
Un'ombra si allunga sull'utilizzo di ChatGPT nel mondo accademico. Una ricerca pubblicata sulla rivista International Journal of Educational Technology in Higher Education mette in luce possibili conseguenze negative legate all'uso intensivo di questo strumento di intelligenza artificiale da parte degli studenti. Lo studio, condotto su un campione di centinaia di universitari, dai neofiti ai dottorandi, evidenzia una tendenza preoccupante: gli studenti che fanno un uso smodato di ChatGPT per svolgere compiti e progetti accademici potrebbero essere a rischio di perdita di memoria e calo delle prestazioni scolastiche.
Un'indagine in due fasi
L'indagine si è sviluppata in due fasi. In un primo momento, un sondaggio ha coinvolto 165 studenti, invitandoli a valutare il proprio grado di dipendenza da ChatGPT. Le domande spaziavano dall'utilizzo dell’IA per gli incarichi del corso alla sua presenza nella vita universitaria. Successivamente, una seconda fase ha ampliato il campione a quasi 500 studenti, sottoposti a sondaggi ripetuti a intervalli di una o due settimane. I risultati confermano le ipotesi iniziali: gli studenti con carichi di lavoro accademici pesanti e pressioni temporali tendono a utilizzare ChatGPT con maggiore frequenza.
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Procrastinazione e calo del rendimento
L'uso di ChatGPT sembra infatti alimentare la procrastinazione, con gli studenti che rimandano lo studio e si affidano all’IA per completare le loro attività all’ultimo minuto. Questo comportamento si traduce in una minore capacità di memorizzazione e in un calo del rendimento scolastico.
Sorprese inaspettate
Lo studio però riserva anche una sorpresa: gli studenti più orientati al successo accademico e attenti al raggiungimento di buoni voti tendono a evitare l’uso di ChatGPT. La ragione potrebbe essere legata al timore di essere scoperti e di incorrere in sanzioni per l’utilizzo improprio di strumenti esterni.
Un campanello d’allarme per docenti e studenti
I risultati di questa ricerca suonano come un campanello d’allarme per docenti e studenti. Un esempio virtuoso è l'Università di Stanford, che ha adottato un sistema di "plagiarism detection" in grado di identificare testi generati da ChatGPT. In questo modo, gli studenti sono consapevoli che l'utilizzo improprio dell'IA non passerà inosservato. La soluzione, però, non è demonizzare ChatGPT. L'intelligenza artificiale può essere un alleato prezioso per l'apprendimento, se usata in modo responsabile e consapevole.