
Aveva ricoperto incarichi professionali inconciliabili con la sua attività di docente e adesso dovrà risarcire l’università. Protagonista della vicenda un docente dell’Università ‘Parthenope’, titolare di uno studio commercialista a Roma.
La sentenza è del Consiglio di Stato che ha di fatto confermato il precedente giudizio del Tar della Campania: il prof sarà costretto a restituire circa due milioni e 170mila euro all’ateneo.
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La sentenza del Consiglio di Stato
Come riportato da ‘Il Corriere della Sera’, il docente sosteneva che il Consiglio di Stato fosse incorso in errore perché aveva omesso di rilevare che era stato assolto per le medesime vicende dalla Corte dei Conti. Secondo i giudici, però, l’esito della giustizia contabile non precludeva la possibilità per la Pubblica amministrazione di attivarsi “per il recupero dei compensi percepiti dal dipendente per incarichi svolti e non previamente autorizzati”.
Il Consiglio di Stato ha quindi confermato la sentenza del gennaio 2023. Il docente, in ruolo a tempo pieno presso l’ateneo, non poteva svolgere altri incarichi. Fu proprio lui stesso, nel lontano 2005, a presentare i moduli firmati per l’assunzione a tempo pieno, salvo poi fare finta di nulla in fase di processo: “Non sono credibili le giustificazioni fornite sul punto dall’appellante. La qualità della parte, invero, non consente di aderire alla tesi dell’errore del docente, non essendo verosimile che egli non si sia reso conto del significato e del valore dei moduli, che andava a compilare in forma autografa. Vi è da aggiungere che l’interessato, anche dopo che erano insorti i contrasti in ordine alla sua opzione o meno per il tempo pieno, non risulta aver mai impugnato né il decreto rettorale numero 13/2005 e neppure il Decreto Rettorale numero 348/2008, sebbene questo avesse confermato il suo inquadramento nel regime a tempo pieno. Solo nel 2015, quindi a distanza di dieci anni dal primo decreto e di sette anni dal secondo, egli ha presentato un’istanza di autotutela, rigettata dall’Università”.
Lo stesso docente, aggiunge la sentenza, “pretendeva che i moduli da lui sottoscritti e inviati all’Università il 13 gennaio 2005 (data dell’effettiva assunzione in servizio), contenenti l’opzione per il tempo pieno da lui compilata di persona, fossero privi di valore giuridico e che addirittura la stessa Università li abbia considerati come se non esistessero, senza peraltro offrire alcun elemento che suffraghi una simile tesi, la quale, per vero, trova confutazione in tutti gli atti di causa”.