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Il mondo del lavoro sta cambiando rapidamente. Molti settori della società, però, non riescono a sostenere un ritmo così frenetico. A partire dalla scuola. Specialmente in alcuni Paesi. Gli studenti sono quelli che dovrebbero apprendere più degli altri le ‘regole del gioco’ con cui si andranno a confrontare una volta usciti dal sistema educativo.

Le nuove tecnologie già oggi richiedono competenze che la maggior parte dei ragazzi non possiede. L’Italia, ad esempio, si piazza solo al 22esimo posto (al nono in Europa) tra i 50 Paesi censiti dal Worldwide Educating for the Future Index (WEFFI) 2018, l’indicatore elaborato dalla rivista ‘The Economist’ - per conto della Yidan Prize Foundation – che misura l’attenzione che i sistemi scolastici hanno sulle cosiddette soft skills e digital skills, quelle competenze fondamentali per trovare un’occupazione di livello medio-alto nei prossimi decenni.

Top10 dominata dalle nazioni europee

Quali sono, invece, gli Stati che eccellono su questo argomento? Ai vertici troviamo due nazioni europee, che staccano nettamente tutte le altre: al primo posto c’è la Finlandia, che non è nuova ad eccellere quando si parla di educazione e formazione; poco distante la insidia la Svizzera, che si piazza in seconda posizione. Terzo gradino del podio per la Nuova Zelanda. Ma, scorrendo la classifica, ci si accorge che è il ‘Vecchio Continente’ a fare la parte del leone. Ben 7 i Paesi europei che entrano nella top10: la Svezia è quarta, l’Olanda sesta, la Germania settima, la Francia nona e il Regno Unito decimo. Agli altri restano solo le briciole. Tra le prime dieci ci sono solo tre extraeuropee: la già citata Nuova Zelanda, il Canada (quinto) e Singapore (che divide con in tedeschi la settima casella). Dati che rendono ancora più modesto il ranking dell’Italia.

Le politiche pubbliche fanno la differenza

A far spiccare il volo alle prime della classe è soprattutto uno dei tre parametri su cui si basa il WEFFI: l’atteggiamento della politica. Un sistema virtuoso si basa su una buona strategia educativa che necessariamente parte dall’alto. Ma, poi, il tutto deve essere calato nella realtà di tutti i giorni. Ecco perché, oltre alle iniziative intraprese dai governi, il rapporto dell’Economist Intelligence Unit prende anche in considerazione altri due passaggi chiave: le metodologie d’insegnamento e l’ambiente socioeconomico. Forse per questo in fondo alla graduatoria vengono collocate tutte nazioni dei continenti africano e asiatico: la classifica è chiusa (50esimo posto) dal Pakistan, preceduto da Iran, Algeria, Nigeria, Egitto, Bangladesh, Etiopia, Indonesia, Arabia Saudita, Kenya e India. Aree ancora in via di sviluppo che devono recuperare tantissimo terreno sulla concorrenza.

Didattica ancorata a schemi troppo vecchi

Il problema, però, è generalizzato. Perché, secondo gli autori del rapporto WEFFI, la maggior parte dei sistemi educativi dei paesi del mondo non sono attrezzati per fornire alle prossime generazioni le competenze di cui probabilmente avranno maggior bisogno. Il cambiamento tecnologico richiederà skills lontane dall’approccio con cui per secoli sono andati avanti l’insegnamento e la parallela costruzione del curriculum dello studente. L'intelligenza emotiva, il pensiero creativo e la collaborazione sono solo tre delle attitudini fondamentali che saranno necessarie, ma che non possono essere facilmente trasmesse in un ambiente di classe tradizionale come quello attuale.

Le competenze si acquisiscono soprattutto fuori dalla classe

Il rapporto, infine, sottolinea l'importanza dell'apprendimento delle lingue e il ruolo dell'intelligenza artificiale come supporto all'insegnamento in classe. Peccato che le aule, negli ultimi 200 anni, hanno subìto davvero pochi cambiamenti, con lezioni quasi sempre frontali. La principale sfida per gli insegnanti sarà proprio quella di aggiornarsi assieme agli alunni. Ma lo stesso report evidenzia anche come molti elementi chiave dell'apprendimento delle competenze future avverranno al di fuori della classe. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, ad esempio, è stato dimostrato che la frequentazione dei club di doposcuola (per gli studenti delle scuole primarie e secondarie) porta a un miglior rendimento scolastica e universitario.

Marcello Gelardini