Redazione
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Autore
edmondo cirielli

Ogni anno circa uno studente su quattro, al momento dell’iscrizione all’università, fa le valigie e lascia la propria terra, diventando a tutti gli effetti un fuorisede. In molte aree del Paese, infatti, ‘emigrare’ dopo il diploma è quasi una legge non scritta.

E quasi sempre si tratta di una scelta che non dipende tanto dalla qualità degli atenei - spesso competitivi - quanto, piuttosto, dalla mancanza di opportunità sul territorio.

Non sorprende quindi che, dove i servizi sono meno efficienti, la migrazione studentesca sia più intensa. Accade soprattutto al Sud - pur senza risparmiare il Nord - dove carenze strutturali e l’assenza di prospettive spingono ogni anno migliaia di ragazze e ragazzi a cercare altrove ciò che non riescono a trovare vicino casa.

Lo confermano i numeri della nostra inchiesta sui fuorisede, che mostrano un Mezzogiorno in difficoltà nel trattenere i propri talenti. In alcune di queste regioni, come Basilicata e Puglia, questi dati hanno scatenato un certo dibattito sui giornali locali, alimentato dalla politica e dagli atenei.  

Sul tema è voluto intervenire anche Edmondo Cirielli, candidato alla Presidenza della Regione Campania, che ha condiviso con Skuola.net la sua ‘ricetta’ per invertire la rotta, raccontandoci il progetto che vorrebbe mettere in campo qualora il risultato delle urne dovesse premiarlo.

L’inchiesta di Skuola.net sui flussi di fuorisede ha creato un po’ di scompiglio in alcune regioni del Sud in cui una buona parte degli studenti decide di emigrare per svolgere gli studi universitari. La Campania non è direttamente coinvolta in questo fenomeno, però fa riflettere sulla difficoltà per il Mezzogiorno di trattenere talenti. Da cosa può dipendere secondo lei?

“La Campania è tra le regioni con il tasso più alto di studenti fuorisede: tanti giovani campani scelgono di formarsi altrove. Non è un problema di qualità delle nostre università, che sono competitive; è un problema di opportunità. Se un ragazzo sente che qui avrà meno occasioni, servizi meno efficienti, un collegamento più debole tra studio e lavoro, allora parte.

Dobbiamo investire sul merito, sulla formazione e sulle competenze, collegando le università al mondo del lavoro e alle imprese del territorio. I nostri giovani non devono più essere costretti a partire per trovare un’opportunità.

Il Mezzogiorno perde talenti non perché i giovani siano “in fuga”, ma perché cercano quello che dovrebbero trovare a casa loro: mobilità efficiente, campus moderni, residenze accessibili, borse di studio adeguate, ma soprattutto prospettive concrete dopo la laurea. Il nostro compito è ribaltare questo meccanismo e creare le condizioni perché chi vuole restare possa farlo, e chi vuole tornare sia messo nelle condizioni di rientrare”.

Qualora lei dovesse vincere le elezioni regionali, che progetti ha per la formazione terziaria nella sua regione?

“Ho tre priorità: la prima è sicuramente trattenere i giovani. Dobbiamo offrire opportunità vere: studentati moderni, borse di studio più accessibili, trasporti più efficienti. Studiare in Campania deve essere una scelta competitiva anche rispetto alle grandi città del Nord. 

La seconda è poi collegare università e lavoro. Voglio creare un vero ecosistema regionale tra atenei, imprese e centri di ricerca, con tirocini qualificati, laboratori condivisi, incubatori e incentivi alle aziende che assumono laureati campani. 

Infine bisogna puntare sulle competenze del futuro. Rafforzeremo gli ITS, investiremo su digitale, IA, green economy, sanità, ingegneria e servizi. Il messaggio deve essere semplice: ‘Se ti formi qui, puoi costruire il tuo futuro qui’”.

Osservando i dati delle prove Invalsi, invece, lo stato di salute del sistema scolastico in Campania risulta essere deficitario, visto che la Campania occupa le ultime 5 posizioni in termini di studenti che non raggiungono le competenze di base in italiano o matematica. Cosa andrebbe fatto di diverso per invertire la rotta?

“Il dato Invalsi è un campanello d’allarme serio: dimostra che la Regione in questi anni non ha fatto abbastanza. La scuola campana ha bisogno di supporto quotidiano, non solo di interventi emergenziali.

Servono: formazione continua per i docenti, edifici moderni e sicuri, laboratori attivi, orientamento vero, recuperi strutturati. E bisogna sostenere le scuole delle aree più difficili, dove i divari sono più ampi. Le insegnanti e gli insegnanti campani fanno un lavoro straordinario: dobbiamo metterli nelle condizioni di incidere davvero”.

Le regioni che riescono a raggiungere i migliori risultati sono anche quelle che riescono ad offrire più posti a tempo pieno in primaria o nella fascia 0-6: il vantaggio competitivo di costruisce da lì. In Campania pensa che si debba, anche qui, fare qualcosa di diverso?

“Assolutamente sì. L’educazione 0-6 e il tempo pieno non sono un costo: sono il più grande investimento di uguaglianza sociale. In Campania abbiamo pochi asili nido, pochi posti disponibili e un tempo pieno ancora troppo limitato. È una delle ragioni per cui, crescendo, le differenze diventano divari educativi.

Il mio obiettivo è aumentare in modo significativo l’offerta 0-6, sostenere i Comuni che vogliono attivare il tempo pieno e costruire un modello educativo che accompagni le famiglie e liberi il potenziale dei bambini fin dai primi anni. Il futuro comincia lì: se vogliamo giovani che restino, dobbiamo iniziare a costruirlo quando sono piccoli”.

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