
Il bullismo è un fenomeno che continua a minacciare molti studenti fuori e dentro le scuole. Ma, oltre a mettere a rischio il benessere delle vittime, può addirittura limitare le loro opportunità future, togliendo anni preziosi allo studio e alla formazione completa.
È una minaccia che incombe su tutti, ma i dati recenti ci dicono che c'è una parte della popolazione studentesca particolarmente esposta: sono i giovani Lgbtqia+. I dati recenti, infatti, descrivono per loro un quadro allarmante, con gli studenti e le studentesse appartenenti a questa comunità che risultano i principali bersagli dei bulli.
Indice
Quasi la metà è vittima di bullismo
I numeri raccolti a livello mondiale dalle Nazioni Unite fanno suonare un campanello d'allarme fortissimo. Nel 2023, ben il 45% degli studenti che si identificano come gay, lesbiche, transessuali o intersex ha subito qualche forma di bullismo scolastico. Praticamente, quasi uno studente Lgbtqia+ su due è stato vittima di aggressioni o attacchi verbali.
Guardando i dati nei paesi più vicini all’Italia, nella sola Unione Europea, il 44% dei giovani Lgbtqia+ tra i 15 e i 17 anni al momento della rilevazione sentiva che i propri diritti erano supportati "raramente" o "per niente" all'interno degli istituti.
Mentre in alcune nazioni dell'Africa sub-sahariana, la percentuale di chi non si sentiva mai sicuro in classe arrivava addirittura al 35%.
Cifre, queste, che descrivono una tendenza chiara e preoccupante: chi viene percepito come "diverso" è molto più a rischio.
Chi è il bersaglio principale e perché
Perché i giovani Lgbtqia+ finiscano così spesso nel mirino dei bulli lo si può capire dalle evidenze analizzate in pubblicazioni autorevoli come “Lgbtiq+ youth: bulliying and violence at school” di Un Free & Equal e Unesco.
Secondo quest'ultimo studio, ad esempio, la ragione di fondo è che questi ragazzi e ragazze “sfidano le aspettative sociali riguardanti le relazioni, il genere e il corpo. Si tratta, ad esempio, degli studenti "non binari", dei ragazzi percepiti come "femminili" o delle ragazze percepite come ‘maschili’”.
In pratica, i bulli prendono di mira chi non si adatta agli stereotipi di genere o di relazione che (purtroppo) ancora dominano la nostra società. Questi pericoli, tra l'altro, non sono affatto solo teorici.
Le stesse evidenze Onu/Unesco indicano un impatto pesantissimo sul percorso di studi e sulla salute mentale: il 33% delle ragazze trans e il 30% dei ragazzi trans hanno seriamente pensato di abbandonare gli studi a causa delle difficoltà incontrate e delle minacce al proprio benessere e alla propria incolumità.
La risposta globale
Di fronte a evidenze così preoccupanti è normale che famiglie e istituti scolastici da soli non possano risolvere il problema. Siamo in un'epoca di polarizzazione e scontro aperto su temi come l'espressione individuale e le preferenze personali. È necessario, perciò, un nuovo impegno da parte degli Stati.
Purtroppo, una ricerca globale di Ilga (International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association) ci dice che “la maggior parte dei Paesi deve ancora adottare una legislazione esplicita che protegga dal bullismo nelle scuole le persone gay, lesbiche, bisessuali, trasnessuali o intersex”.
Attualmente, solo sei stati membri delle Nazioni Unite (Andorra, Finlandia, Grecia, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna) hanno norme che proteggono specificamente da attacchi legati a pregiudizi su:
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orientamento sessuale;
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espressione e identità di genere;
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caratteristiche sessuali.
Un quinto delle nazioni (circa quaranta) offre una protezione specifica, ma spesso è parziale: 38 leggi sull'orientamento sessuale, ma solo 13 sull'espressione di genere, per esempio.
Prevenzione e sanzioni: cosa si sta facendo
Laddove, però, le normative per tutelare questi studenti esistono, queste si concentrano soprattutto sull'istruzione e sulla parità di trattamento. Nel concreto, ciò consiste nel vietare esplicitamente le molestie contro i giovani Lgbtqia+ nei contesti educativi, richiedendo che il bullismo sia incorporato nei codici di condotta delle istituzioni.
Come spiega Curro Peña-Diaz, consulente di ricerca per Ilga World: “Queste leggi suggeriscono che gli Stati potrebbero considerare il bullismo scolastico come una forma molto particolare di violenza che non solo ha i giovani come principali vittime, ma anche come principali autori”.
Per questo motivo, le giurisdizioni preferiscono approcci pedagogici per educare i bulli e fornire riparazione alle vittime all'interno del sistema scolastico, evitando spesso le sanzioni penali.
Tale visione è confermata anche da una tendenza generale: "Osserviamo che se è vero che alcune regioni come l’Europa e l’America latina sembrano più veloci nell’adottare leggi", come nel caso della Spagna o del Brasile (dove le autorità scolastiche hanno l'obbligo legale di prevenire il bullismo per motivi di pregiudizio su orientamento e identità di genere), la discussione si sta aprendo ovunque.
I costi sociali del bullismo
Gurchaten Sandhu, direttore dei programmi di Ilga World, lancia in ogni caso un messaggio potente: l'inazione ha un costo sociale enorme.
Per molti, i fenomeni di prevaricazione sono “un ostacolo importante lungo il percorso (scolastico). Quando i governi si rifiutano di agire, lasciano questi ostacoli al loro posto o, peggio, permettono che i detriti cadano e trasformino un percorso già difficile in una frana. Il bullismo danneggia la salute mentale degli studenti Lgbt e riduce le loro prospettive accademiche e lavorative”.
Creare scuole inclusive e programmi di formazione per tutti gli studenti è fondamentale per l'eliminazione della povertà e per costruire una società migliore: “Se gli Stati vogliono seriamente creare un futuro economicamente più prospero per tutti, devono sapere che la loro inazione è dannosa non solo per le persone Lgbt, ma per tutta la società nel suo complesso”, precisa Sandhu.
Le conseguenze del bullismo, infatti, vanno a gravare sulle casse di un Paese in termini di assistenza sanitaria e sociale, riducendo le opportunità di sviluppo perché la formazione delle giovani generazioni si interrompe e ritarda l'ingresso nel mondo del lavoro.