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Mancata programmazione, tagli alla spesa pubblica ed eccesso di specializzandi, i cardiochirurghi italiani rischiano di restare disoccupati

Una specializzazione di tutto prestigio quella in cardiochirurgia, ma che potrebbe riservare la brutta sorpresa della disoccupazione. E’ quanto emerso dal Congresso della Società Italiana di Chirurgia Cardiaca, che ha denunciato la mancanza di una programmazione della professione

OGNI ANNO CIRCA 70 SPECIALIZZANDI RESTANO SENZA LAVORO - “I circa settanta specializzati che ogni anno tentano di accedere ai reparti di cardiochirurgia sono bloccati dal fatto che i loro colleghi più anziani non riescono ad andare in pensione e dal blocco delle assunzioni nel pubblico, effetto dei tagli alla spesa sanitaria. Anche se da quest'anno il numero di posti in specialità è sceso a poco più che 50, grande parte di questi giovani colleghi sono destinati alla disoccupazione”, con queste parole taglienti Elena Caporali, membro Junior del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Chirurgia Clinica ha sollevato una questione che i giovani aspiranti medici difficilmente manderanno giù: tanto studio, per poi finire a fare un mestiere diverso da quello sognato.

LE UNIVERSITA’ PREPARANO TROPPI CARDIOCHIRURGHI - Secondo le stime degli ultimi 5 anni, si parla della necessità di uno specialista ogni 3.000.000 di abitanti, ma le università italiane ne continuano a preparare il triplo. Se a questo si aggiunge la mancanza di una programmazione specifica del turnover e l’incalzare dei tagli alla spesa pubblica, se ne ricava che, in tutta certezza, la maggioranza dei giovani cardiochirurghi finirà a fare un mestiere diverso da quello per cui ha studiato.

IL LIVELLO DI FORMAZIONE ITALIANO E’ INFERIORE AL RESTO D’EUROPA - Come se non bastasse, secondo i giovani specializzandi e specializzati, il livello di formazione italiano è di gran lunga inferiore rispetto allo standard europeo, sia dal punto di vista delle tecniche chirurgiche, sia della pratica ospedaliera. Per questo motivo, per molti nostri connazionali, si stanno aprendo le porte dei paesi esteri, dove esercitare la professione è possibile e conveniente e, “nonostante le difficoltà logistiche e linguistiche l'offerta è professionalmente di qualità”, come spiega Daniela Manzone, una giovane specializzata. La Manzone, infine, conclude: “fa solo rabbia lasciare l'Italia per carenze organizzative del sistema e per l'assoluta incapacità, spesso sospetta, di formare e sostenere i futuri cardiochirurghi, non adeguata alla standard europeo richiesto”.

Daniele Grassucci

Data pubblicazione 12 Novembre 2012, Ore 11:19 Data aggiornamento 12 Novembre 2012, Ore 11:25
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