
Nonostante ciò, probabilmente non saranno sufficienti a coprire il fabbisogno di nuovi insegnanti. Anche perché, nel frattempo, i concorsi procedono a rilento. Una situazione più volte segnalata dai sindacati di categoria e su cui è nuovamente tornata Ivana Barbacci, neo segretaria generale della CISL Scuola, int
Come commentate il provvedimento del MEF? I 94.130 posti sono sufficienti o ne servivano di più?
“È una decisione in linea con quanto avvenuto anche negli anni scorsi, che consente in teoria di coprire tutti i posti vacanti, cioè privi di un docente titolare. Stiamo però parlando del cosiddetto “organico di diritto”, che tra posti di sostegno e posti comuni ammonta a circa 787.000 posti. In realtà, per garantire il funzionamento del servizio servono ogni anno circa 100 mila posti in più, prevalentemente di sostegno, che tuttavia non hanno carattere di stabilità e sono quindi coperti con contratti a termine”.
Ciò vuol dire che anche quest’anno assisteremo al valzer dei supplenti? E se sì, in che misura?
“Una quota di supplenti, piuttosto considerevole, è da mettere in conto per la natura “provvisoria” di questi 100 mila e più posti che si aggiungono alla normale pianta organica. Come è abbastanza scontato che i posti disponibili per assunzioni in ruolo rimarranno in buona parte affidati a supplenza, per mancanza di aspiranti nelle graduatorie da cui si attinge. Nonostante il proliferare di procedure concorsuali, infatti, anche quest’anno sarà ben difficile che si riesca a coprirne più della metà. Lo scorso anno si superò di poco il 50% solo grazie alla decisione di assumere dalla I fascia delle GPS, cosa che sarà possibile anche quest’anno per il sostegno”.
Molto, dunque, ruota attorno ai docenti di sostegno: corretto? E’ il solo settore in affanno?
“Indubbiamente l’area del sostegno, specie in alcune aree territoriali, registra uno scarto enorme tra i posti disponibili e gli aspiranti presenti nelle graduatorie. Alcuni dati rendono bene l’idea: in Piemonte, per la primaria, solo 46 candidati per 1.307 posti; in Lombardia 481 per 3.396 posti, in Emilia Romagna 124 per 1.077 posti. Ma anche nel Lazio non va benissimo, con 264 aspiranti per 957 possibili assunzioni. Solo Campania, Sicilia e Calabria hanno più aspiranti che posti. Variegata è però anche la situazione sui posti comuni, dove saranno coperti tutti i posti disponibili per infanzia e primaria, mentre avremo buchi più o meno grandi su altre classi di concorso, specie quelle dell’area scientifica, soprattutto al Nord”.
Quando potremo capire meglio come ci si presenterà ai blocchi di partenza?
“Per avere un quadro più attendibile bisognerà attendere gli esiti della cosiddetta “call veloce”, ossia la procedura che consente a chi è in una graduatoria concorsuale di accettare, se restano posti da coprire, il ruolo in una regione diversa da quella selezionata. Il precedente del 2020/21 (lo scorso anno la call veloce non ebbe luogo) non induce però a prevedere spostamenti significativi, ma la conferma l’avremo tra pochi giorni, in quanto il Ministero ha fissato il termine del 10 agosto per il completamento di tutte le operazioni di assunzione. A meno che non intervengano deroghe legate alla pubblicazione tardiva di graduatorie concorsuali al momento non ancora pronte per le operazioni di nomina, che si stanno svolgendo in questi giorni.”
Il numero di posti per le assunzioni a tempo indeterminato è assegnato per il 50% alle graduatorie dei concorsi e per il restante 50% alle graduatorie ad esaurimento. Secondo voi è un criterio corretto? Servirà a ridurre il numero di precari storici?
“E’ chiaro che un modello di reclutamento affidato esclusivamente ai concorsi (ordinari o straordinari) non riesce a soddisfare le esigenze del sistema, che infatti continua a dover ricorrere in misura troppo estesa a contratti di lavoro precario. Duecentomila insegnanti assunti a tempo determinato non sono una zavorra, men che meno una massa di lavoratori poco qualificati, come troppo spesso si tende più o meno esplicitamente a considerarli. Sono anzitutto una risorsa che permette alle scuole di non chiudere nonché una riserva di esperienza professionale dalla quale in ogni settore produttivo, con oculatezza e lungimiranza, si cercherebbe di attingere. Valorizzando quell’esperienza (“facendo di necessità virtù”, verrebbe da dire), sostenendola con ogni necessario supporto formativo, valutandone l’operato offrendo prospettive di stabilizzazione che salderebbero gli interessi delle persone con quelle di un servizio scolastico che ne guadagnerebbe in termini di continuità didattica e efficacia organizzativa. Il sistema di reclutamento a due canali (concorsi aperti a tutti, graduatorie per chi ha maturato consistenti esperienze lavorative), introdotto alla fin degli anni ’80, nasceva proprio dalla consapevolezza che il sistema scolastico, per la sua natura di servizio inderogabile, che non ammette riduzioni o sospensioni, genera naturalmente una quota più o meno ampia di lavoro precario. Al quale è giusto, utile e opportuno riconoscere prospettive di stabilità: a questo puntava il canale dei concorsi per titoli, poi trasformato nelle graduatorie a esaurimento. Una scelta che col senno di poi si è rivelata sbagliata”.