“Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita” (Paul Nizan, Aden Arabia, 1931).
Il candidato rifletta sulla dichiarazione di Nizan e discuta problemi, sfide e sogni delle nuove generazioni.
Durante un afoso pomeriggio di giugno, sistemando la mia stanza, ho ritrovato la scatola rossa in cui sono conservati tutti i miei ricordi degli ultimi anni di scuola.
Ho ritrovato i miei diari dove, invece dei compiti, si scrivevano solo dediche e citazioni di film e canzoni ormai quasi dimenticati; ma ho trovato anche quaderni, pagelle e tante, tante fotografie (di quelle sviluppate dal fotografo, non quelle digitali condivise su Facebook).
La prima cosa che ho sentito è quella strana sensazione di calore che ti prende allo stomaco e ti sale su fino al cuore, quell’emozione dolce che penso si chiami nostalgia e che ti fa venire voglia di tuffarti in quelle foto per rivivere quegli attimi, i tuoi vent’anni (anno più, anno meno) che adesso ti sembrano così lontani e così belli, come avvolti da un batuffolo di ovatta.
Proseguendo nel mio amarcord e leggendo i miei quaderni personali (ho sempre avuto un debole per la scrittura, ricordo che addirittura volevo scrivere un libro), anche loro stipati nella scatola rossa mi sono resa anche conto che forse a quei tempi, quel batuffolo di ovatta non mi sembrava proprio così immacolato come lo ricordo adesso.
I vent’anni sono un’età bellissima, si è forti e si pensa di poter conquistare il mondo, ma si è anche molto fragili e pieni di incertezze.
Ricordo infatti tanti sogni andati in frantumi, un po’ per il normale corso delle cose, un po’ per colpa mia, un po’ per colpa degli altri e i profondi momenti di depressione che seguivano subito dopo.
Per esempio, guardando una foto scattata alla biblioteca comunale della mia città, ricordo con quanta determinazione io e i miei amici affrontammo i giorni che precedevano la maturità: tutti i giorni puntuali ci davamo appuntamento alla biblioteca e ognuno di noi aveva un compito ben preciso che corrispondeva al ripasso di un argomento o materia, poi c’era la fase delle interrogazioni reciproche e del toto-maturità (non usavamo ancora Internet con assiduità); ma c’erano anche profondi momenti di crisi, dove pensavamo di non farcela, dove prendevamo i libri a testate e sprofondavamo nello sconforto più totale. In uno dei miei quaderni scrissi infatti che alla fine, per quanto andasse male, non sarei comunque morta e che le cose importanti nella vita erano decisamente altre. Leggerlo adesso mi ha fatto sorridere, ma ricordo esattamente quanto sconforto e paura mi dominavano in quei giorni.
Poi, come spesso accade, filò tutto liscio e dopo i festeggiamenti quasi obbligati, passammo ad altre preoccupazioni, che penso siano le stesse che accomunano un po’ tutti i giovani che chiudono il primo grande capitolo della loro vita, la scuola superiore.
Il primo grande dilemma, almeno per me è stato così, era: lavoro o università? E una volta scelto università o lavoro, quali? E come si fa a scegliere? E se sbaglio? Senza contare il nervoso che mi davano gli altri (genitori e insegnanti in primis) con i loro consigli da gente vissuta!
Da un lato infatti, è vero che dopo aver superato lo scoglio della maturità, si pensa di avere il mondo ai propri piedi, ma tempo pochi mesi e ci si accorge che in realtà si è semplicemente arrivati ai piedi di un’altissima montagna (si chiami università o lavoro) da scalare da soli. Spesso infatti ci si ritrova in un’altra città senza nessuno vicino che ci indichi la strada giusta.
All’università è infatti difficile capire come orientarsi tra le aule affollate e la burocrazia, è quasi uno schiaffo in faccia apprendere che per il professore non sei altro che un numero e ti ritrovi libri di 1000 pagine da studiare da solo senza nessuno che ti dice come organizzarti il lavoro; sembra quasi impossibile per chi non ci è ancora passato, ma arriva a rimpiangere la vecchia prof di italiano che tutti i giorni ci tirava le orecchie per farci studiare una poesia.
Se poi si sceglie il lavoro, forse è ancora peggio, bisogna crescere in fretta, si hanno delle responsabilità, le persone si aspettano molte cose da noi.
Io scelsi la via più difficile, quella di studiare e lavorare insieme, perché una volta uscita dalle scuole superiori iniziai anche a pensare a quanti sacrifici avevano fatto i miei genitori fino ad allora e non volevo più essere un peso per loro, almeno a livello economico. Così mi divisi tra lezioni e lavoro ma nonostante la stanchezza e la frustrazione che a volte si impadronivano di me, non smisi mai di sognare.
In uno dei miei quaderni personali scrissi infatti, oltre a dubbi e paure sul mio futuro, anche tanti progetti per esso. Volevo una casa nel centro di Roma, tre bambini e un lavoro da libera professionista, inoltre volevo visitare il mondo, viaggiare.
Per questo penso che tanta gente ritenga i vent’anni un’età magica, perché si ha ancora la voglia e il tempo di sognare, si crede ancora in qualcosa e si cerca di realizzarlo. Ribadisco comunque che non è proprio così che si percepisce la vita a vent’anni… anzi si vive un continuo alternarsi di emozioni e paure che non fanno dormire la notte.
Non ci sono certezze ma si combatte per averne, si hanno sogni che però sembrano sempre più lontani, si ha paura e ci si sente soli, si sa che non c’è più nessuno che ci prenderà per mano e ci indicherà la via giusta.
Si sa di dover crescere, spesso non piace, ma si è obbligati a farlo. In altri momenti ci si sente forti e sicuri ma poi basta un esame andato male, un rimprovero del datore di lavoro, un contrasto con i genitori e il mondo sembra crollare improvvisamente.
Anche i sentimenti cambiano, le amicizie, gli amori. Amici con i quali si è cresciuti spariscono, prendono strade diverse, così come gli amori storici; e la sensazione di solitudine aumenta.
Ma spesso c’è anche qualche lieto fine: chi si sposa, chi va a vivere con il vecchio compagno del liceo con cui si affronta insieme l’università, chi trova un ottimo lavoro ed è felice, così ritorna la fiducia nel futuro.
Ora sorrido, mi sembra di aver riassunto decenni di emozioni, invece il mio quaderno mi dice che scrissi queste cose a solo un mese dalla maturità.
Queste furono più o meno le emozioni dei miei vent’anni, in una società ancora non dominata da Internet e tecnologia e soprattutto non dilaniata dalla crisi economica, ma penso che alla fine possano essere ancora d’attualità per tutti.
Oggi definirei questa età e il suo labirinto di emozioni bella e maledetta, ma probabilmente allora mi sarei trovata d’accordo con questa frase: “Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”.
Le risorse di Skuola.net per svolgere la prima prova:
- Raccolta di temi sui giovani, l'adolescenza e il rapporto con la società
- Tema svolto sui problemi dei giovani
- Articolo di giornale sui nuovi provvedimenti per giovani e mondo del lavoro
- Tesina sulla gioventù