Matteo Bortone
Autore
differenze di genere tra professori

Il risultato delle lezioni universitarie potrebbe dipendere da chi le tiene. E non sempre per le sue reali capacità. La differenza, a quanto pare, non è infatti solo tra un prof più bravo o meno bravo, ma sta anche nel genere del docente. Perché la percezione dei suoi alunni, a quanto pare, ha parecchia influenza sugli studenti.

A dare la conferma di questo è un recente studio, pubblicato sulla rivista 'Philosophical Psychology', che evidenzia le differenze di giudizio degli universitari nei confronti di un insegnante uomo o donna. 

L’indagine ha messo alla prova centinaia di studenti e studentesse, con risultati sorprendenti e, allo stesso tempo, un po' preoccupanti, perché dimostrerebbero come certi pregiudizi di genere siano ancora ben radicati, anche tra le nuove generazioni.

Indice

  1. Un'idea nata in cattedra
  2. Il "trabocchetto" per gli studenti
  3. Quando anche la voce fa la differenza
  4. Anche le nuove generazioni ci cascano

Un'idea nata in cattedra

Tutto è iniziato con una sensazione della professoressa Pia Campeggiani. Lei, da docente di Filosofia morale e Filosofia delle emozioni all'Alma Mater di Bologna, aveva notato qualcosa di strano nel suo rapporto con gli studenti

Le sembrava che l'atteggiamento dei ragazzi nei suoi confronti fosse diverso rispetto a quello che avevano con i colleghi maschi. Un'intuizione che ha trovato conferma nei dati: "Nel questionario finale agli studenti alla domanda sul quantitativo di materiale da studiare prendevo sempre un punto in meno rispetto al mio collega. Peccato che fosse identico".

Decisa a vederci chiaro, ha unito le forze con Marco Viola dell'Università Roma Tre e Marco Marini del Cnr per condurre un'analisi approfondita.

Il "trabocchetto" per gli studenti

Il team di ricercatori ha ideato un primo esperimento coinvolgendo circa 200 studenti di filosofia dai 18 ai 30 anni, per il 90% dell'Università di Bologna. A questo gruppo hanno proposto degli estratti di lezioni del Festival della filosofia di Modena. 

Le lezioni erano sempre le stesse, ma in un gruppo una parte dei testi veniva associata a un docente uomo mentre l'altra a una donna, e viceversa. Il risultato è stato piuttosto chiaro. "In entrambi i casi le lezioni attribuite a docenti di genere femminile hanno ottenuto punteggi più bassi quando a giudicarle erano studenti maschi". 

E le ragazze? Anche loro, sebbene abbiano valutato i contenuti con lo stesso metro di giudizio per entrambi i sessi, hanno comunque preferito gli uomini. "Alla domanda se avessero seguito quelle lezioni per un intero anno, le ragazze hanno espresso la propria preferenza per gli uomini".

Quando anche la voce fa la differenza

Ma il team non si è fermato qui e ha deciso di fare un passo in più per confermare la propria teoria. In un secondo esperimento, hanno fatto ascoltare le stesse lezioni registrate però con voci femminili e maschili

L'esito ha superato le aspettative: "In questo caso anche le studentesse hanno ritenuto migliori quelle recitate dalle voci maschili". Emerge quindi un pregiudizio ancora più radicato. I docenti maschi sono percepiti come più competenti, chiari e autorevoli

E le donne? A loro resta il ruolo più "tradizionale": "Dove le docenti hanno ricevuto un punteggio migliore è stato alla domanda se pensassero che professori e professoresse fossero attenti al benessere degli studenti. In quel caso il campione in maniera omogenea ha giudicato le professoresse più attente rispetto ai professori". 

Anche le nuove generazioni ci cascano

Lo studio dimostra in modo inequivocabile che anche le nuove generazioni, e non solo i ragazzi, sono influenzati da pregiudizi di genere. E la situazione è preoccupante, come sottolinea la professoressa Campeggiani: “In un campione di persone, che peraltro studiano filosofia, i pregiudizi sul genere sono duri a morire".

Un risultato che ci fa capire quanto lavoro ci sia ancora da fare per superare stereotipi che sembrano ormai superati ma che, in realtà, sono ancora tra noi, pronti a influenzare le nostre scelte, a volte anche in modo inconsapevole.

Motivo, questo, che ha spinto gli ideatori del test a proseguire l’indagine anche in altre categorie professionali, per capire se l’approccio cambi o i risultati raccolti sinora trovino ulteriore conferma.

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