
Ma non è andata così in tutta Italia. Perché la situazione cambia parecchio a seconda del contesto in cui ci si trova. Sembra quasi che la protesta più dura sia una prerogativa delle città più grandi, quelle che ospitano gli istituti più numerosi. Concentrandoci sui capoluoghi di regione, infatti, il numero di studenti che riportano di occupazioni scolastiche sale al 10%; esattamente il doppio rispetto a quello registrato nelle città medio-piccole e nei paesi, dove ci si ferma al 5%. Un dato, questo, avvalorato anche dalle notizie apparse sui giornali nello stesso periodo preso in considerazione.
Grande città o piccolo paese, le cose cambiano
Un altro elemento che ci fa pensare che nei grandi centri urbani la mobilitazione studentesca sia stata più ostinata e “rumorosa” è legato ai motivi della protesta. Nelle grandi città, a dare impulso alle occupazioni sono stati soprattutto temi “politici” e di attualità: dalle guerre in corso alla la questione femminicidi, passando per i diritti sociali e l’immancabile rassegna delle iniziative del Governo. Questi temi sono in cima alla lista delle “lamentazioni” in un caso su 2 nelle grandi città, mentre solo 1 protesta su 3 è stata innescata principalmente da problemi riguardanti il singolo istituto.Nei contesti medio-piccoli, invece, i pesi si invertono. Infatti il 41% afferma che le cause scatenanti della protesta sono motivazioni intestine, come la didattica carente, i rapporti con i docenti, le condizioni delle strutture. Al contrario, solo il 20% degli intervistati, nei contesti meno popolosi, ritiene che le tematiche politiche siano state i principali moventi. Da non sottovalutare, qui, pure la quota di quanti hanno raccontato di un’occupazione senza una reale motivazione di fondo: per il 16% è stata fatta più che altro per avere qualche giorno di pausa dalla didattica ordinaria.
Infine, si affaccia pure una sorta di “effetto emulazione”, comune a entrambe le realtà: quasi 1 intervistato su 10, nelle città più popolose come nelle aree meno abitate, ha evidenziato come la propria scuola sia stata occupata perché anche in altri istituti della zona si stava facendo altrettanto.
A unire tutti gli studenti è pure il livello della partecipazione. A prescindere dalla scuola e dalla sua popolosità, oltre la metà degli alunni è stata parte attiva durante l’occupazione, laddove è stata organizzata: nei centri medio-piccoli siamo di fronte a una media del 52%, in quelli più grandi si sale al 62%.
Sanno che non si fa, ma lo fanno
Inoltre, il loro coinvolgimento è stato quasi sempre più che convinto. Oltre i due terzi (67%) hanno animato l’occupazione pur essendo consapevoli che quell’atto era “fuorilegge” e che quindi avrebbe potuto avere conseguenze non solo disciplinari ma anche dal punto di vista penale. A questi si aggiunge un ulteriore 23% che non era a conoscenza dei risvolti legali ma che, pur sapendolo, avrebbe partecipato lo stesso. Alla fine, dunque, appena 1 su 10 si sarebbe tirato indietro se avesse saputo di questo dettaglio di non poco conto.Una partecipazione così elevata potrebbe derivare dal fatto che i ragazzi trovano spesso una sponda laddove non te lo aspetteresti, cioè nella famiglia. Qui non si rileva una differenza sostanziale tra i grandi e i piccoli centri. Oltre la metà (51%) degli studenti che hanno preso parte alla protesta sostiene come i propri genitori lo abbiano appoggiato. Non solo: se per il 36% si è trattato di un sostegno morale, da lontano, per il 16% l’approvazione si è trasformata in un supporto logistico concreto, con mamme o papà che, ad esempio, sono andati a scuola per portare ai figli l’occorrente (derrate alimentari, vestiti, corredo per trascorrere la notte fuori casa) per proseguire nell’occupazione. E se a questi sommiamo gli studenti (14%) i cui genitori non hanno approvato ma nemmeno disapprovato, si comprende perché le occupazioni continuino a essere così praticate.
Come vanno a finire le occupazioni
Anche se, poi, il tutto si conclude senza arrivare a uno scontro con le istituzioni scolastiche. Perché in 7 casi su 10 la protesta finisce in modo pacifico: il 28% dice che l’occupazione è terminata spontaneamente, il 40% è stata interrotta dopo una “trattativa” tra gli studenti e il preside. Solo in 1 caso su 3 la protesta è stata fermata in modo brusco, per un’iniziativa unilaterale della presidenza.“Anche se è molto facile addossare ai soli studenti le responsabilità per le occupazioni scolastiche, di cui si è tanto parlato nelle scorse settimane, in realtà è necessaria una profonda riflessione. Se 2 ragazzi su 3, tra coloro che partecipano attivamente all’interruzione del pubblico servizio a scuola, sono consapevoli delle conseguenze legali ma corrono il rischio, vuol dire che qualcuno dal mondo degli adulti non li sta aiutando a capire i fondamenti di una società democratica. E quel qualcuno è forse “in casa”: perché oltre la metà degli “occupanti” ha dichiarato candidamente di aver goduto del supporto morale o addirittura materiale dei genitori, pronti a portare l’occorrente per il soggiorno fuori casa”, così Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net.