7' di lettura 7' di lettura
affitti studenti fuori sedeIl disagio abitativo attanaglia il nostro Paese. Colpendo, in particolare, quelli che avrebbero necessità, nonché i requisiti di accesso a un alloggio pubblico. Secondo un rapporto elaborato congiuntamente dalla Cgil nazionale, dal Sunia (Sindacato Nazionale Unitario Inquilini e Assegnatari) e dall’Unione degli Studenti (Udu), attualmente la disponibilità di soluzioni gestite dai Comuni riescono a coprire appena il 5% delle richieste.
Una condizione da cui non sfugge neanche una categoria particolare (e corposa) di inquilini
: gli studenti fuori sede. Non a caso, in base alle stime, solamente il 4,9% di loro - un dato dunque in linea con il quadro generale - trova posto nelle residenze pubbliche o comunque convenzionate con gli enti pubblici.

Secondo i numeri diffusi dal Ministero dell’Università e della Ricerca, infatti, le ragazze e i ragazzi che nel 2022 (ultimo dato ufficiale a disposizione) hanno frequentato l’università lontani dal proprio Comune di residenza sono stati ben 824 mila. Mentre gli alloggi pubblici sono stati solamente attorno ai 40mila.

Regione che vai, posto che (non) trovi

Anche se, le cose variano molto a seconda del contesto di riferimento. Passando da tassi di “copertura” pressoché irrilevanti dei posti letto negli studentati, come quelli dell’Abruzzo (0,2%), della Campania (2,1%), del Veneto (3,1%), a situazioni decisamente più sopportabili, come quelle registrate in Trentino-Alto Adige (posti letto per il 17,8% degli studenti idonei), in Calabria (14,6%), nelle Marche (10,6%). In ogni caso, però, livelli ampiamente insufficienti e ben inferiori rispetto agli altri Paesi europei. Le ragioni di tali differenze, secondo i tre sindacati, vanno ricercate nell’assenza di una strategia nazionale: tutto è invece rimesso all’autonomia, nonché all’intraprendenza e alla disponibilità economica degli enti per il diritto allo studio, delle università e delle regioni.

Affitti fuori sede: il miraggio di un (equo) canone concordato

Questo, ovviamente, non può che “costringere” gli studenti fuori sede a rivolgersi in massa ai privati. Con conseguente aumento dei costi. Anche se, in teoria, oltre al classico affitto a canone “libero” - oggetto di trattativa tra il proprietario di casa e l’affittuario - ci sarebbe la via del canone concordato, con specifiche agevolazioni fiscali che potrebbero far risparmiare un bel po’ di soldi ai ragazzi e alle loro famiglie. Ma anche ai proprietari, che tuttavia sembrano preferire soluzioni più remunerative in termini di introito anche a scapito di una maggiore tassazione.
Questa è almeno la tendenza rilevata in 8 grandi città del Paese: Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna, Firenze. Le stesse che, da sole, ospitano 362 mila studenti fuorisede, pari al 44% della quota sparsa in tutta Italia.

Anche circoscrivendo l’osservazione, viene confermato il dato sulla copertura del fabbisogno, che scende ulteriormente: nelle grandi città sono meno di 15 mila, pari al 4% del totale, gli studenti che trovano posto nell’ambito del Diritto allo Studio, mentre in 243 mila (96%) devono rivolgersi al mercato. Eppure, negli ultimi due anni sono stati registrati soltanto 27.440 contratti di locazione con canone concordato per studente universitario. Pur essendo possibile che qualche studente abbia stipulato un contratto generico a canone concordato e stimando anche un’occupazione media di 3 o 4 studenti per ogni appartamento locato, è evidente come lo strumento del canone concordato per gli studenti universitari non riesca dunque a imporsi sulle dinamiche di mercato, anche laddove il comune abbia previsto forti agevolazioni. Le uniche due città che registrano dati incoraggianti riguardo al mercato concordato (studentesco e generico) sono Roma e Genova. La città con i dati peggiori è sicuramente Milano, dove il canone concordato è una rara eccezione.

Milano, Bologna, Napoli: il posto letto a prezzo calmierato è un miraggio

Più in generale, sulla base dei contratti registrati nel 2022 e nel 2023, è stata fatta una stima di quanti studenti si ritrovano in una delle condizioni abitative “dedicate” e “agevolate” per gli universitari, ovvero che godono di posti letto sotto il diritto allo studio e contratti di locazione a canone concordato. Confermando l’irrilevanza dei posti letto per il diritto allo studio e l’insufficiente diffusione dei contratti di canone concordato per universitari. Tolte, come detto, le città di Genova e Roma, dove si stima che tali situazioni raggiungano rispettivamente l’82% e il 71% dei contratti di affitto per studenti, altrove la situazione è decisamente diversa: a Torino l’incidenza è del 48%, a Palermo del 45%, a Firenze del 33%. Catastrofico il quadro a Napoli (i contratti agevolati sono solo il 14%) e Bologna (10%). In fanalino di coda è però Milano, al 9,6%. In queste città, dunque, gran parte degli studenti è stretta in una morsa: da un lato è obbligata a rivolgersi al mercato privato, dall’altro non riesce neanche a strappare contratti di locazione a canoni concordati.

Aspettando i 60 mila nuovi posti letto del PNRR

Una speranza, in questo senso, risiede nel PNRR, che tra gli obiettivi ha anche quello di arrivare a una copertura degli alloggi pubblici riservati agli studenti di almeno il 20% del fabbisogno. L’orizzonte prossimo da raggiungere è quello dei 60mila posti letto entro il 2026, con una spesa complessiva di 960 milioni di euro. Anche su questo, però, i rappresentanti degli studenti sono scettici. Dalla ricerca “Diritto al profitto. Come sperperare i fondi del PNRR” dell’Unione degli Universitari, emerge infatti come, ad oggi, siano stati realizzati al massimo 4.350 nuovi posti letto (sugli 8.500 annunciati).
Alcuni alloggi, inoltre, secondo Udu erano già operativi ed erano occupati da universitari, altri si trovavano invece in fase di realizzazione, quindi sono stati semplicemente censiti e la destinazione d’uso è stata vincolata, al fine di fare risultare raggiunto il target previsto dal PNRR. La ricerca, inoltre, denuncia come ben 210 milioni siano stati assegnati ai privati, i quali applicano tariffe che possono arrivare a 900 € al mese. Evidenziando come il PNRR si stia rivelando un’occasione sprecata, non andando a favorire significativamente il diritto allo studio.