76% dei fondi destinati alla retribuzione dei docenti (a differenza della media europea del 65%) e solo il 3% agli investimenti, molto lontani dalla media europea del 7%.
In questo contesto, appunto, l'Italia ha speso nel 2019 solo 8.514 euro per studente a differenza degli Paesi europei. Il governo francese, ad esempio, ha destinato all'istruzione una percentuale del 9,6% sulla spesa totale, segue la Germania con un 9,3% tra il 2015 e il 2019. Nonostante l'eccellenza del nostro sistema d'istruzione restano troppo pochi i fondi che ad essa vengono destinati: meglio di noi invece fanno Paesi come il Giappone, gli Stati Uniti, il Canada e Brasile.
Tra il divario degli studenti universitari e l'abbandono scolastico
Questi dati si riflettono direttamente nel divario rispetto agli altri Paesi europei nel numero degli studenti universitari: nel 2018 a fronte dei 17,5 milioni di universitari in Europa, la Germania vanta il 17,9% di laureati seguita con il 15% dalla Francia mentre l'Italia si contende gli ultimi posti in classifica con la Polonia, vantando solamente il 10,8% di laureati. Nel nostro Paese infatti solamente il 17% della popolazione riesce a laurearsi, un dato davvero sconfortante se guardiamo alle percentuali del Regno Unito(40,1%) e della Francia (33%).A complicare la situazione è l'alto tasso di abbandono scolastico in Italia che, accentuato dalla crisi pandemica, si colloca al 13,5%. La percentuale di giovani che nella fascia d'età compresa tra i 18 e i 24 anni decidono di non proseguire gli studi varia in maniera considerevole a seconda dell'area geografica passando dal 16,7% medio nel Sud al 9,6% nell’ area del Nord-Est. I tassi più alti infatti si hanno nelle regioni meridionali di Calabria, Campania, Sicilia, Puglia e Sardegna dove il tasso di abbandono scolastico supera il 15%.
La fuga dei cervelli
Lo scenario che ci viene dato da questi dati mostra già una situazione allarmante che si aggrava nel momento in cui parliamo della fuga dei cervelli. Mentre in Europa il 76% dei giovani laureati trova lavoro in poco più di un anno, da noi annualmente circa 30.000 studenti laureati hanno difficoltà nel passaggio dal mondo dell’istruzione a quello del lavoro.Proprio la fuga dei cervelli annualmente genera un buco nelle casse dello Stato italiano di oltre 3,5 miliardi. Si calcola che per ogni cervello in fuga, il sistema italiano perde complessivamente circa 138.000 euro di quanto speso nella formazione.
L'appello del presidente di Unimpresa per una scuola in presenza e digitale
Considerati i 30,6 miliardi che il Pnrr destina alla scuola, il presidente onorario di Unimpresa, Paolo Longobardi si appella al governo affinché la scuola riparta in presenza. Lo stesso ha infatti dichiarato che:"La didattica a distanza è stata uno strumento di emergenza che non può e non deve diventare un sistema strutturale di insegnamento in quanto la Dad a oltranza peggiorerebbe la situazione del nostro Paese, già molto indietro rispetto al resto d’Europa in termini di istruzione. ""L’utilizzo di dispositivi digitali- continua Longobardi- "ha consentito alla scuola di proseguire durante una situazione imprevista causata dalla pandemia, ma, allo stesso tempo, ha mostrato non pochi limiti e conseguenze negative sia sul piano della stessa didattica, a cagione di non irrilevanti problemi tecnici, sia sul versante della socialità e dello sviluppo sociale dei bambini e dei ragazzi. Il nostro è un appello fatto sia in veste di genitori e nonni sia in quanto rappresentanti di imprese che guardano con preoccupazione oltre che con responsabilità alla formazione e alla crescita della futura classe dirigente del Paese, di nuovi imprenditori, di studenti che a breve saranno inseriti nel mercato del lavoro e devono farlo trovandosi nelle migliori condizioni possibili, con il più importante livello di formazione, anche come persone. La scuola forma donne e uomini della nostra società, quella di domani".
Paolo Di Falco