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insegnante di sostegno

Un nuovo dibattito si è acceso per la proposta di legge presentata dal partito della Lega, che promette di rivoluzionare un aspetto fondamentale del nostro sistema educativo: il ruolo del docente che affianca gli studenti con disabilità

L’obiettivo? Eliminare la dicitura "insegnante di sostegno" e sostituirla con "docente per l'inclusione". Non si tratta di una rivoluzione, almeno non sulla carta, ma di un unico articolo che prevede questa modifica. 

Un cambio di denominazione che, a prima vista, potrebbe sembrare un semplice dettaglio burocratico, ma che in realtà si porta dietro implicazioni significative e apre interrogativi sul futuro della scuola in Italia. 

Indice

  1. Le ragioni della proposta: oltre il "sostegno"
  2. Cosa cambia davvero? Dubbi e sovrapposizioni
  3. Una scuola più inclusiva: oltre il nome
  4. Le proposte 

Le ragioni della proposta: oltre il "sostegno"

Il motivo di questo cambiamento, apparentemente solo di forma, secondo la Lega è il termine "sostegno", che rischierebbe di indurre una "percezione troppo limitata" del ruolo di questi docenti.

Li farebbe apparire come "risorse dedicate esclusivamente agli alunni con disabilità", quando in realtà il loro compito è ben più ampio: favorire l'integrazione di tutti gli studenti e supportare l'intero contesto di classe.

L'idea è che, invece, la parola "inclusione" possa aprire la strada "a una scuola sempre più attenta ai principi di equità e pari opportunità su cui si fonda il nostro sistema educativo".

Cosa cambia davvero? Dubbi e sovrapposizioni

Attenzione, però, perché la questione è più complessa di quanto sembri. In un’intervista a Evelina Chiocca (Osservatorio 182) e Walter Miceli (Anief), su 'Orizzontescuola.it', si evidenzia un aspetto giuridico centrale.

La proposta di legge della Lega, sebbene introduca il "docente per l'inclusione", si inserisce in un panorama normativo in cui il "docente di sostegno" non è una denominazione formalmente codificata.

La Legge 104/1992, infatti, parla di "docenti specializzati per le attività di sostegno". Questo rischia di creare una sovrapposizione di denominazioni, generando confusione e possibili problemi interpretativi.

C'è, poi, anche un altro aspetto da considerare: il nuovo termine potrebbe introdurre una "distinzione indebita" tra chi si occuperebbe di inclusione (il nuovo docente) e tutti gli altri insegnanti. Questo sminuirebbe il principio della corresponsabilità educativa dato che l'inclusione è, per il nostro ordinamento, un compito collegiale dell'intera comunità scolastica.

Inoltre la proposta, così formulata, sembra ipotizzare un "docente per l'inclusione" incaricato non solo per gli alunni con disabilità, ma anche per quelli con bisogni educativi speciali (BES).

A livello culturale, infine, ciò potrebbe far passare il messaggio che l'inclusione sia compito esclusivo di un singolo docente, e non di tutta la scuola.

Una scuola più inclusiva: oltre il nome

Per una scuola realmente inclusiva, Evelina Chiocca e Walter Miceli, parlano piuttosto di tre pilastri fondamentali da tenere in considerazione e di cui si discute da tempo.

Il primo è la formazione iniziale: tutti i docenti, fin dall'università, dovrebbero acquisire le competenze per lavorare in classi eterogenee e inclusive. È sorprendente che, a oltre 50 anni dall'integrazione scolastica in Italia, questa formazione non sia ancora obbligatoria per tutti.

Il secondo è il modello organizzativo della cattedra inclusiva. Si tratta di un docente che, nella stessa classe, ad esempio, potrebbe fare 7 ore di italiano e 7 ore di sostegno, mentre le altre ore di sostegno sarebbero coperte da altri colleghi. Questo modello vuole superare la separazione netta tra docente curricolare e docente di sostegno, promuovendo una maggiore integrazione e corresponsabilità.

Grazie all’Università del Molise, è in corso una sperimentazione nazionale sulla cattedra inclusiva, che coinvolge numerose scuole sia del primo che del secondo ciclo di istruzione. La conferma della validità di questo modello arriva proprio dai risultati ottenuti, anche in contesti complessi.

Il terzo pilastro è la didattica inclusiva, che significa adottare strategie come l'Universal Design for Learning (UDL), pensate per rispondere ai bisogni di tutti gli alunni. Quando i docenti sono preparati e condividono conoscenze, la pianificazione didattica diventa più efficace e davvero inclusiva.

Le proposte 

In questo contesto, l’avvocato Miceli ha avanzato anche alcune proposte concrete:

  • Tutti i docenti diventano docenti per l'inclusione: ogni insegnante, a prescindere dalla materia, dovrebbe adottare pratiche inclusive come metodo ordinario.

  • I docenti specializzati per il sostegno devono essere tutti di ruolo: si propone l'assunzione di almeno 100.000 insegnanti di sostegno, per eliminare la precarietà.

  • La riforma non può avvenire a costo zero: non si possono ottenere cambiamenti reali senza investimenti adeguati. L'invarianza finanziaria, purtroppo, rischia di vanificare qualsiasi riforma seria.

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