
Così, dopo l'oro individuale ai Giochi di Rio 2016, la vittoria del campionato europeo a Tiblisi nel 2017, e l'argento a Tokyo 2020, Daniele ha messo in bacheca un altro trofeo: la laurea in Medicina. Il prossimo 22 marzo, il giovane atleta discuterà la sua tesi sulla chirurgia vascolare presso l'Università di Roma Tor Vergata.
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La laurea e la richiesta alla Ministra Messa
Raggiunto dai microfoni di Repubblica, Daniele ha commentato la strada che lo ha portato al raggiungimento di questo risultato negli studi e, come lui stesso rivela, non è stato semplice: “Studio e sport non sono incompatibili. Anche se fanno di tutto per fartelo credere. È durissimo tenere insieme allenamenti, competizioni, lezioni, esami. Sto parlando di un'università dove si frequenta non quella online e di un sistema scolastico dove l'atleta è sempre penalizzato. Non voglio sconti, né vantaggi, ma quando hai finali mondiali che coincidono con appuntamenti di studio devi scegliere e se vinci da una parte perdi dall'altra”.Questo per via di un sistema che forse ha bisogno di un rinnovamento strutturale e che permetta anche agli sportivi di poter affacciarsi agli studi, senza necessariamente rinunciare a qualcosa: “Non c'è nessuna flessibilità, se chiedi di spostare un appello sembri un capriccioso, nove mesi su Istologia sono stati un lunghissimo assalto. Lo dico a chi nel governo e nell'istruzione si occupa di questi temi: chiamatemi, sono a disposizione, per dare consigli, per lavorare su un cambiamento”.
Da qui dunque l'esplicita richiesta alla Ministra Messa, per una riforma che tenga conto di tutti, anche di chi come lui, pur disposto a sacrifici, non è riuscito a stare al passo: “Ci ho messo 5 anni, dal 2011 al 2016, per dare gli esami del biennio, sono andato più spedito quando mi hanno dato un tutor dopo l'oro di Rio”.
Sacrifici e impegno, ma senza aiuto si fa fatica
Gli ultimi anni sono stati all'insegna della dedizione per Daniele che rivela come abbia dovuto rinunciare alla sua vita sociale: “I sacrifici sono stati tanti, non solo perché mi portavo i libri in trasferta, ma perché ho dovuto adattare la vita agli impegni, organizzare i ritagli di tempo, ottimizzare ogni singolo momento della giornata: sveglia presto, pochissime vacanze, nessun week-end, niente cene fuori con la fidanzata, sabato allenamento, domenica studio”.Un tour de force eccezionale ma che non salva Daniele dalla sua “dannazione”, ovvero quella di dover rinunciare sempre a qualcosa, tra studio e carriera, in questo caso l'esame di diploma per la specializzazione: “Si dovrebbe tenere a luglio nelle stesse date in cui sono impegnato al Cairo nel mondiale, unico titolo che mi manca. E l'esame c'è una volta all'anno, se salto devo aspettare il 2023. Significa che a scegliere per me sarà non la mia passione, perché io vorrei fare medicina sportiva, ma la convenienza”.
E per forza di cose il giovane atleta dovrà accontentarsi di un ripiego: “Forse mi indirizzerò verso medicina generale che ha la prova a gennaio, data per me più sicura. E' un peccato mettere l'atleta davanti a una scelta, non metterlo in condizioni con protocolli diversi di diventare una persona migliore. E di accompagnarlo nella sua crescita”.
Sport, è la famiglia il vero pilastro
Non nasconde l'amarezza Daniele che si aspettava un trattamento diverso dopo l'oro di Rio. Una qualche possibilità che gli permettesse di conciliare meglio studio e sport. Ma con il coltello tra i denti ha cercato comunque di raggiungere il secondo oro olimpico consecutivo, impresa per poco sfiorata: “Ho perso in finale da Chueng Ka Long di Hong Kong, che ha meritato, è stata una bella botta, mi sono rivisto solo pochi giorni fa, prima non ce l'ho fatta”.Daniele non nasconde infatti di essere particolarmente emotivo, e di agitarsi prima di ogni incontro. Ma, come lui stesso rivela, quando sale in pedana “tutto passa”. A dargli la forza, il conforto dei familiari che lo hanno sempre incoraggiato e sostenuto: “Se chiudo gli occhi però non penso agli incontri, ma a quando papà in auto mi accompagnava ad allenarmi a Modica, i discorsi che ci facevamo in quelle tre ore, alle attese di mia mamma Giuliana. Lo sport in Italia si regge sulla famiglia, nei piccoli garage di provincia dove spesso tutto inizia”.
Infine, Daniele si sofferma sulle speranze sul futuro della sua carriera, ma anche su quello dei giovani in generale: “Io a Parigi ci voglio andare, avrò 32 anni, mi piacerebbe essere portabandiera, perché credo di poter essere un buon esempio, ma capisco che alla pari con me ci sono Paltrinieri, Jacobs, Tamberi. Mi piacerebbe però un'Italia che in tutti i settori puntasse sui giovani”. E che questo avvenga senza chiedere uno sforzo in più agli atleti: “Chiediamo ai nostri campioni di resistere, anche quando non ce la fanno più, invece di capire che lo sport è un momento bellissimo, ma poi ci vogliono nuove armi” conclude il giovane fiorettista.