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Studenti universitari

Il lavoro c’è, ma non è sempre quello più adatto. Negli ultimi anni il tasso di occupazione dei laureati ha raggiunto livelli record, i più alti dell’ultimo decennio. Eppure, a fronte di questo dato positivo, permane un problema ormai cronico: il disallineamento tra il percorso di studi intrapreso e le mansioni effettivamente svolte sul lavoro. 

Tradotto: una quota significativa di laureati - un buon 30% - si ritrova a svolgere mansioni che non richiedono il titolo accademico conseguito e che non valorizzano pienamente le competenze acquisite tra i banchi dell'università.

Questa, tra le altre, una delle principali evidenze emerse nell’indagine Almalaurea 2025 sul Profilo e la Condizione occupazionale dei laureati italiani, riassunta per punti dal portale Skuola.net. 

Indice

  1. Università e lavoro, un dialogo che fatica a decollare
  2. Quando la scelta pesa: il percorso di studi può fare la differenza
  3. Occupazione e stipendi in crescita?
  4. Chi resta, chi parte e chi rimane indietro: l’identikit dei laureati 2025

Università e lavoro, un dialogo che fatica a decollare

In poche parole, le università arrancano, non riuscendo a stare al passo con il mercato del lavoro.

A cinque anni dal titolo, la situazione migliora leggermente ma il mismatch continua a coinvolgere almeno un quarto degli occupati: parliamo del 32,5% tra i laureati di primo livello, e del 25,4% tra quelli di secondo livello.

Un fenomeno che colpisce forte, in particolare, i laureati in ambiti umanistici, artistici, linguistici, psicologici e politico-sociali e che lo stesso consorzio universitario definisce “prismatico”, perché riflettente più variabili: dal background familiare dei laureati al genere, passando per il percorso di laurea scelto. 

Quando la scelta pesa: il percorso di studi può fare la differenza

La scelta del percorso di studio, dunque, influisce in maniera decisiva il futuro. In particolare, specifica il Rapporto, quando la decisione non è motivata da ragioni culturali o professionalizzanti, la probabilità di svolgere un lavoro non coerente con il titolo di studio aumenta.

Ma cosa ne pensano i diretti interessati? Alla vigilia del conseguimento del titolo, circa un quarto dei laureati del 2024 si dichiara disposto ad accettare incondizionatamente un lavoro non coerente; il 54,5% lo accetterebbe solo come condizione transitoria, mentre il 21% non è disposto ad accettare una proposta non coerente con il titolo conseguito.

Occupazione e stipendi in crescita?

Buone notizie, come già accennato, arrivano però dal fronte dell’occupazione: a un anno dalla laurea è occupato il 78,6% dei laureati, percentuale che supera il 90% dopo cinque anni. Crescono anche i contratti a tempo indeterminato, che arrivano al 73,9% tra i laureati di primo livello dopo cinque anni.

Anche le retribuzioni medie nette sono in risalita dopo due anni difficili: 1.492 euro al mese a un anno dalla laurea, che diventano quasi 1.850 dopo cinque anni. Ma oltre un terzo dei laureati continua a ritenere lo stipendio inadeguato, sia rispetto alla formazione che al ruolo ricoperto.

Chi resta, chi parte e chi rimane indietro: l’identikit dei laureati 2025

Ma l’indagine racconta molto di più. A partire dall’identikit del laureato del 2025. Il 73% del totale arriva da un percorso liceale, mentre il 19,7% ha un diploma tecnico in tasca. Resta marginale, invece, la quota di diplomati professionali (3,3%).

In genere, l'età della laurea - sempre troppo alta (e, anzi, in lieve peggioramento) stando al Rapporto -, si attesta sui 24,5 anni per i laureati triennali, sui 27,4 per i magistrali (l'anno scorso era 27,2), con più del 40% degli studenti che si laurea fuoricorso. 

Persiste inoltre il gender gap nelle STEM. Le donne, ormai, sfiorano il 60% del totale dei laureati, ma restano una minoranza (40%) nei percorsi scientifici e tecnologici. 

Proprio l’ambito disciplinare delle STEM risulta quello più “colpito” da un altro fenomeno negativo: i cervelli in fuga. Nel complesso, i laureati che vanno via dall’Italia dopo la laurea sono poco meno del 5%. 

Per lo più si tratta di uomini, con la percentuale che raddoppia in settori come le ICT i laureati in fuga sono meno del 5 per cento, per lo più uomini, ma la percentuale raddoppia in settori come le ICT (11,3% dei laureati a 5 anni dal diploma), le materie scientifiche (10,3%), degli ingegneri industriali e dell'informazione (8,2%). 

Un terzo di loro ha motivato la scelta spiegando di avere ricevuto un’offerta vantaggiosa, ma c’è un’altra quota simile che ha rivelato di avere fatto le valigie per la mancanza di opportunità. Il dato forse più scoraggiante? Oltre il 70% di chi è partito non prevede, perlomeno al momento, di tornare indietro.

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