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Educazione sessuale in classe

Il dibattito resta aperto sull’educazione sessuo-affettiva a scuola, dopo il divieto previsto anche per le scuole medie. A seguito di numerose critiche è proprio il ministro Giuseppe Valditara che, attraverso le pagine del ‘Corriere della Sera’, risponde chiarendo gli intenti di questa scelta. La sua posizione è netta: “I femminicidi non si combattono con l’educazione sessuale”.

Secondo il Ministro, gli strumenti attualmente a disposizione della scuola sono più che sufficienti per insegnare ai giovani il rispetto dell’altra persona e per guidarli verso relazioni più consapevoli: "Nelle nuove Indicazioni nazionali, quelli che un tempo si chiamavano 'programmi scolastici', l'educazione sessuale, in senso biologico, è ampiamente prevista". Nello specifico, "lo studio delle differenze sessuali fra maschio e femmina, per esempio, della riproduzione, del concepimento, della procreazione, della pubertà". 

Ma, allo stesso tempo, Valditara ribadisce che l'educazione in questo senso deve essere lontana dalle ideologie gender e deve rispettare il ruolo centrale delle famiglie.

Indice

  1. Escludere l’ideologia gender
  2. Valditara: “L’insegnamento c’è già”
  3. L’educazione parte dalla famiglia

Escludere l’ideologia gender

Il Ministro è, dunque, molto chiaro sugli obiettivi. Secondo lui, l'educazione sessuale di per sé non è la formula magica per azzerare la violenza. Per dimostrarlo, porta ad esempio i Paesi del Nord Europa dove, nonostante si faccia educazione sessuale da decenni, i tassi di femminicidi e violenze sono addirittura superiori all’Italia.

L'educazione a scuola, secondo lui, deve invece avere come priorità una corretta conoscenza del corpo, protezione dai rischi di malattie sessualmente trasmissibili e una consapevole gestione della sessualità.

Per raggiungere questi scopi, il nuovo Ddl ha previsto un arricchimento del corso di scienze. Ma la finalità principale resta una: non si deve “creare confusione nei bambini insegnando le cosiddette teorie gender”.

Il motivo lo spiega Valditara stesso: “Non è facilmente comprensibile da un bimbo la teoria secondo cui accanto a un genere maschile e femminile ci sarebbero altre identità di genere che non sono né maschili né femminili".

Valditara: “L’insegnamento c’è già”

A chi ha definito il Ddl un passo indietro, Valditara risponde con i numeri e i fatti per dimostrare che, in realtà, l’insegnamento c’è già ed è in pieno svolgimento. “Il 90% delle scuole ha attivato corsi di educazione alle relazioni e al rispetto”, specifica il Ministro, che porta sul tavolo altri dati: “Secondo i docenti, nel 70% dei casi si è avuto un miglioramento nel comportamento dei giovani”.

Il Ministero, inoltre, ha stanziato fondi ingenti per garantire un’alta qualità dell’insegnamento: oltre 3 milioni di euro sono stati destinati a Indire per una formazione ad hoc per i docenti e altri 13 milioni di euro sono stati reperiti per le attività dirette in classe con gli studenti.

Questi interventi hanno reso l’educazione alle relazioni e al rispetto un obiettivo di apprendimento obbligatorio, che viene affrontato non solo durante le lezioni di educazione civica, ma è integrato in tutti gli altri insegnamenti disciplinari.

L’educazione parte dalla famiglia

Un altro punto fondamentale per il Governo riguarda il ruolo delle famiglie e la loro libertà di scelta. Valditara si appella all'articolo 30 della Costituzione, che “attribuisce innanzitutto ai genitori il compito di educare i figli”. Per questo motivo, l'Esecutivo ha “ritenuto giusto che siano i genitori dei minori a decidere se far frequentare ai figli adolescenti lezioni sulla identità di genere”.

In questo modo, si cerca anche di evitare che “associazioni ideologizzate” possano “fare propaganda nelle scuole, spesso a spese dei contribuenti”. Le lezioni devono essere tenute solo da “professionisti seri”, garantendo serietà e competenza.

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